La persistenza della pericolosità sociale deve valutarsi alla luce di tutti i parametri normativi

In tema di libertà vigilata, la prognosi di pericolosità sociale rilevante agli effetti della legge penale non può limitarsi a richiamare la valutazione criminologica degli esperiti, ma deve necessariamente verificare l’esistenza delle condizioni che consentono di affermare un persistente pericolo di commissione in futuro di altri reati, esaminando la personalità e gli effettivi problemi psichiatrici rilevati dai sanitari, ma non obliterando l’analisi dei fatti già commessi dal reo e gli altri parametri stabiliti dalla legge, in primis dall’articolo 133 c.p

La Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 50164/17, depositata il 2 novembre u.s., si è espressa in materia di misure di sicurezza. Rectius , il caso in disamina ha ad oggetto la libertà vigilata e i parametri di cui il giudicante deve tener conto nella valutazione della pericolosità sociale del soggetto. Il fatto. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma pronunciava ordinanza di rigetto avverso l’appello proposto in favore di un condannato, proposto contro un provvedimento emesso dal Magistrato di Sorveglianza di Roma con il quale – in ragione della ritenuta persistente pericolosità sociale dell’interessato – veniva disposta la proroga della misura della libertà vigilata per anni uno. Siffatta decisione confermativa del Tribunale è derivata dall’osservazione dello stato psichico e comportamentale del prevenuto, sulla scorta delle relazioni dei periti del Dipartimento di Salute Mentale e della Comunità. La prefata ordinanza viene impugnata dal difensore dell’interessato, mediante l’articolazione di due motivi di doglianza che, sostanzialmente, rappresentano la medesima violazione. A dire del ricorrente, infatti, il Tribunale capitolino avrebbe violato la legge penale e motivato in maniera carente con riferimento ai criteri di accertamento e valutazione della pericolosità sociale e dei presupposti per l’applicabilità della misura di sicurezza, ex articolo 133, 202 e 203 c.p., in relazione agli articolo 606, comma 1, lett. b ed e , 678 e 679 c.p.p Pericolosità sociale. Più segnatamente, la difesa evidenzia che il giudice avrebbe dovuto valutare la persistenza della pericolosità sociale del soggetto sottoposto a misura di sicurezza ai sensi dell’articolo 203 c.p., il quale qualifica socialmente pericolosa la persona che ha commesso un reato ed è probabile che ne commetta di nuovi sulla base degli elementi previsti dall’articolo 133 c.p Nel caso di specie, in effetti, il Collegio della Sorveglianza ha fondato il proprio convincimento in via esclusiva sulla situazione mentale del condannato, in maniera del tutto dissonante rispetto ai parametri precipui indicati nell’articolo 203 c.p Anche il Procuratore Generale, all’udienza camerale, ha avallato la richiesta di annullamento dell’ordinanza avanzata dalla difesa. Il ricorso merita accoglimento. Le doglianze difensive colgono nel segno. La Corte di Cassazione, con la pronuncia in esame, cassa l’ordinanza impugnata e lumeggia l’imprescindibilità della valutazione, ai sensi degli articolo 203 e 208 c.p., soprattutto in sede di riesame della pericolosità di tutti i criteri di ponderazione dettati dall’articolo 133 c.p Il Tribunale di Sorveglianza, al contrario, ha pronunciato un provvedimento fondato su un’acritica condivisione delle conclusioni rassegnate dai periti esclusivamente sul profilo mentale del prevenuto, senza esaminare nel dettaglio i precedenti giudiziari del soggetto e l’effettiva condotta di vita del medesimo. Per tali motivi, la Corte di Cassazione, in accoglimento del ricorso, annulla l’ordinanza oggetto di gravame e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Roma.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 16 maggio – 2 novembre 2017, n. 50164 Presidente Mazzei – Relatore Siani Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza in epigrafe, emessa il 21 - 30 giugno 2016, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di C.M. avverso l’ordinanza in tema di riesame della pericolosità sociale emessa dal Magistrato di sorveglianza di Roma in data 7 - 15 marzo 2016, con la quale era stata disposta la proroga della misura della libertà vigilata per anni uno. Il Tribunale, dopo aver delineato la situazione psichica e comportamentale del soggetto - sulla base delle relazioni del perito, del Dipartimento di Salute Mentale ASL e della Comunità - ed aver escluso la fattibilità di soluzioni alternative, ha rigettato la richiesta ritenendo che fossero insussistenti elementi idonei a consentire di discostarsi dalle relazioni degli esperti. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il difensore del C. chiedendone l’annullamento e adducendo a sostegno due motivi. