Fumus commissi delicti: non è necessaria la gravità indiziaria ma solo l’astratta configurabilità della fattispecie di reato contestata

In tema di sequestro preventivo, la verifica del fumus” del reato non deve risolversi in un giudizio, seppure prognostico, di colpevolezza in ragione della fase cautelare cui accede, essendo sufficiente la verifica circa la coerenza con le emergenze investigative acquisite dell’ipotesi di reato provvisoriamente ascritta nelle sue componenti oggettive e soggettive.

E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 48227 del 19 ottobre 2017. Il caso. Il giudizio trae origine da un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente emesso nei confronti di un soggetto per il delitto di cui all’art. 640- bis c.p. Nel caso di specie, l’indagato aveva ottenuto l’erogazione di alcuni finanziamenti regionali mediante la presentazione di progetti rivelatisi fittizi. Il decreto veniva confermato dal Tribunale del riesame, sicché l’indagato si rivolgeva alla Corte di Cassazione. La valutazione in concreto del fumus. Sotto un primo profilo, il ricorrente lamenta una carenza motivazionale in ordine alla valutazione del fumus commissi delicti . Nel respingere il motivo di ricorso, la Corte di Cassazione richiama il costante principio giurisprudenziale secondo cui, in tema di sequestro preventivo, la verifica del fumus ” non implica un vero e proprio giudizio di colpevolezza non è richiesta la ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è operato il sequestro, ma è sufficiente che sussista l’astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato. Invero, considerato che la serietà degli indizi” costituisce presupposto per l’applicazione delle misure cautelari, è comunque necessario che il giudice valuti la sussistenza del fumus delicti ” in concreto, verificando in modo puntuale e coerente gli elementi in base ai quali desumere l’esistenza del reato astrattamente configurato. In definitiva, pur non richiedendosi un giudizio prognostico sull’esito del vaglio processuale, la valutazione del fumus deve restare ancorata alle circostanze del caso concreto. I motivi di ricorso contro le ordinanze di sequestro preventivo. Ciò posto, i Giudici di legittimità sottolineano che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, ossia, da un lato, per gli errores in iudicando ” o in procedendo ”, dall’altro, per quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza. Pertanto, in sede di legittimità non è possibile estendere il vaglio alle lacune argomentative e ai profili strettamente inerenti la valutazione del compendio indiziario sotto l’aspetto della completezza e della logica dimostrativa. Applicando i principi richiamati al caso di specie, i Giudici di legittimità escludono la mera apparenza della motivazione resa in quanto il Tribunale del riesame, oltre ad aver richiamato le plurime risultanze investigative a sostegno degli assunti accusatori, ha evidenziato la inidoneità degli elementi allegati dalla difesa a discarico ad incidere sul quadro indiziario. La confisca per equivalente del prezzo del reato. Sotto altro profilo, la Corte di Cassazione respinge la censura con cui il ricorrente ha lamentato la pretesa applicazione retroattiva di norma penale di sfavore per effetto della disposta confisca del profitto del reato in relazione a condotte commesse nel marzo 2012, ossia prima che la l. n. 190/2012 estendesse l’ambito di applicazione della confisca per equivalente, fino ad allora limitata al prezzo del reato. In realtà, al riguardo, la giurisprudenza aveva già avuto modo di evidenziare che, in tema di confisca per equivalente, le modifiche introdotte con la l. n. 190/2012 non hanno avuto carattere innovativo rispetto al combinato disposto di cui agli artt. 640-quater e 322-ter c.p. Invero, le Sezioni Unite, con pronuncia n. 41936/2005, hanno chiarito che la misura ablatoria disposta per uno dei reati previsti dall’art. 640- quater c.p. poteva avere ad oggetto beni per un valore equivalente non solo al prezzo, ma anche al profitto del reato, in quanto la citata disposizione richiama l’intero art. 322- ter c.p., e non soltanto il comma 1.