Non si gioca a nascondino con i beni: interessanti riflessioni della Corte di Cassazione

In tema di bancarotta fraudolenta la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti, altrettanto vero è che detto orientamento può convivere esclusivamente con il dato relativo alla sparizione fisica dei beni, posto che, se è pur vero che un imprenditore o un amministratore societario può distrarre beni dall’impresa, mascherando la loro sparizione con un artificio contabile costituito da una rettifica del valore iscritto a bilancio, altrettanto vero è che la prova di tale comportamento di sottrazione non può essere ricavata, sic et simpliciter, dalla sola circostanza dell’esistenza della rettifica contabile, non accompagnata dal benché minimo riscontro fattuale circa la mancanza fisica dei beni.

L’accettazione del rito abbreviato non comporta alcuna rinuncia dell’imputato a censurare l’inadeguatezza, l’inconferenza e l’inidoneità probatoria delle prove raccolte contro di lui anzi è proprio tale intendimento che può orientarlo alla scelta del rito abbreviato al fine di stigmatizzare l’insufficienza del materiale d’accusa accumulato dal Pubblico Ministero. Il caso. Avverso una sentenza di condanna resa dalla Corte d’Appello di Bari formulava ricorso il difensore dell’imputato denunciando la violazione della legge e penale, la mancanza la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione agli articoli 125 comma 3, 546, comma 1, lett. e in riferimento all’art. 216 l. f., nonché vizio logico di motivazione della pronuncia medesima. La pronuncia della V Sezione Penale della Corte di Cassazione, di cui consigliamo la lettura in forma estesa, accogliendo il ricorso, offre lo spunto per alcune interessanti speriamo riflessioni . La bancarotta per distrazione e la nota integrativa al bilancio. La Corte richiama la pacifica giurisprudenza in tema di bancarotta per distrazione relativa alla mancanza di beni, di proprietà della fallita, dal magazzino della stessa. Come è noto il principio giurisprudenziale che regola la materia può così riassumersi il Giudice di merito può anche omettere una approfondita ed accurata analisi posto che l’assenza nel patrimonio della fallita di alcuni beni costituisce prova della loro distrazione. Si tratta come detto di tesi ben nota ed anche almeno sotto alcuni profili, condivisibile. La pronuncia in commento però aggiunge un quid pluris al principio esposto che fa riferimento alla natura stessa del magazzino” o, meglio, della valorizzazione del medesimo, considerando in come la stessa, in ragione dell’andamento del mercato o dell’obsolescenza dei beni, possa subire ampie variazioni di valore. Di dette variazioni, ovvero della differente valutazione attribuita al magazzino deve certo darsi conto ai fini della individuazione degli elementi tipici della fattispecie incriminatrice, verificando, concretamente, se essa sia strumento utilizzato ai fini di commettere la violazione contestata oppure, assai più semplicemente, doverosa applicazione di principi e criteri contabili. Proprio ai fini di poter effettuare la predetta valutazione, la Corte ritiene fondamentale il ricorso alle scritture obbligatorie ed ai libri sociali e, significativamente, alla nota integrativa non obbligatoria all’interno della quale, se ben redatta e costruita, può e deve trovarsi spiegazione dell’esistenza delle minusvalenze subite dall’azienda. Viene così attribuita forte rilevanza ad una scrittura non obbligatoria che, potenzialmente, diviene lo strumento attraverso cui ricostruire l’effettivo andamento dell’azienda ed attribuire, laddove esistenti, penali responsabilità nel caso di suo fallimento. Così la Corte afferma, in relazione ai motivi di ricorso, che se è vero che in tema di bancarotta fraudolenta la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti, altrettanto vero è che detto orientamento può convivere esclusivamente con il dato relativo alla sparizione fisica dei beni, posto che, se è pur vero che un imprenditore o un amministratore societario può distrarre beni dall’impresa, mascherando la loro sparizione con un artificio contabile costituito da una rettifica del valore iscritto a bilancio, altrettanto vero è che la prova di tale comportamento di sottrazione non può essere ricavata, sic et simpliciter, dalla sola circostanza dell’esistenza della rettifica contabile, non accompagnata dal benché minimo riscontro fattuale circa la mancanza fisica dei beni. La redazione del bilancio e le minus valenze. A sostegno della tesi prospettata, la Corte si sofferma sulla caratteristiche che giuridicamente deve possedere il bilancio ricordando come, ex art. 2423, comma 2, c.c. esso debba essere redatto con chiarezza e debba rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio. Ancora, l’art. 2423- bis , n. 1, c.c. impone che la