Lo straniero può rientrare in Italia per difendersi, ma non in tutti i casi

Lo straniero è autorizzato a rientrare in Italia per il tempo strettamente necessario per l’esercizio del diritto di difesa, ma non sempre può configurarsi il legittimo impedimento.

Il caso. Dopo che il Tribunale di Sorveglianza aveva rigettato l’appello, ex art. 680 c.p.p., proposto da uno straniero avverso l’ordinanza che dava esecuzione alla sua espulsione dal territorio italiano, il condannato stesso proponeva ricorso in Cassazione. Già i Giudici di merito avevano evidenziato la regolarità della notifica all’estero dell’avviso al condannato della udienza camerale e, inoltre, veniva dato atto dell’esibizione in udienza del decreto del Questore con cui era stata rigettata l’istanza di autorizzazione dell’interessato a rientrare in Italia per poter esercitare il proprio diritto di difesa. I Giudici di Cassazione, poi, con la sentenza n. 50456/2017 depositata il 6 novembre scorso, si sono dovuti esprimere sulla possibile configurazione del legittimo impedimento del diretto interessato. Diritto di difesa. In particolare, premesso che lo straniero , sia esso parte offesa che sottoposto a procedimento penale, è autorizzato a rientrare in Italia per il tempo strettamente necessario per l’esercizio del diritto di difesa, al solo fine di partecipare al giudizio o al compimento di atti per i quali è necessaria la sua presenza . Tale autorizzazione – chiariscono i Giudici – è rilasciata dal Questore anche per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare, dietro richiesta documentata della parte offesa o dell’imputato o del difensore. Nella fattispecie, tuttavia, secondo quanto emerge dalla sentenza della S.C., non ricorre la nullità di ordine generale ed assoluta invocata dalla difesa, prevista per la sola ipotesi di omesso avviso all’interessato del procedimento di sorveglianza e, più in generale, per il procedimento di esecuzione in Camera di Consiglio . Nessun legittimo impedimento. Infatti, trattandosi di appello impugnazione di un provvedimento relativo a misure di sicurezza art. 680 c.p.p. , si osservano le disposizioni generali sulle impugnazioni e, in particolare, essendo un procedimento di sorveglianza in fase di appello e in Camera di Consiglio art. 127 c.p.p. , l’udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell’imputato o del condannato che ha chiesto di essere sentito personalmente . Tale richiesta, però, nel caso di specie, manca del tutto è il difensore che ha fatto richiesta di consentire la partecipazione diretta all’udienza del ricorrente. Ergo, nessun legittimo impedimento e ricorso rigettato in toto .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 16 maggio – 6 novembre 2017, n. 50456 Presidente Mazzei – Relatore Esposito Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 04/05/2016 il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato l’appello proposto ai sensi dell’art. 680 cod. proc. pen. da P.M. avverso l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Viterbo dell’11/12/2014, con cui era data esecuzione alla misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato disposta con sentenza della Corte d’appello di Trieste del 12/06/2012. Il Tribunale ha evidenziato la regolarità della procedura di notifica all’estero dell’avviso al condannato della udienza camerale ha dato atto, inoltre, dell’esibizione in udienza del decreto del Questore del 26/04/2016 di rigetto di istanza del P. di autorizzazione a rientrare temporaneamente in Italia, ex art. 17 D.lvo n. 286 del 1998, per esercitare il proprio diritto di difesa, poiché lo stesso era adeguatamente garantito dalla presenza del suo difensore. Passando al giudizio nel merito, il Tribunale ha desunto la pericolosità del P. dalla gravità del reato commesso e dall’atteggiamento polemico nei confronti degli operatori del carcere di Viterbo. 2. Il P. , a mezzo del proprio difensore, propone ricorso per Cassazione avverso tale ordinanza, chiedendone l’annullamento sulla base dei motivi di impugnazione di seguito riportati. 2.1. Violazione di legge in riferimento agli artt. 420 ter cod. proc. pen. e 178, lett. c , cod. proc. pen., a causa della celebrazione del procedimento finalizzato all’espulsione nonostante l’impedimento a comparire del P. , al quale il Questore di Viterbo non aveva consentito l’ingresso in Italia a fini di giustizia ex art. 17 D.lvo n. 286 del 1998, ritenendo il diritto dell’interessato sufficientemente garantito dalla presenza del difensore in sua rappresentanza. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione per omessa valutazione delle tesi difensive, in quanto, ai fini del giudizio di pericolosità, il Tribunale di sorveglianza aveva considerato la gravità del fatto, ma non aveva valutato il comportamento mantenuto durante l’espiazione della pena e la concessione dei benefici penitenziari. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. Va premesso in fatto che, con ordinanza del Magistrato di sorveglianza, è stata disposta l’esecuzione della misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato, applicata nei confronti del P. con sentenza di condanna, e che il Tribunale di sorveglianza ha rigettato l’appello avverso detto provvedimento. Dopo una serie di rinvii del procedimento camerale dinanzi al Tribunale, in sede di appello, ai sensi dell’art. 680 cod. proc. pen., al P. risulta essere stato regolarmente notificato l’avviso di fissazione di udienza. Il Questore di Viterbo, però, ha negato al P. l’autorizzazione al rientro in Italia a fini di giustizia ex art. 17 D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, come modificato dalla L. n. 189 del 2002, art. 16, sul presupposto della sufficienza della presenza del difensore al fine di garantire il contraddittorio. 2. Col primo motivo di ricorso, la difesa sostiene che il diniego di autorizzazione al rientro in Italia ha comportato la nullità assoluta dell’udienza celebrata in assenza dell’imputato, in base alla disposizione di cui all’art. 178, lett. c , cod. proc. pen Ricorre un legittimo impedimento del P. a partecipare, avendo lo stesso correttamente attivato il rimedio previsto dall’art. 17 D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, come modificato dalla L. n. 189 del 2002, art. 16, a seguito di espulsione, per cui lo straniero parte offesa ovvero sottoposto a procedimento penale è autorizzato a rientrare in Italia per il tempo strettamente necessario per l’esercizio del diritto di difesa, al solo fine di partecipare al giudizio o al compimento di atti per i quali è necessaria la sua presenza. L’autorizzazione è rilasciata dal questore anche per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare su documentata richiesta della parte offesa o dell’imputato o del difensore . Lo straniero, cioè, può fruire di un iter amministrativo particolarmente celere, nella prospettiva della necessità di trovarsi in Italia allo scopo di presenziare al procedimento, interesse primario e prevalente su ogni altro Sez. 5, n. 18708 del 27/02/2013, T., Rv. 256247 . Nel caso in esame, tuttavia, non ricorre la nullità di ordine generale ed assoluta invocata dalla difesa, prevista per la sola ipotesi di omesso avviso all’interessato del procedimento di sorveglianza e, più in generale, per il procedimento di esecuzione in camera di consiglio. Trattandosi di appello proposto ai sensi dell’art. 680 cod. proc. pen. si osservano le disposizioni generali sulle impugnazioni . , secondo quanto esposto dal comma 3 di tale disposizione e poiché si tratta di procedimento di sorveglianza in fase di appello, da trattare con le forme della camera di consiglio, ai sensi dell’art. 599, comma 1, cod. proc. pen., risulta applicabile la disposizione di cui all’art. 127 cod. proc. pen., secondo cui L’udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell’imputato o del condannato che ha chiesto di essere sentito personalmente . ”. Ebbene, dal controllo degli atti del procedimento - consentito data la natura della violazione di legge prospettata - non risulta che il condannato abbia formulato richiesta di essere sentito personalmente solo il difensore ha richiesto al Tribunale di sorveglianza di consentire al condannato la partecipazione all’udienza. Pertanto, l’udienza deve ritenersi correttamente celebrata, non ricorrendo il legittimo impedimento dell’interessato a fronte della richiesta del solo difensore di consentirne la partecipazione diretta all’udienza. 2. In riferimento al secondo motivo di ricorso, va ribadito il costante principio espresso da questa Corte, secondo cui l’espulsione prevista dagli artt. 235 cod. pen. e 15 D.Lgs. 25 luglio 1998 n. 286 può essere disposta, ricorrendone le condizioni, anche nei confronti dello straniero munito di permesso di soggiorno e convivente con prossimi congiunti di nazionalità italiana, atteso il preminente interesse dello Stato all’allontanamento di una persona che, commettendo reati di una certa gravità, si è rivelata incline a delinquere e, dunque, socialmente pericolosa Sez. 3, n. 6707 del 12/01/2016, Caushi, Rv. 266276 Sez. 1, n. 34562 del 12/06/2007, Bajraktarevic, Rv. 237625 . In applicazione di tale principio, con congrua ed adeguata motivazione il Tribunale di sorveglianza ha desunto la pericolosità del P. dalla gravità del reato commesso di costituzione di un’associazione dedita alla commissione di rapine e furti in orari notturni, in danno di esercizi commerciali, e dall’atteggiamento polemico del detenuto durante il colloquio con gli operatori del carcere di Viterbo, prima dell’espulsione, tanto da disconoscere la gravità dei reati commessi ha evidenziato, altresì, la compartecipazione ai reati della moglie, destinataria di mandato di arresto internazionale. La difesa si limita a censurare l’omessa valutazione del positivo comportamento presso l’istituto penitenziario, sollevando quindi una questione di merito, non proponibile in sede di legittimità, e comunque mediante argomentazione contrastante con le risultanze esposte nell’ordinanza impugnata. 3. Il ricorso, pertanto, va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali art. 616 cod. proc. pen. . P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.