Il perdurante stato di ansia e di timore della vittima non richiede di essere provato mediante attestazioni mediche

Per la configurabilità del reato di stalking – eccetto che non venga contestato in concorso anche il delitto di lesioni personali – ai fini della verificazione di uno degli eventi contemplati nella norma incriminatrice in via alternativa non è necessaria l’esistenza di attestazioni mediche o equipollenti che acclarino uno status patologico ansioso è sufficiente, infatti, che dalle risultanze processuali si individui un effetto destabilizzante dell’equilibrio psicologico della vittima .

La Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 49681/17, depositata il 30 ottobre u.s., coglie l’occasione per ribadire alcuni tratti essenziali del delitto di stalking, con particolare riferimento alla prova dell’ eventus damni . Il fatto. Il Tribunale Monocratico di Taranto, in data 22 dicembre 2014, dichiarava una donna colpevole dei reati di ingiuria e stalking, avvinti dal vincolo della continuazione, per aver – con condotte reiterate – molestato, minacciato e offeso un’altra donna, mediante l’invio di messaggi e telefonate di tenore feroce, oltre che per mezzo di appostamenti, procurandole un perdurante stato di ansia e di paura. Adita la Corte d’Appello salentina presso la sezione distaccata di Taranto, la sentenza di primo grado veniva riformata solo in punto di trattamento sanzionatorio, rideterminato in ragione dell’intervenuta depenalizzazione del reato di ingiuria solo per il quale si dichiarava non doversi procedere. Avverso siffatto provvedimento ricorre per Cassazione personalmente l’imputata, la quale, sostanzialmente, insta la censura della sentenza pronunciata dalla Corte territoriale per violazione di legge e vizio di motivazione ex articolo 606, lett.b e e c.p.p. in riferimento all’articolo 612- bis c.p., in quanto l’evento indicato dalla norma incriminatrice, cioè lo stato di ansia e di paura, nel caso di specie, difetterebbe dei requisiti della perduranza e della gravità nei medesimi termini si esprime la ricorrente con riguardo all’ evento del mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, desunto, nella fattispecie in esame, in via esclusiva dalla sostituzione dell’utenza telefonica da parte della querelante. Su tutti questi punti la motivazione resa dal Giudice d’Appello, a dire dell’imputata, sarebbe lacunosa e contraddittoria, nonché basata unicamente sulla condotta della prevenuta sulla scorta delle mere narrazioni della persona offesa, non corroborate da certificazioni mediche o di altre prove delle paventate minacce. Il ricorso è inammissibile. I Giudici di legittimità respingono ogni censura del ricorrente dichiarando il ricorso proposto inammissibile. Invero, i motivi di gravame ripercorrono, quasi interamente, le doglianze sollevate in sede di appello. D’altra parte, a giudizio dei Giudici della V sezione Penale di Piazza Cavour, la motivazione resa dalla Corte d’Appello di Lecce-sez.distaccata di Taranto è priva di qualunque lacuna o contraddizione giustificativa che possano comportare l’invalidità della medesima. Più segnatamente, nella sentenza in disamina, la Corte di Cassazione, in piena condivisione del punto di vista del Giudice d’Appello, osserva che per la configurabilità del reato di stalking – eccetto che non venga contestato in concorso anche il delitto di lesioni personali – ai fini della verificazione di uno degli eventi contemplati nella norma incriminatrice in via alternativa non è necessaria l’esistenza di attestazioni mediche o equipollenti che acclarino uno status patologico ansioso è sufficiente, infatti, che dalle risultanze processuali si individui un effetto destabilizzante dell’equilibrio psicologico della vittima. Vi è di più. Aggiungono gli Ermellini, richiamando precedenti pronunce sul tema, che non risulta affatto necessario neppure che la vittima prospetti con esattezza uno o più degli eventi alternativi contemplati dall’articolo 612- bis c.p., potendo desumersi la prova direttamente dagli elementi acquisiti e dalla condotta stessa dell’agente, qualora, in base alle massime di comune esperienza possa risultare idonea a provocare un effetto destabilizzante in una persona