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e processuale e carenza di motivazione con riferimento ai criteri di accertamento e valutazione della pericolosità sociale e dei presupposti per l’applicabilità della misura di sicurezza, ex artt. 133, 202 e 203 cod. pen., in relazione agli artt. 606, comma 1, lett. b ed e , 678 e 679 cod. proc. pen In particolare, dopo aver sottolineato che i provvedimenti in tema di misure di sicurezza non passano mai in giudicato e pertanto non poteva esservi alcun effetto preclusivo circa la valutazione dell’attualità della pericolosità sociale, il ricorrente sostiene che il Tribunale aveva offerto una definizione dei criteri di valutazione della proroga e del mantenimento della misura di sicurezza palesemente dissonante rispetto ai principi informatori della materia, oltre che contraddittoria e carente dal punto di vista motivazionale. Infatti, dovendo stabilirsi la persistenza della pericolosità sociale del soggetto sottoposto a misura di sicurezza, il giudice avrebbe dovuto valutarla sulla base dell’art. 203 cod. pen., il quale qualifica socialmente pericolosa la persona che ha commesso un reato ed è probabile che ne commetta di nuovi, sulla base degli elementi previsti dall’art. 133 cod. pen. 3 pertanto, l’ordinanza non avrebbe potuto riconoscere la pericolosità sociale di una persona sulla sola base della sussistenza della stessa al momento della prima applicazione, ovvero sulla base dell’attuale evenienza di una patologia psichiatrica e dell’assenza di soluzioni all’esterno, nonostante la mancata commissione di reati dal 2001 essa era, dunque, viziata da difetto motivazionale oltre che da violazione della succitata disciplina, attesa la carenza di riferimenti alla verifica della gravità del fatto-reato, ma anche ad altri elementi, come il comportamento tenuto durante l’espiazione della pena e successivamente alla riacquistata libertà indici che il Tribunale aveva, quindi, omesso di considerare. In tal senso, il requisito della pericolosità sociale era stato del tutto trascurato dal Tribunale di sorveglianza, il quale aveva recepito acriticamente il provvedimento del Magistrato di sorveglianza e le conclusioni della relazione del DSM senza addurre autonome e specifiche valutazioni in merito ma il giudice di merito non poteva limitarsi a richiamare la diagnosi di persona pericolosa formulata dai sanitari, in quanto quella, di natura clinica, si era basata su parametri dissonanti rispetto a quelli fissati dall’art. 203 cod. pen., mentre i concetti di pericolosità giuridica e pericolosità psichiatrica non potevano ritenersi equivalenti, dovendo escludersi sul punto ogni automatismo. Nel caso di specie, nei confronti del C. era in esecuzione la misura di sicurezza della libertà vigilata disposta con sentenza della Corte di appello di Roma del 13 giugno 2007 con la quale, previo riconoscimento del vizio parziale di mente, era stata inflitta all’imputato la pena di mesi cinque di reclusione, in relazione ad un reato di modesta entità art. 648, comma 2, cod. pen. commesso nel 2001. Poi il C. non aveva più commesso alcun fatto penalmente rilevante, essendo stato peraltro ininterrottamente detenuto dal 2001 al 2009, partecipando proficuamente alle attività terapeutiche e di rieducazione previste elementi, tutti, indicati nell’atto di appello, ma non valutati dal Tribunale di sorveglianza che aveva anche omesso di valutare il reato in relazione a cui la misura era stata disposta, la condotta successiva fino al momento attuale e la capacità criminale del reo, verifica da farsi in relazione all’assenza di reati commessi nel corso di tutti gli anni successivi ed alla proficua ed effettiva partecipazione al programma terapeutico intrapreso. Il concetto esposto dalla decisione impugnata, secondo il quale il rischio di pericolosità sociale sarebbe derivato dal livello insufficiente della stabilizzazione e del consolidamento dei benefici terapeutici, era il frutto di un ragionamento manchevole, in quanto tale affermazione non scaturiva da un’autonoma valutazione del giudice, ma era acriticamente adesiva alle valutazioni dei sanitari. 2.2. Con il secondo motivo si prospetta manifesta carenza ed illogicità della motivazione, in riferimento alla ritenuta sussistenza ed attualità della pericolosità sociale del condannato, per omesso esame dei motivi d’appello, in relazione agli artt. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., 133, 202 e 203 cod. pen Per il ricorrente, il Tribunale avrebbe omesso di esaminare le specifiche deduzioni dell’atto d’appello sui seguenti punti a carico del C. sussistevano alcune precedenti condanne per reati contro il patrimonio, in relazione alle quali non era stata disposta alcuna misura di sicurezza il C. , soggetto dell’età di 64 anni, non aveva commesso alcun reato dal 2001, né altri fatti illeciti o condotte antisociali o pericolose durante il periodo di detenzione e di partecipazione all’opera di rieducazione e trattamento il Magistrato di sorveglianza nel provvedimento impugnato aveva rilevato la necessità di un elevato livello assistenziale e di contenimento esterno senza corredare tale asserzione