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 19 settembre – 19 ottobre 2017, n. 48227 Presidente Cammino – Relatore De Santis Ritenuto in fatto 1.Con l’impugnata ordinanza il Tribunale del Riesame di Roma confermava il decreto di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, di somme di danaro e beni immobili fino alla concorrenza di Euro 221.472,00, emesso dal Gip del Tribunale di Roma nei confronti di P.S. , indagato in relazione al delitto di cui all’art. 640 bis cod.pen., commesso in Roma negli anni 2011-2012. Si ascrive al P. nelle incolpazioni provvisorie di cui ai capi A,B, C e D della rubrica di avere presentato, in veste di amministratore e socio della Mediroyal scarl e in ATI con l’ISWEL, tre domande di finanziamento in relazione a tre edizioni del progetto corso di aggiornamento nel settore dell’informatica , approvate con determinazioni regionali del 29/10/2010, cui faceva seguito il 19/3/2012 l’erogazione di acconti pari ad Euro 73.824,00 per ciascun corso, pari al 40% del finanziamento ammesso. Nel maggio del 2012 i finanziamenti venivano parzialmente revocati in assenza di documentazione attestante il regolare svolgimento delle attività formative. La tesi d’accusa postula, sulla base delle investigazioni svolte dalla Guardia di Finanza, che plurime richieste di finanziamento avanzate nell’ambito del bando c.d. SP.R.I.N.TE.R sportello per la ricollocazione e l’inserimento nel tessuto economici regionale , riconducibili all’iniziativa della coindagata F.M. , fossero finalizzate all’illegittima acquisizione di fondi pubblici mediante la presentazione di progetti rivelatisi fittizi, utilizzando all’uopo modalità truffaldine ricorrenti quali l’incasso del primo acconto dei finanziamenti approvati e il successivo dissolvimento delle società beneficiarie realizzato attraverso l’interposizione di prestanomi o l’irreperibilità delle stesse. 2. Ha proposto ricorso per Cassazione P.S. a mezzo del difensore, deducendo 2.1 l’erronea applicazione degli artt. 321 e 192 cod.proc.pen. nonché dell’art. 125 comma 3 cod.proc.pen., avendo il Tribunale omesso di motivare in ordine alla censura difensiva concernente la mancanza da parte del Gip emittente di un’autonoma valutazione degli elementi prospettati dal P.m. nella richiesta di applicazione della misura. In particolare, il Gip avrebbe trascurato di rilevare la grave lacunosità delle indagini poste a base del decreto di sequestro, sostenendolo con una motivazione contraddittoria dal momento che l’indagato non era socio della Mediroyal a.r.l. ma della Royalfine, società consorziata della prima il cui amministratore all’epoca dei fatti era C.D. , e in detta compagine si occupava esclusivamente del settore commerciale. In dettaglio, l’indagato non avrebbe curato la predisposizione del progetto né avrebbe avuto parte nelle comunicazioni e nei rapporti intrattenuti con l’ente erogatore che facevano capo all’amministratore C.D. 2.2 la violazione degli artt. 110,640 bis,61 n. 7 cod.pen. in relazione agli artt. 24,11 Cost., 321, 391 bis, 125 comma 3 cod.proc.pen. per avere il Tribunale posto a fondamento della reiezione del gravame difensivo una motivazione meramente apparente sul piano del fumus commissi delicti, desumendolo dalla sottoscrizione dell’indagato del progetto ATI con Iswel, trascurando i criteri minimi di ascrizione della partecipazione al fatto giacché la circostanza si colloca temporalmente in una fase di molto anteriore al perfezionamento della truffa, coincidente con l’erogazione delle somme in acconto. Inoltre, il Tribunale ha contestato la valenza indiziante del parere tecnico della dott.ssa Pi.An. che -dopo gli opportuni accertamenti ha concluso che la sottoscrizione del P. in calce alla dichiarazione di intenti deve ritenersi con ampia probabilità apocrifa ha travisato le dichiarazioni ex art. 391 bis cod.proc.pen. di Pe.Sa.Da. ha disatteso il rilievo in ordine all’assenza di contatti tra il P. e gli altri coindagati anche alla stregua delle risultanze dei tabulati telefonici e trascurato l’oggettiva circostanza secondo cui, in ogni caso, non era configurabile un ingiusto profitto a favore della Mediroyal giacché pacificamente le somme a titolo di acconto venivano accreditate sul conto corrente della cooperativa Insieme, riconducibile alla F. 2.3 l’erronea applicazione degli artt. 640 quater e 322 ter cod.pen. in relazione agli artt. 25 comma 2 Cost., 7 comma 1 II parte CEDU, 125 comma 3 e 321 comma 2 cod.proc.pen. avendo il collegio cautelare disatteso, con motivazione apparente, la doglianza difensiva secondo cui il provvedimento