valutazione delle voci debba essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuità aziendale, tenendo conto della funzione economica dell’elemento dell’attivo e del passivo preso in considerazione e come l’art. 2426, n. 9, c.c., indichi, in relazione alle rimanenze che esse debbano essere iscritte al costo di acquisto o produzione ma al valore di realizzazione secondo l’andamento del mercato, se detto valore è minore di quelli di acquisto o produzione. Dunque è lo stesso Legislatore che indica non solo come possibili ci mancherebbe altro le minus valenze ma come esse siano da considerarsi in qualche misure fisiologiche con l’obbligo, allorché esse si siano verificate di immediata annotazione e pubblicizzazione. Il che contrasta con qualsivoglia applicazione di falsi sillogismi in ordine alle valutazioni delle rimanenze. La natura del giudizio abbreviato ed i poteri di censura dell’operato della pubblica accusa. Il secondo motivo di ricorso per cassazione consente alla Corte di soffermarsi su di un tema a me particolarmente caro, ovvero la natura del giudizio abbreviato in relazione ai poteri spettanti alle parti. Ho sempre ritenuto che il giudizio abbreviato fosse un’occasione importante da cogliere, per una difesa attenta, soprattutto allorché i risultati della fase delle indagini preliminari fossero piuttosto lacunosi. In una simile ipotesi la difesa avrebbe potuto, a mio avviso, contestare e censurare l’inadeguatezza, l’inconferenza e l’inidoneità probatorie delle prove raccolte a carico dell’imputato e, pertanto, richiederne assoluzione. Il cosiddetto patteggiamento sul rito a mio parere non limitava in nessun caso i poteri della difesa che, anzi, proprio dalla mancata effettuazione di indagini puntuali poteva e doveva trarre vantaggio. Si tratta indubitabilmente di una logica puramente avversariale che, almeno in parte, non tiene conto dei poteri esercitabili ex officio dal giudice, che dovrebbero essere eliminati, ma che mi pareva e mi pare potesse essere perseguita con una qualche utilità. Quando ho letto che gli Ermellini affermavano che è evidente che l’accettazione del rito abbreviato non comporta alcuna rinuncia dell’imputato a censurare l’inadeguatezza, l’inconferenza e l’inidoneità probatoria delle prove raccolte contro di lui anzi è proprio tale intendimento che può orientarlo alla scelta del rito abbreviato al fine di stigmatizzare l’insufficienza del materiale d’accusa accumulato dal Pubblico Ministero mi sono reso conto che basta poco, anzi pochissimo, per essere felici.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 luglio – 27 ottobre 2017, numero 49507 Presidente Lapalorcia – Relatore Scotti Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 7/10/2015 la Corte di appello di Bari ha confermato la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari dell’11/3/2008, appellata dall’imputato, che aveva ritenuto C.S.M. , quale amministratore della omissis s.r.l. dichiarata fallita il 6/3/2007, responsabile del reato di cui all’articolo 216 legge fall. e, concesse le attenuanti generiche e la diminuente per la scelta del rito, lo aveva condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, dichiarandolo inabilitato per dieci anni all’esercizio di imprese commerciali e uffici direttivi. Il C. era accusato di aver occultato parte delle giacenze di merci all’inizio del 2002 per Euro 136.000,77 valore riportato nella scheda minusvalenza , riveniente dalla differenza fra il valore delle merci al 1/1/2002 di Euro per Euro 141.189,77, riscontrato nel libro giornale2e quanto risultante dalla scheda contabile al 31/12/2002 e nell’inventario 20002 per Euro 5.189,00 quale rimanenza iniziale. 2. Ha proposto ricorso nell’interesse dell’imputato il difensore di fiducia, avv.Raffaele Della Valle, svolgendo quattro motivi. 2.1. Con il primo motivo, proposto ex articolo 606, comma 1, lett. b ed e , cod.proc.penumero il ricorrente denuncia violazione della legge penale e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione agli articolo 125, comma 3, 546, comma 1, lett. e in riferimento all’articolo 216 legge fall Erano state totalmente eluse le plurime deduzioni difensive, e non solo alcune di esse, e la scarna motivazione proposta non era neppure idonea a disattenderle, anche solo implicitamente. L’affermazione secondo cui l’assenza nel patrimonio della fallita di alcuni beni costituiva prova della loro distrazione, non aveva la natura di discorso argomentativo capace di rispondere alle deduzioni difensive e si risolveva in una motivazione meramente apparente. 2.2. Con il secondo motivo, proposto ex articolo 606, comma 1, lett. e , cod.proc.penumero il ricorrente denuncia vizio logico della motivazione non avendo la difesa mai richiesto ulteriori deduzioni probatorie, mentre la Corte territoriale aveva confuso con tale richiesta le censure di incompletezza e lacunosità invece mosse alla consulenza di accusa proprio sulla base delle carte processuali. 