comune. Alla stregua di tale ricostruzione, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 settembre – 30 ottobre 2017, n. 49681 Presidente Zaza – Relatore Catena Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Lecce sez. distaccata di Taranto, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Taranto in composizione monocratica in data 22/12/2014 - con cui M.R. era stata condannata a pena di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni nei confronti della costituita parte civile, in relazione al reato di cui agli artt. 612 bis, 594, 81, comma 2, cod. pen., per avere, con condotte reiterate, molestato e minacciato, nonché offeso C.M.G. , inviandole messaggi telefonici e facendole telefonate del tenore sopracitato, ed inoltre seguendola dappertutto, in modo da cagionarle un perdurante e grave stato di ansia e di paura in omissis - dichiarava non doversi procedere nei confronti di M.R. in relazione al reato di cui all’art. 594 cod. pen., perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, rideterminando la relativa pena e riducendo il risarcimento del danno. 2. M.R. ricorre personalmente, in data 24/02/2017, per 2.1. violazione di legge e vizio di motivazione, ex art. 606, lett. b ed e , cod. proc. pen., in riferimento all’art. 612 bis, cod. pen., in quanto l’evento indicato dalla norma, ossia lo stato di ansia o paura, nel caso in esame, difetterebbe dei necessari requisiti della perduranza e della gravità, essendo stata fornita, sul punto, dalla sentenza impugnata, una motivazione lacunosa e contraddittoria, basata, implicitamente, sulla condotta tenuta dall’imputata, come descritta dalla persona offesa, escludendosi la necessità di attestazioni mediche, e snaturando, in tal modo, la connotazione del reato come reato di evento inoltre, le minacce non si sarebbero mai realizzate, nel tempo, dimostrando, in tal modo, la loro chiara infondatezza e l’assenza di lesività per la persona offesa, evidenziandosi, anche sotto detto aspetto, l’insussistenza di qualsivoglia fondato timore, nonché l’insussistenza dell’alterazione delle abitudini di vita, sicuramente non configurabile per la sola circostanza che la persona offesa avesse adottato una nuova utenza telefonica, al fine di evitare di essere raggiunta dalle chiamate della ricorrente 2.2. violazione di legge, ex art. 606, lett. b , cod. proc. pen., in riferimento all’art. 612 bis, cod. pen., con riguardo alla pena inflitta, eccessiva rispetto alla scarsa gravità dei fatti, anche considerato che non sarebbe stato applicato il vincolo della continuazione con i fatti posti a base di altra sentenza di condanna, emessa nei confronti della M.R. in data 23/09/2014, avverso la quale pende ricorso per cassazione né sarebbe adeguata la motivazione circa il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena. Considerato in diritto Il ricorso va dichiarato inammissibile. I motivi di ricorso appaiono del tutto reiterativi delle doglianze poste a fondamento del gravame, non risultando alcuna critica, rilevante in sede di legittimità, della motivazione della sentenza impugnata. La Corte territoriale ha ricordato, anche alla luce della giurisprudenza di legittimità puntualmente citata, come, ai fini delle verificazione di uno degli eventi richiesti dalla fattispecie di cui all’art. 612 bis, cod. pen., il perdurante e grave stato di ansia e di paura non deve assurgere a livello di patologia, salvo che nel caso di contestazione del concorrente delitto di lesioni personali, essendo pertanto sufficiente, ai fini dell’integrazione del delitto di atti persecutori, che si sia prodotto un effetto destabilizzante dell’equilibrio psicologico della vittima. In tal senso la sentenza impugnata ha affermato che non rileva, ai fini della prova dell’evento del reato, la mancata produzione di certificazione medica, considerata la condotta posta in essere dall’imputata - consistita in ossessive e reiterate telefonate minatorie e ingiuriose, oltre ad appostamenti presso l’abitazione della vittima -, che aveva prodotto un effetto destabilizzante per l’equilibrio della persona offesa, la quale aveva riferito di aver patito uno stato ansioso ed una condizione di turbamento, aggravate dall’analoga condizione