Detenzione di materiale pedopornografico: i divieti di benefici penitenziari sono inderogabili

Le disposizioni legislative che individuano reati ostativi ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione sono di immediata applicazione anche ai fatti e alle condanne pregresse in omaggio al principio tempus regit acutum.

A tutte le pene inflitte per il reato di detenzione di materiale pedopornografico si accompagna la presunzione di pericolosità del reo superabile soltanto all’esito del periodo di osservazione della personalità, con conseguente sussistenza del divieto di sospensione dell’esecuzione. Lo ha stabilito la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 50455, depositata in cancelleria il 6 novembre 2017. Sospensione dell’esecuzione negata. Nel caso di specie un uomo è stato condannato alla pena della reclusione di circa un anno e sei mesi per il reato di detenzione di materiale pedopornografico ex art. 600- quater , c.p A pochi mesi dalla condanna, la difesa ha formulato istanza di revoca dell’ordine di carcerazione emesso dalla Procura. L’adita Corte d’Appello, in veste di giudice dell’esecuzione, dopo aver esaminato la posizione sostanziale e processuale del reo, ha tuttavia respinto il riscorso, confermando la carcerazione senza concessione di alcun beneficio penitenziario. Secondo la Corte, infatti, il condannato, in forza di quanto previsto dall’art. 565, commi 5 e 9, c.p.p. non poteva beneficiare della sospensione dell’esecuzione e, in ogni caso, difettavano i presupposti di cui all’art. 4- bis , 1- quater , L. n. 354/1975 ai fini del riconoscimento degli ulteriori benefici penitenziari di legge i.e. assegnazione al lavoro all’esterno, permessi premio e misure alternative alla detenzione . In particolare – ha osservato la Corte – il condannato non era stato sottoposto alla cd. osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno richiesta ai fini della concessione dei benefici né tale osservazione era mai stata domandata dal diretto interessato. Pena breve, beneficio inesistente. La questione è stata portata all’attenzione degli ermellini ai quali è stata paventata l’erroneità del giudizio espresso dalla Corte territoriale nella parte in cui quest’ultima, da un lato, ha ritenuto che il delitto per il quale era intervenuta la condanna dovesse assumersi, nel caso di specie, ostativo alla sospensione dell’esecuzione e, dall’altro, ha sostenuto che anche nel caso di condanne brevi come nel caso di specie ca. 1 anno e 6 mesi fosse doveroso il periodo di osservazione - di almeno 1 anno - della personalità del reo previsto dal citato art. 4- bis , della legge sull’ordinamento penitenziario. Secondo la difesa, infatti, imporre il periodo di osservazione anche in caso di condanne particolarmente brevi varrebbe, nei fatti, a negare la fruibilità tangibile del beneficio penitenziario. Tra varie censure, la difesa ha poi evidenziato il carattere penale sostanziale delle disposizioni che individuano i reati ostativi ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione per inciso, il fatto di reato contestato era stato commesso in data antecedente all’introduzione delle modifiche che hanno adeguato l’art. 4- bis , cit., facendovi rientrare anche il delitto di cui all’art. 600- quater , c.p. . Tempus regit actum. I giudici di legittimità, nel pronunciarsi sulla vicenda, hanno confermato l’interpretazione resa dal giudice di esecuzione, chiarendo – una volta per tutte – la natura delle norme in contestazione e i termini di applicazione dei benefici penitenziari verso i condannati tutti per il delitto di detenzione di materiale pedopornografico. In merito, la Cassazione ha precisato che le disposizioni legislative che individuano reati ostativi ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione sono di immediata applicazione anche ai fatti e alle condanne pregresse secondo il principio tempus regit acutum , dal momento che non riguardano l’accertamento del reato e l’irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della pena medesima. Sulla base di tale assunto, la Corte ha dunque stabilito che relativamente a tutte le pene inflitte per i reati, come l’art. 600- quater , c.p., ricompresi nella categoria designata dall’art. 4- bis , comma 1- quater , L. n. 354/1975, opera la presunzione di pericolosità superabile soltanto all’esito del periodo di osservazione della personalità, con conseguente sussistenza del divieto di sospensione dell’esecuzione ex art. 656, comma 9, c.p.p Fruibilità dei benefici penitenziari. Quanto poi alla difficoltà di fruire del beneficio penitenziario da parte del reo condannato a pena detentiva relativamente breve, la Corte ha sottolineato la natura inderogabile della disposizione la quale esclude la via della sospensione dell’esecuzione della pena a prescindere dalla durata della pena. Sul punto, si osserva lapidariamente in sentenza che trattasi di scelta legislativa operata, nell’ambito della discrezionalità propria della sua funzione, dal legislatore, in modo che si profila rispettoso del canone della ragionevolezza, attese la gravità del reato e la rilevanza del bene giuridico leso, ossia la personalità dei minori degli anni diciotto .