2.3. Con il terzo motivo, proposto ex articolo 606, comma 1, lett. b ed e , cod.proc.penumero il ricorrente denuncia violazione della legge penale e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione agli articolo 125, comma 3, 546, comma 1, lett. e , in riferimento all’articolo 216 legge fall. e all’insussistenza di una condotta di occultamento e distrazione. I Giudici di appello avevano ritenuto la spiegazione contenuta nella nota integrativa, pur non obbligatoria, come prospettante una tesi meramente assertiva e strumentale a fini difensivi non si erano resi così conto, da un lato, che la connotazione in termini di assertività è propria di qualsiasi dato, spiegazione, prospettazione contabile contenuta nel bilancio e relative scritture, dall’altro avevano attribuito valenza strumentale ad una appostazione effettuata ben tre anni prima del fallimento e cinque anni prima della formulazione dell’accusa. La Corte era poi incorsa in ulteriore errore, non rendendosi conto che l’errore di valutazione, inizialmente incorso e successivamente corretto era una spiegazione ragionevole della minusvalenza e trovava spiegazione della sua origine nelle carte processuali nota integrativa al bilancio chiuso al 31/12/2002 inoltre le rimanenze erano state appostate comunque in bilancio a valore opportunamente ridotto, proprio come la sentenza stessa auspicava. L’operazione di devalutazione correttiva della posta non era anomala, era stata regolarmente registrata, imputando il valore delle merci in giacenza al conto minusvalenza voce 21 del conto economico ed era stata correttamente motivata e spiegata nell’immediatezza. 2.4. Con il quarto motivo, proposto ex articolo 606, comma 1, lett. b ed e , cod.proc.penumero il ricorrente denuncia violazione della legge penale e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione agli articolo 125, comma 3, 546, comma 1, lett. e , 42 cod.penumero in riferimento all’articolo 216 legge fall. e all’insussistenza del dolo di occultamento. Secondo la sentenza impugnata, il dolo generico di occultamento era intrinseco alla scelta deliberata e consapevole di occultare i beni e si confondeva quindi con l’elemento oggettivo e la condotta del reato, con un automatismo non consentito dall’articolo 42 cod.penumero che esige il dualismo azione/animus, nei suoi momenti volitivo e conoscitivo. Era quindi necessaria la coscienza e volontà di compiere un atto in pregiudizio dei creditori, tanto meno ravvisabile in un contesto in cui il C. si era adoperato con risorse finanziarie personali a tentare di appianare la situazione debitoria della società e a soddisfare i creditori ed aveva registrato linearmente la pretesa operazione di occultamento nelle scritture societarie bilancio, nota integrativa e inventario . Considerato in diritto 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione della legge penale e mancanza di adeguata motivazione, in relazione agli articolo 125, comma 3, 546, comma 1, lett. e , in riferimento all’articolo 216 legge fall. Il Giudice di primo grado aveva ritenuto che il C. avesse sottratto dai magazzini della società fallita merce per 136.000,77 e sulla base della consulenza tecnica eseguita su incarico del Pubblico Ministero che aveva assunto la drastica riduzione delle rimanenze ad appena Euro 5.189,00 al 31/12/2002, in difetto di riscontri documentali e in mancanza della nota integrativa. Con l’appello l’imputato, richiamato il materiale probatorio depositato all’udienza dell’11/3/2008, aveva rappresentato, da un lato, che la nota integrativa, pur non obbligatoria, era stata allegata al bilancio al 31/12/2002 ed aveva evidenziato, dall’altro, la natura contabile dell’operazione, effettuata in sintonia con i principi contabili e con l’appostazione di una minusvalenza, puntualmente segnalata nel documento allegato al bilancio. Inoltre l’appellante aveva segnalato il proprio impegno finanziario personale per soddisfare i creditori della società, in evidente contrasto con il ravvisato intento di agire in pregiudizio della massa creditoria. La Corte territoriale ha invocato, in modo inappropriato,il principio secondo il quale il giudice del merito può anche omettere una approfondita e accurata analisi di tutte le deduzioni difensive delle parti, purché esponga sufficienti elementi a carico dell’indagato per un determinato reato, visto che il Giudice di prima cura, aderendo acriticamente alla consulenza del Pubblico Ministero,aveva addirittura prospettato una ricostruzione in fatto completamente falsata in punto inesistenza della nota integrativa e aveva ignorato una evidenza documentale chiaramente fondamentale con la quale non poteva omettere di confrontarsi ossia la rettifica della posta ritenuta sopravvalutata con la formazione a bilancio di una corrispondente voce di minusvalenza . L’affermazione per cui l’assenza nel patrimonio della fallita di alcuni beni costituiva prova della loro distrazione si risolve in realtà in una motivazione meramente apparente, probabilmente generata dall’equivoco fondamentale in cui sono incorsi entrambi i Giudici del merito, ravvisando una sparizione fisica di beni per il solo fatto di una loro diversa valorizzazione contabile. 