da adeguata e congrua motivazione il fatto che il C. fosse stato recentemente inserito nella comunità , considerato un passaggio significativo secondo la stessa ordinanza impugnata, non poteva integrare in alcun modo i presupposti di sussistenza della qualità di persona socialmente pericolosa, avendo tale percorso comunitario finalità prevalentemente assistenziale, anche alloggiativa, nei confronti di un soggetto in precarie condizioni economiche e sociali, ma di certo non caratterizzato da profili di pericolosità sociale di conseguenza, il Tribunale aveva affermato semplicemente che i dati raccolti non sembrano lasciar presupporre che la terapia potesse essere proseguita spontaneamente, finendo per addurre una motivazione del tutto ipotetica e tipicamente perplessa rispetto alle affermazioni precedenti. 3. Il Procuratore generale ha concluso per l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Roma per nuovo esame, in quanto, il provvedimento impugnato non aveva considerato che la pericolosità sociale, intesa come probabilità di commissione di nuovi reati, doveva essere desunta dagli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., e, quindi, dai precedenti penali e giudiziari, dalla condotta di vita del reo antecedente, contemporanea e successiva al reato, dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo, mentre, nel caso di specie, il provvedimento aveva tenuto conto esclusivamente delle condizioni di salute dell’interessato e della mancata coscienza delle problematiche che lo affliggevano, valutando solo gli aspetti sanitario-psichiatrici e non considerando, invece, il fatto che il soggetto da oltre quindici anni non commetteva reati, neppure potendo attribuirsi rilievo, infine, in suo pregiudizio alla carenza di adeguate forme alternative di assistenza personale e sociale. Considerato in diritto 1. La Corte ritiene che il ricorso sia da accogliere nei sensi che seguono. 2. Si rileva che a ragione dell’ordinanza reiettiva dell’appello il Tribunale di sorveglianza ha osservato che il soggetto, all’esito delle verifiche mediche, anche di natura peritale, risultava affetto da disturbo bipolare, con caratteristiche psicotiche, e che, pur registrandosi attualmente un quadro clinico relativamente compensato, egli risultava ancora incapace di comprendere correttamente la realtà, gestire adeguatamente le emozioni e prendere coscienza della patologia dalla quale era affetto, elementi che lasciavano sussistere forti dubbi circa la prosecuzione spontanea della terapia, a fronte della situazione di fatto in cui il C. eseguiva la misura presso la Comunità omissis , ove era prevalente l’aspetto assistenziale su quello terapeutico. In questa situazione il Magistrato di sorveglianza aveva ritenuto prematura la revoca della misura di sicurezza della libertà vigilata. Le critiche dell’appellante non andavano accolte, non avendo il giudice di primo grado abdicato al suo ruolo rimettendosi al parere sanitario per concludere nel senso della pericolosità sociale del C., dovendo al contrario ritenersi che le persistenti carenze determinate dalla malattia psichiatrica avevano come loro conseguenza la previsione che l’interruzione del trattamento terapeutico - che si sarebbe verificata in caso di revoca della misura per incapacità di autocontrollo dell’interessato e mancanza di persone che potessero dedicarsi a lui - avrebbe potuto indurre il soggetto alla ripresa di una vita basata sugli espedienti e sui comportamenti antisociali. Non era dunque decisivo in contrario il rilievo che quest’ultimo da tempo risalente non aveva commesso azioni illecite ed aveva osservato le prescrizioni, dato il preoccupante quadro clinico emerso, dal quale non sussistevano elementi per discostarsi. 3. La motivazione offerta dai giudici dell’appello sulla questione, invero non irrilevante, sollevata dal C. , si appalesa inadeguata e contraddittoria ed il provvedimento non ha fatto retta applicazione degli artt. 208 e 203 cod. pen I giudici di merito, nella sostanza, si sono limitati a valutare l’evoluzione e lo stato attuale della malattia di natura psichica che grava il C. e ad effettuare una prognosi, di segno negativo, circa la sua spontanea futura adesione al trattamento terapeutico. Essi pero’ non hanno valutato in modo adeguato, come era loro prescritto dall’ordinamento art. 208, in relazione all’art. 203, cod. pen. in sede di riesame della pericolosità, gli altri elementi indicati dall’art. 133 cod. pen. invero, alcuni degli indici si profilano semplicemente richiamati, peraltro in senso favorevole al soggetto sottoposto alla misura - ossia, il non avere il C. commesso reati ed azioni illecite da lunghissimo tempo e l’avere egli osservato le prescrizioni imposte con la libertà vigilata - senza pero’ essere realmente posti in bilanciamento con quanto era emerso dalle relazioni sanitarie, l’esito delle quali ha costituito di fatto l’unica base rilevante ai fini della decisione. Di conseguenza, la conclusione