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 19 aprile – 6 novembre 2017, n. 50455 Presidente Mazzei – Relatore Siani Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza in epigrafe, emessa il 15 - 21 aprile 2016, la Corte di appello di Firenze, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza di revoca, proposta nell’interesse di V.S. , avente ad oggetto l’ordine di esecuzione per la carcerazione emesso dal Procuratore generale presso quella Corte in data 18 dicembre 2015 per l’espiazione, in dipendenza della condanna per il delitto di cui all’art. 600-quater cod. pen., della pena detentiva della reclusione di anni uno, mesi cinque, giorni venticinque oltre al recupero della multa di Euro 1.660,00 , senza sospensione. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il difensore del V. chiedendone l’annullamento e deducendo a sostegno del mezzo un unico, articolato motivo con cui viene lamentata inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 656, commi 5 e 9, cod. procomma pen. e 4-bis, commi 1 e 1-quater, e 13-bis l. n. 354 del 1975, in relazione agli artt. 2 cod. pen., 3 e 27 Cost. e 7 CEDU. Erroneamente la Corte distrettuale aveva avallato l’interpretazione del Pubblico ministero emittente l’ordine di esecuzione, che non ne aveva sospeso l’efficacia, ritenendo che tanto fosse imposto dal richiamo all’art. 4-bis Ord. pen. operato dal comma 9 dell’art. 656 cod. procomma pen. Al contrario, andava rilevato che in primo luogo non era comprensibile perché il legislatore, se avesse voluto rendere effettivamente ostativo quel titolo di reato, non lo avesse incluso direttamente nel catalogo di cui al comma 1 dell’art. 4-bis e lo avesse invece inserito al comma 1-quater della disposizione inoltre, non era stato adeguatamente considerato che il comma 1-quater faceva riferimento ai detenuti ed internati, non ai condannati, terminologia non casuale, in quanto il legislatore, nel dare attuazione alla Convenzione di Lanzarote, aveva inteso prevedere la possibilità per coloro che stavano già espiando la pena in carcere di accedere ai benefici penitenziari, previo il percorso di rieducazione dell’osservazione psicologica la diversa interpretazione, per come accolta dal provvedimento impugnato, aveva conseguenze aberranti, poiché comportava l’esecuzione in carcere anche di condanne a pena detentiva contenuta in pochi mesi o pochi giorni altra conseguenza paradossale era che soltanto coloro i quali avessero riportato condanna a pena superiore all’anno di reclusione avrebbero potuto, in prospettiva, accedere ai benefici, non quelli condannati a pena detentiva inferiore così interpretata, la disciplina in esame si poneva in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost. la Corte EDU aveva stigmatizzato la normativa britannica sentenza Clift c/o Regno Unito, n. 7205/2007 che consentiva la liberazione anticipata ai detenuti con pene detentive inferiori a 15 anni ed agli ergastolani, con requisiti di ammissione più rigorosi solo per i detenuti chiamati a scontare pene intermedie, chiarendo che una tale normativa mancava di giustificazione oggettiva l’interpretazione avversata in questa sede si caratterizzava per la stessa incongruenza applicativa perché negava ai detenuti condannati ad espiare pene inferiori la possibilità dei benefici la Convenzione di Lanzarote stabiliva che gli autori di reati sessuali dovessero svolgere i programmi di intervento finalizzati a prevenire la reiterazione delle condotte in ambiente esclusivamente carcerario, ma, all’art. 15, comma 1, dava alle parti contraenti il compito di prevedere programmi o misure di intervento efficaci a prevenire e minimizzare i rischi di recidive dei reati a carattere sessuale a danno dei bambini, programmi che avrebbero dovuto essere accessibili in ogni momento della procedura, in ambiente carcerario o all’esterno e non valeva opporre, come aveva fatto il giudice dell’esecuzione, che era mancata la richiesta del V. di sottoporsi ai programmi e trattamenti di recupero, in quanto anche l’art. 13-bis era destinato ai soggetti già internati o detenuti, sicché non si vedeva come il ricorrente avrebbe potuto fare per sottoporsi a tali trattamenti prima di ricevere l’ordine di esecuzione invece, ove avesse fatto corretto impiego dell’insegnamento desumibile alla sentenza della Corte EDU citata nell’istanza sentenza 21/10/2013, Del Rio Prada comma Spagna, ricomma 42750/09 , l’ordinanza impugnata avrebbe considerato norma sostanzialmente penale quella relativa alle condizioni per l’applicazione dei benefici penitenziari e, dunque, essendo avvenuta l’inserzione dell’art. 600-quater cod. pen. nel comma 1-quater dell’art. 4-bis Ord. pen. in tempo 2012 successivo alla commissione del reato in questione 2011 , avrebbe escluso in ogni caso l’impossibilità della sospensione dell’esecuzione. 3. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso, atteso che il ricorrente, nell’atto di impugnazione, come nella pregressa istanza, aveva mescolato in modo improprio la questione della fruibilità delle misure alternative e quella della sospensione dell’esecuzione il richiamo compiuto dal comma 9 dell’art. 656 cod. procomma pen. all’art. 4-bis Ord. pen. comportava inevitabilmente il divieto di sospensione dell’esecuzione, ma esso non era necessariamente collegato alle ipotesi di non applicabilità immediata delle misure alternative in tal senso il provvedimento impugnato aveva rettamente interpretato la disciplina applicabile, in un ambito in cui non apparivano congruenti i riferimenti ai principi CEDU svolti dal ricorrente. Considerato in diritto 1. La Corte ritiene che l’impugnazione non sia fondata e vada quindi rigettata. 2. I cardini del ragionamento svolto dal giudice dell’esecuzione si rivelano, per la parte qui determinante, corretti. A ragione del suindicato provvedimento è stato, invero, osservato che, in primo luogo, le norme concernenti l’esecuzione delle pene definitive e le misure alternative alla detenzione avevano natura processuale ed erano soggette al principio tempus regit actum, per cui la corrispondente disciplina penitenziaria si applicava anche ai reati commessi prima della loro entrata in vigore, senza che potesse utilmente invocarsi in contrario la sentenza della Grande Camera della Corte EDU 21/10/2013, Del Rio Prada comma Spagna, nella quale si era annesso carattere di diritto penale materiale all’entità della pena da scontarsi, non alla sua esecuzione e qui veniva in rilievo il tema dell’inserzione del reato, quello di cui all’art. 600-quater cod. pen. a cui è riferita la condanna alla pena detentiva irrogata al V. fra quelli previsti dall’art 4-bis, comma 1-quater, Ord. pen., per i quali la possibilità di fruire dei benefici di cui al comma 1 della stessa norma era condizionata alla previa osservazione scientifica della personalità per almeno un anno. È stato precisato che questa condizione era stata contemplata per la natura del reato commesso dalla legge n. 172 del 2012, che aveva ratificato la Convenzione di Lanzarote, disciplina finalizzata alla protezione dei minori contro lo sfruttamento dell’abuso sessuale per raggiungere tale finalità dunque era stata apprestata anche quella disposizione a fini di prevenzione dell’ulteriore commissione di tali, reati con la necessità dell’osservazione della personalità, al necessario esito positivo della quale la legge condizionava l’ammissione ai benefici. Il giudice dell’esecuzione ha aggiunto che era vero che la suddetta Convenzione non imponeva che il trattamento avvenisse necessariamente in ambiente carcerario, ma era del pari vero che proprio a tal riguardo l’art. 13-bis Ord. pen. contemplava la possibilità per il condannato di sottoporsi di propria iniziativa al suddetto trattamento, e non risultava che il V. l’avesse fatto. 3. Del discorso giustificativo reso dal giudice dell’esecuzione deve condividersi, innanzi tutto, l’affermazione secondo cui, in tema di disposizioni legislative che individuano i reati ostativi ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione, esse, in quanto attinenti alle sole modalità di esecuzione della pena, sono di immediata applicazione anche ai fatti e alle condanne pregresse, essendo conforme ai principi di logica e razionalità che il legislatore stabilisca l’inapplicabilità dei benefici penitenziari a persone già condannate che non abbiano intrapreso specifici percorsi di risocializzazione cfr. anche Sez. 5, n. 30558 del 01/07/2014, Ficara, Rv. 262489 . Tale affermazione si fonda sul concetto che le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione non riguardano l’accertamento del reato e l’irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della pena stessa. Ad esse pertanto non si annette carattere di norme penali sostanziali e - lì dove manchi una specifica disciplina transitoria - le medesime soggiacciono al principio tempus regit actum, non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall’art. 2 cod. pen., e dall’art. 25 Cost. v. in tal senso già Sez. U, n. 24561 del 30/05/2006, A., Rv. 233976, arresto che, in applicazione dell’esposto principio, ha affermato che, in un caso in cui vi era stata