2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizio logico della motivazione, effettivamente sussistente, poiché la difesa non aveva mai richiesto ulteriori deduzioni probatorie. La Corte territoriale rimprovera erroneamente all’appellante, al § 3 di pag.4 della sentenza impugnata, di essersi ribellato allo statuto probatorio del giudizio abbreviato, caratterizzato dal patteggiamento negoziale sul rito comportante la definizione sulla base degli atti di indagine già acquisiti e con la rinuncia a richiedere nuovi mezzi di prova. In effetti la Corte barese ha confuso le censure di incompletezza e lacunosità mosse alla consulenza di accusa, proprio sulla base delle carte processuali, con una inesistente richiesta di ulteriori attività istruttorie. È evidente che l’accettazione del rito abbreviato non comporta alcuna rinuncia dell’imputato a censurare l’inadeguatezza, l’inconferenza e l’inidoneità probatoria delle prove raccolte contro di lui anzi è proprio tale intendimento che può orientarlo alla scelta del rito abbreviato al fine di stigmatizzare l’insufficienza del materiale d’accusa accumulato dal Pubblico Ministero. 3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione della legge penale e vizi logici della motivazione, in relazione agli articolo 125, comma 3, 546, comma 1, lett. e ,cod.proc.penumero in riferimento all’articolo 216 legge fall. e all’insussistenza di una condotta di occultamento e distrazione. I Giudici di appello avevano ritenuto che la spiegazione contenuta nella nota integrativa prospettasse una tesi meramente assertiva e strumentale a fini difensivi. 3.1. È pienamente condivisibile la censura sollevata dal ricorrente che rimprovera alla Corte territoriale di aver sostanzialmente confuso una sparizione fisica con una diversa valorizzazione contabile di beni, effettuata mediante rettifica della posta di bilancio. Del resto, né il capo di imputazione, né la consulenza del Pubblico Ministero, stando a quanto richiamato nel provvedimento impugnato, prospettavano elementi a supporto della sparizione fisica di beni, basandosi invece semplicemente su di un dato contabile, ossia il confronto fra il valore delle merci rappresentato a libro giornale all’inizio del 2002 e quello risultante dalla scheda contabile dal libro degli inventari alla fine dell’esercizio 2002. 3.2. È stata quindi richiamata in modo non pertinente la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui In tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti. ex plurimis Sez. 5, numero 11095 del 13/02/2014, Ghirardelli, Rv. 262740 tale orientamento, infatti, presuppone il dato fisico della mancanza dei beni, senza il quale nemmeno può prospettarsi la loro distrazione che implica la trasmissione indebita a terzi , ovvero il loro occultamento, ossia la conservazione aliunde del possesso, in modo segreto e clandestino. 3.3. È certamente astrattamente possibile che un imprenditore o un amministratore societario distragga beni dell’impresa, mascherando la loro sparizione con un artificio contabile costituito da una rettifica del valore iscritto a bilancio, ma la prova di tale comportamento di sottrazione non può essere ricavata, come è avvenuto nella fattispecie, sic et simpliciter dalla sola circostanza dell’esistenza della rettifica contabile, non accompagnata dal benché minimo riscontro fattuale circa la mancanza fisica dei beni. 3.4. La Corte barese pretende la prova documentale della presenza delle merci a magazzino o della loro alienazione a prezzo vile pag.5, terzo capoverso , senza considerare la carenza di prova del dato essenziale posto a sostegno del ragionamento accusatorio, ossia la mancanza fisica delle merci in questione che, secondo l’unica prova documentale a sostegno dell’accusa, erano state semplicemente valutate al ribasso in rettifica . 3.5. Il ricorrente osserva, ancora condivisibilmente, che la Corte non si era resa così conto che la connotazione in termini di assertività è propria di qualsiasi dato, spiegazione e prospettazione contabile contenuta nel bilancio e nelle relative scritture, che articolano valutazioni, sia pur nel rispetto di un ventaglio di parametri normativi inoltre sembra veramente disagevole cogliere profili strumentali in un’operazione contabile di appostazione effettuata tre anni prima del fallimento e cinque anni prima della formulazione dell’accusa, senza neppure porsi il problema delle condizioni economico-finanziarie della società in quel momento tale tema, del tutto trascurato, veniva in rilievo, non tanto e non solo ai fini del pericolo concreto di pregiudizio alle ragioni dei creditori, quanto, piuttosto e soprattutto, nella prospettiva della strumentalità dell’operazione, apoditticamente ravvisata. 