esposta dal Tribunale - lì dove afferma che persiste una perdurante carenza di autocritica, giudizio, autocontrollo e autogestione tale da far ritenere, sulla base di una valutazione prognostica, che l’interruzione del trattamento terapeutico possa portare alla ripresa di una vita di espedienti e di comportamenti antisociali - si fonda esclusivamente sulle relazioni sanitarie, e non sull’esito di una rassegna comparata degli altri elementi previsti dall’art. 133 cod. pen., ivi inclusi come ha perspicuamente segnalato l’Autorità requirente i precedenti penali e giudiziari, la condotta di vita del reo antecedente, contemporanea e successiva al reato, le condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo. È vero che nell’ordinanza del Magistrato di sorveglianza, richiamata dai giudici di appello, il C. è descritto come polemico, verbalmente aggressivo con gli operatori e gli altri utenti, resistente alle regole ed il 21 febbraio 2015 è stata segnalata anche un’aggressione fisica, seppur non violenta, nei confronti di una paziente con cui aveva avuto un diverbio questi dati, tuttavia, non posti in relazione con il complesso di elementi che, ex art. 133 cod. pen., avrebbero dovuto analizzarsi, non si profilano tali da surrogare la carenza rilevata e supportare ex se la prognosi di persistente pericolosità sociale del C Dal, decisamente parziale, quadro di circostanze analizzato dai giudici di merito non è dato escludere, quindi, la conclusione che il problema essenziale, se non esclusivo, che grava il C. sia di ordine sanitario, per la malattia psichiatrica da cui è affetto e per la quale viene curato, in stato di attuale, relativa compensazione, e che egli manchi tuttavia di ausili esterni, di natura familiare o socio-assistenziale, anche in ordine alla sistemazione alloggiativa, adeguati per poter proseguire il percorso terapeutico senza le prescrizioni derivanti dalla misura sicurezza. Epperò, non può non ribadirsi che il concetto di pericolosità sociale come fissato dall’art. 203 cod. pen. va riferito alla condizione della persona che ha commesso un fatto-reato o un quasi-reato e si trovi in condizioni per cui è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati. Posta tale base, è necessario sottolineare che la prognosi di pericolosità sociale rilevante agli effetti della legge penale non può limitarsi a richiamare la valutazione criminologica degli esperiti, ma deve necessariamente verificare l’esistenza delle condizioni che consentono di affermare un persistente pericolo di commissione in futuro di altri reati, esaminando - di certo - la personalità e gli effettivi problemi psichiatrici rilevati dai sanitari ma non obliterando l’analisi dei fatti già commessi dal reo e gli altri parametri stabiliti dalla legge, in primis dall’art. 133 cod. pen., per valutare ratione cognita l’effettivo pericolo di recidiva. Quindi, ove si limiti a recepire il parere del perito mutuandone le considerazione di persona pericolosa da lui formulata sulla scorta delle cognizioni specialistiche di ordine medico-psichiatrico, senza operare il completamento della verifica nei sensi sopra indicati, il giudice finisce per rifarsi a parametri non coincidenti con quelli stabiliti dall’art. 203 cod. pen In questa prospettiva è pertanto necessario richiamare, riaffermandolo, il principio di diritto secondo cui la valutazione stabilita dall’art. 203 cod. pen. costituisce compito esclusivo del giudice, il quale non può abdicarvi in favore di altri soggetti, né rinunciarvi, pur dovendo tener conto dei dati relativi alle condizioni mentali dell’imputato ed alle implicazioni comportamentali eventualmente indicate dagli esperti che si siano pronunciati in merito pertanto, egli deve ritenere sussistente o persistente la pericolosità sociale ove accerti l’emersione del pericolo della commissione da parte del reo di nuovi reati mediante autonoma valutazione che deve tener conto dei rilievi peritali sulla personalità, sugli effettivi problemi psichiatrici e sulla capacità criminale del soggetto, nonché sulla base di ogni altro parametro desumibile dall’art. 133 cod. pen. v. anche Sez. 1, n. 40808 del 14/10/2010, Cazzaniga, Rv. 248440 Sez. 1, n. 4094 del 07/01/2010, James, Rv. 246315 . 4. Essendosi sostanzialmente arrestata, con motivazione per tale profilo carente e contraddittoria, alla sola valutazione delle conseguenze derivanti dalla malattia psichiatrica del C. , senza compiere il riesame della pericolosità sociale alla stregua di tutti i criteri stabiliti dal quadro normativo suindicato - art. 208, in relazione all’art. 203, cod. pen. - con la doverosa analisi degli indici in concrete rilevanti stabiliti dall’art. 133 cod. pen., così applicando in modo erroneo le relative norme, l’ordinanza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio all’ufficio del giudice a quo per il nuovo esame della questione che tenga conto del principio di diritto testé esposto. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Roma.