condanna per il delitto di violenza sessuale, la sopravvenuta inclusione di tale delitto, per effetto dell’art. 15 l. n. 38 del 2006, tra quelli previsti dall’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario in quanto tali, e non più soltanto come reati-fine di un’associazione per delinquere, comportasse l’operatività, altrimenti esclusa, del divieto della sospensione dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 656, comma 9, lett. a, cod. procomma pen., non essendo ancora esaurito il relativo procedimento esecutivo al momento dell’entrata in vigore della novella legislativa . Né in questa prospettiva si riscontra il vulnus alla disciplina sovranazionale in particolare agli artt. 6 e 7 CEDU dedotto dal ricorrente. In particolare, è vero che l’art. 7, par. 1, della richiamata Convenzione garantisce il principio di non retroattività delle leggi penali più severe e determina la conseguenza che, nel caso in cui la legge penale in vigore al momento della commissione del reato e quelle successive adottate prima della condanna definitiva siano differenti, il giudice debba applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo. Ma tale principio afferisce al giudizio avente ad oggetto la determinazione della pena, e non a quello relativo alla mera esecuzione della stessa, fase quest’ultima che può anche essere concretamente influenzata da fattori contingenti e da elementi che si configurino durante la fase esecutiva. Pertanto, il trattamento che ad essa pertiene non può non sottostare alla procedure ed alle relative modalità stabilite dalle regole vigenti al momento in cui gli atti vengono, volta a volta, assunti, in relazione al conformarsi delle situazioni sia soggettive e sia oggettive - quindi, tenuto anche conto della valutazione operata all’attualità dall’ordinamento del grado di pericolosità del condannato per la commissione di determinati reati - che caratterizzano la vicenda esecutiva susseguente alla condanna. In questa direzione non può concordarsi con il ricorrente allorquando richiama quale arresto rilevante per la problematica esecutiva qui trattata il caso scrutinato dalla Corte EDU sent. 21/10/2013, Del Rio Prada comma Spagna, ricomma n. 42750/09 con cui la Grande Camera della Corte ha dichiarato che il revirement del Tribunal Supremo spagnolo in merito alle modalità di applicazione del beneficio penitenziario della redencion de penas por trabajo a soggetti pluricondannati ha comportato una violazione del principio di legalità sancito dall’art. 7 CEDU, in tal senso confermando la precedente sentenza della Terza sezione della Corte del 10/07/2012 la quale non era divenuta definitiva proprio in virtù dell’accoglimento della richiesta di rinvio alla Grande Camera presentata da parte del governo spagnolo in siffatta vicenda veniva evidentemente in rilievo, non un profilo eminentemente esecutivo, ma una questione che influiva direttamente sulla durata della pena. Del pari, il riferimento alla decisione della Corte EDU del 13/07/2010, Clift comma Regno Unito, ricomma n. 7205/2007, non si profila congruente anche in quel caso si è dibattuto su argomento diverso da quello essenzialmente esecutivo qui in questione, in quanto con la richiamata decisione il sistema regolatore della liberazione anticipata del Regno Unito è stato ritenuto discriminatorio verso i condannati a pene di lunga durata rispetto ai condannati a pene brevi. Pertanto, in ordine al caso qui esaminato, deve concludersi che - con riferimento alle pene inflitte per reati, quali quello di cui all’art. 600-quater cod. pen., ricompreso nella stessa categoria disegnata dal comma 1-quater dell’art. 4-bis l. n. 354 del 1975 - per esse opera la presunzione di pericolosità superabile soltanto all’esito del periodo di osservazione della personalità, con conseguente sussistenza del divieto di sospensione dell’esecuzione sancite dall’art. 656, comma 9, cod. procomma pen. v. anche Sez. 1, n. 20373 del 24/04/2014, Zibella, Rv. 263404, che ha escluso invece doversi applicare il divieto di sospensione dell’esecuzione della pena all’ipotesi di violenza sessuale attenuata di cui all’art. 609-bis, ultimo comma, cod. pen., per effetto della mancata inclusione, in forza nel rinvio normativo operato dall’ art. 656, comma 9, lett. a del codice di rito, nella categoria indicata nello stesso senso cfr., fra le altre, Sez. 1, n. 2283 del 03/12/2013, dep. 2014, L., Rv. 258293 . 