3.6. Se pur astrattamente era possibile cogliere nell’operazione contabile, una volta debitamente inquadrata nel contesto storico in cui era stata eseguita, una possibile manovra di occultamento o distrazione o sottrazione , beninteso a patto di individuare i congrui elementi indiziari che sorreggessero tale valutazione, certo non era possibile ravvisare siffatta manovra di occultamento o distrazione o sottrazione nella stessa operazione contabile, come ha fatto la Corte barese, incorrendo nello stesso errore del primo Giudice. L’errore di valutazione, inizialmente incorso e successivamente corretto era una spiegazione ragionevole della minusvalenza e trovava rispondenza della sua origine in carte processuali totalmente ignorate in primo grado e non adeguatamente considerate in secondo grado ossia la nota integrativa al bilancio chiuso al 31/12/2002 . Tra l’altro, le rimanenze, pur devalutate in misura ingente erano state appostate comunque in bilancio a valore correlativamente ridotto, proprio come la stessa sentenza impugnata auspicava al § 4.1. di pagina 5, secondo capoverso, come comportamento teoricamente dovuto. 3.7. L’operazione di rettificazione correttiva della posta non era di per sé anomala semmai era stata motivata in modo piuttosto sommario , era stata regolarmente registrata, imputando il valore delle merci in giacenza al conto minusvalenza voce 21 del conto economico ed era stata pubblicizzata nell’immediatezza, ossia in occasione della redazione del bilancio di esercizio al 31/12/2002. Occorre infatti tener presente che ex articolo 2423, comma 2, cod.civ., il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio inoltre, ai sensi dell’articolo 2423 bis, numero 1, cod. civ., la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuità aziendale, tenendo conto della funzione economica dell’elemento dell’attivo e del passivo preso in considerazione l’articolo 2426 numero 9 , cod. civ, quanto alle rimanenze, prescrive che le stesse debbano essere iscritte al costo di acquisto o produzione, ma al valore di realizzazione secondo l’andamento del mercato, se minore. 3.8. Infine, non sussistono né prove, né indizi che il C. abbia effettuato un’operazione contabile fraudolenta devalutando i beni in questione, così commettendo il diverso reato di false comunicazioni sociali, previsto dall’articolo 2621 cod. civ. ed eventualmente di bancarotta fraudolenta impropria di cui all’articolo 223, comma 2, numero 1, legge fall. pur sempre configurabili, anche dopo le modifiche apportate dalla legge 27 maggio 2015, numero 69, in relazione alla esposizione in bilancio di enunciati valutativi, se l’agente, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, se ne discosti consapevolmente e senza fornire adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni. Sez. U, numero 22474 del 31/03/2016, Passarelli e altro, Rv. 2668030 Sez. 5, numero 890 del 12/11/2015 - dep. 2016, Giovagnoli, Rv. 265691 . 4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione della legge penale e vizio logico della motivazione in riferimento alla ritenuta sussistenza del dolo di occultamento. La sentenza impugnata ravvisa il dolo generico di occultamento come intrinseco alla scelta deliberata e consapevole di occultare i beni, ma risente chiaramente dell’errore di fondo che l’aveva portata a configurare un occultamento in una mera devalutazione. In ogni caso, la necessità della coscienza e volontà di compiere un atto in pregiudizio dei creditori doveva essere valutata in relazione al contesto in cui il C. aveva dedotto di essersi adoperato con risorse finanziarie personali a tentare di appianare la situazione debitoria della società e a soddisfare i creditori affermazione non contestata dalla Corte territoriale ma ritenuta erroneamente irrilevante, con conseguente difetto motivazionale ed aveva registrato in modo del tutto trasparente la pretesa operazione di occultamento nelle scritture societarie bilancio, nota integrativa e inventario con una condotta la cui reale valenza, perlomeno dichiarata, mirava ad una più corretta informazione dei terzi, e quindi anche del ceto creditorio, circa la reale portata della garanzia patrimoniale della società. 5. La sentenza impugnata deve quindi essere annullata, senza rinvio, poiché il fatto non sussiste ex articolo 530 cod.proc.penumero P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.