in cui si erano trovati anche i suoi figli, per cui ella si era vista costretta a cambiare numero telefonico, evitando, altresì, di uscire da casa da sola, e comunque senza evitare di verificare che la M. si trovasse nei paraggi. In tal senso, è stato specificato, la circostanza che le minacce non fossero mai state portate a realizzazione non ne escludeva la concretezza e l’idoneità a produrre uno stato di turbamento nella vittima ciò senza considerare che la eventuale realizzazione delle minacce avrebbe determinato la verificazione di altre e diverse ipotesi criminose. Detta motivazione appare chiaramente immune da censure rilevabili in sede di legittimità, in quanto logicamente ineccepibile ed assolutamente in linea con i principi più volte espressi da questa Corte regolatrice. Ed infatti risulta pacifico che ai fini della integrazione del reato in esame non sia affatto necessario l’accertamento di uno stato patologico enucleabile attraverso perizie e/o certificazioni sanitarie, posto che sotto detto profilo verrebbe meno la differenza con la diversa fattispecie di lesioni personali altro è, infatti, l’evento del delitto di lesioni - che non può che essere costituito da una malattia, intesa in senso ampio, ossia una patologia rilevabile e documentabile tanto a livello fisico che a livello mentale - rispetto ad uno degli eventi alternativamente richiesti dall’art. 612 bis, cod. pen., che evidenziano la produzione di effetti destabilizzanti per la serenità e/o l’equilibrio psicologico della vittima anche in riferimento alle sua quotidiane abitudini di vita Sez. 5, sentenza n. 18646 del 17/02/2017, C., Rv. 270020 Sez. 5, sentenza n. 43085 del 24/09/2015, P.M. in proc. A., Rv. 265231 Sez. 5, sentenza n. 18999 del 19/02/2014, C. ed altro, Rv. 260412 . Ne discende, pertanto, che non risulta affatto necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell’agente, qualora, in base a massime di esperienza, essa sia idonea a produrre un effetto destabilizzante su di una persona comune Sez. 5, sentenza n. 47195 del 06/10/2015, P.M. in proc. S., Rv. 265530 Sez. 5, sentenza n. 24135 del 09/05/2012, G., Rv. 253764 . In relazione, in particolare, alla individuazione del cambiamento delle abitudini di vita, occorre considerare il significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita cui la vittima sente di essere costretta e non la valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate Sez. 5, sentenza n. 24021 del 29/04/2014, G., Rv. 260580 . Quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la sentenza impugnata aveva già osservato che il relativo motivo di gravame fosse già di per sé generico e, comunque, erroneamente formulato, essendosi fatto riferimento ad un giudizio di equivalenza o prevalenza rispetto ad una recidiva mai contestata in ogni caso, è stata sottolineata la gravità delle condotte e la precedente condanna per fatti analoghi, con indicazione specifica della circostanza che la pena risultasse fissata in prossimità del minimo edittale. Peraltro la doglianza contenuta in ricorso appare, sul punto, del tutto generica, omettendo di indicare quali specifiche circostanze non sarebbero state valutate nei giudizio di merito ai fini della graduazione della pena e del riconoscimento delle invocate circostanze attenuanti. In riferimento, infine, alla continuazione, questa era stata chiesta con i motivi di appello in maniera generica, senza l’indicazione della sentenza relativamente alla quale avrebbe dovuto essere applicata, indicando solo l’epoca degli episodi - da marzo-aprile 2010 al febbraio 2011 - neanche specificati quanto al titolo di reato. In ogni caso, il motivo di ricorso è assolutamente generico, non comprendendosi sulla scorta di quali elementi e circostanze sarebbe verificabile l’identità del disegno criminoso ferma restando, in ogni caso, la possibilità di richiedere l’applicazione della continuazione anche in sede esecutiva. Dall’inammissibilità del ricorso discende, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d. lgs. 196/2003 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Motivazione semplificata. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d. lgs. 196/2003 in quanto imposto dalla legge.