4. Assodato quanto precede, il rilievo che il divieto di sospensione così stabilito finisce per valere, con riferimento ai reati ostativi, anche nei casi in cui la pena oggetto di esecuzione sia breve - al punto tale da rendere difficoltosa od impossibile la prefigurazione del previo espletamento del periodo di osservazione della personalità per verificare, poi, la possibilità di fruire dei benefici penitenziari - riguarda, quale che sia la portata logica che voglia annettersi a tale argomento, l’an ed il quomodo dell’accesso del condannato ai benefici stessi, ma non frappone alcun decisivo ostacolo al dispiegamento del precetto fissato dall’art. 656, comma 9, lett. a , cod. procomma pen. In effetti, il divieto posto da quest’ultima norma non appare contemplare eccezioni di sorta in dipendenza della durata della pena. Deve, dunque, prendersi atto dell’inderogabilità della citata norma che esclude la sospensione dell’esecuzione della pena nei confronti dei condannati per il delitto di cui all’art. 600-quater cod. pen. indipendentemente dalla durata della pena e, quindi, anche in caso di condanna a pene brevi trattasi di scelta operata, nell’ambito della discrezionalità propria della sua funzione, dal legislatore, in modo che si profila rispettoso del canone della ragionevolezza, attese la gravità del reato e la rilevanza del bene giuridico leso, ossia la personalità dei minori degli anni diciotto. Il legislatore, dunque, ha - nell’emanazione della disciplina interna che ha ratificato la Convenzione di Lanzarote, provvedendo all’attuazione della relativa disciplina - inserito, con legge n. 172 del 2012, anche il reato di cui all’art. 600-quater cod. pen. fra quelli contemplati dal comma 1-quater dell’art. 4-bis Ord. pen., per i quali i benefici penitenziari enumerati dal comma 1 della stessa norma possono essere concessi soltanto sulla base dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno con la partecipazione degli esperti di cui all’art. 80, comma 4, Ord. pen Che tale osservazione, per i condannati a pene brevi, possa o meno essere svolta prima dell’entrata dei medesimi nel circuito carcerario è, poi, questione distinta dalla sfera di applicazione del divieto di sospensione dell’esecuzione stabilito dall’art. 656 cit., la cui operatività anche nel caso di specie non può, dunque, essere revocata in dubbio. In tal senso non mette conto, ai fini della presente decisione, stabilire se il trattamento psicologico previsto per gli autori dei reati sessuali in danno di minori dall’art. 13-bis Ord. pen. possa e dunque potesse anche per il V. dispiegarsi anche per il condannato in tempo antecedente all’ingresso nell’istituto penitenziario e, poi, estendersi anche al condannato per la fattispecie sanzionata dall’art. 600-quater cod. pen., disposizione testualmente non ricompresa fra quelle indicate dalla suddetta norma in senso affermativo evidentemente aderendo alle sollecitazioni ermeneutiche che patrocinano una lettura sistematica dell’art. 13-bis cit., ponendolo in correlazione con il disposto dell’art. 20 della succitata Convenzione di Lanzarote si è espressa la Corte di appello nell’ordinanza impugnata senza svolgere, peraltro, particolari considerazioni di ordine esegetico , mentre propende per la tesi negativa il ricorrente evidentemente attestato su un’interpretazione fedele alla lettera della norma . La prospettazione relativa alla dedotta limitazione alla fruizione dei benefici penitenziari anche per i condannati a pene detentive brevi non è, quindi, rilevante nel caso sottoposto allo scrutinio del Collegio, in quanto l’oggetto dell’impugnazione inerisce soltanto al rigetto dell’istanza di revoca dell’ordine di esecuzione per la carcerazione, emesso nei confronti del V. dal pubblico ministero competente in disparte, dunque, il rilievo che la pena da espiare è superiore, sia pure di pochi mesi, ad un anno . Quel che qui incide in via esclusiva è la portata della disposizione esaminata in precedenza ossia il divieto di sospensione stabilito dall’art. 656, comma 9, lett. a, cod. procomma pen. , attinente a questione indipendente da quella relativa ai requisiti di ammissione del condannato ai benefici penitenziari, evidentemente calibrati sul presupposto di condannati a pene superiori ad un anno, laddove la loro concessione è subordinata ai risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti di cui all’art. 80, comma 4, Ord. pen. art. 4-bis, comma 1-quater cit. , essendo pacifico che per il ricorrente non sono stati conseguiti i risultati dell’osservazione scientifica della personalità come richiesta. Per l’ambito effettivamente involto è, in definitiva, indiscutibile che per l’esecuzione della pena oggetto di espiazione da parte del V. - siccome essa è derivante dalla commissione del delitto di cui all’art. 600-quater cod. pen. - si appalesa determinante la considerazione che tale delitto è contemplato dal comma 4-quater dell’art. 1-bis Ord. pen., norma ostativa operante in concreto per la ragione già chiarita. 5. Conseguenza di queste considerazioni è il rigetto del ricorso. Segue, ex art. 616, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.