impositivo risultava illegittimo in quanto la confisca ex art. 321 comma 2 codice di rito è inapplicabile al conto corrente familiare sul quale vengono canalizzati gli stipendi dei coniugi e destinato al soddisfacimento dei bisogni del nucleo i né poteva farsi ricorso alla confisca obbligatoria per equivalente in ragione del principio di irretroattività della norma penale di sfavore, avendo il Gip applicato la misura in relazione a condotte perfezionatesi nel marzo 2012 mentre solo la L. 6/11/2012 n. 190 estendeva l’ambito di operatività della confisca per equivalente anche al profitto del reato. Considerato in diritto 3.Quanto al primo motivo che denunzia il totale difetto di motivazione in ordine alla doglianza concernente l’asserita mancanza di autonoma valutazione da parte del Gip del compendio sottoposto al suo esame deve rilevarsene l’inammissibilità per manifesta infondatezza. Invero, la difesa del ricorrente sembra desumere l’assenza di autonoma valutazione da parte del Gip da una serie di circostanze fattuali che denotano nella prospettiva del ricorrente un inesatto apprezzamento delle emergenze investigative. Non viene, dunque, in rilievo in quanto non argomentata l’assenza di un esame critico degli elementi oggettivi emersi nel corso delle indagini e segnalati dalla richiesta del pubblico ministero ovvero la mancata esplicitazione delle ragioni per cui gli stessi sono ritenuti idonei a supportare l’applicazione della misura Sez. 3, n. 35296 del 14/04/2016, P.M. in proc. Elezi, Rv. 26811301 quanto l’esito della valutazione operata, in tesi frutto di trascuratezza e approssimazione. L’eccentricità dei contenuti della censura rispetto all’enunciazione replica la prospettazione operata in sede di riesame e dà conto del fatto che il Tribunale, dopo averla esposta, sottolineando il richiamo alla grave lacunosità delle indagini poste a base del decreto di sequestro , l’ha delibata nell’ambito della valutazione sul fumus commissi delicti, sede propria dei rilievi in fatto sviluppati nel gravame e in questa sede riproposti, con sottesa sollecitazione ad una rilettura del merito radicalmente preclusa in sede di legittimità e vieppiù in tema di misure cautelari. 4. Ad analoghi esiti deve pervenirsi con riferimento alla doglianza che deduce la violazione dell’art. 640 bis cod.pen. e l’apparenza della motivazione in ordine alla valutazione del fumus commissi delicti. Questa Corte ha in più occasioni ribadito il principio, che il Collegio condivide, secondo cui in tema di sequestro preventivo, la verifica del cosiddetto fumus non può estendersi fino ad un vero e proprio giudizio di colpevolezza Sez. 2, n. 2248 del 11/12/2013, Mirarchi, Rv. 260047 , esulando dall’assetto dell’istituto la ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è operato il sequestro, essendo invece sufficiente che sussista l’astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato Sez. 2, n. 5656 del 28/01/2014, P.M. in proc. Zagarrio, Rv. 258279 n. 41435 del 16/09/2014, Assoc. Integrazione Immigrati ed altri, Rv. 260043 Sez. 6, n. 10618 del 23/02/2010,P.m. in proc. Olivieri, Rv. 246415 . La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, precisato nella sua massima espressione nomofilattica Sez. U. n. 4 del 23 marzo 1993, Gifuni, Rv. 193117 n. 920 del 17 dicembre 2003 Montella, Rv. 226492 che le condizioni generali per l’applicabilità delle misure cautelari personali, indicate nell’art. 273 cod.proc.pen., non sono estensibili, per le loro peculiarità, alle misure cautelari reali, essendo preclusa per queste ultime, in sede di verifica della legittimità del provvedimento di sequestro preventivo di un bene, ogni valutazione sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza a carico dell’indagato e sulla gravità degli stessi giacché le condizioni necessarie e sufficienti per disporre il sequestro preventivo consistono, quanto al fumus commissi delicti, nella astratta configurabilità, del fatto attribuito all’indagato ed in relazione alle concrete circostanze indicate dal Pubblico Ministero, di una ipotesi criminosa, senza che rilevi la gravità indiziaria e, quanto al periculum in mora, nella presenza di seri indizi della esistenza del periculum in mora e/o delle condizioni che legittimano la confisca. Simile opzione ermeneutica ha resistito al vaglio della Corte Costituzionale che con ordinanza n. 153 / 2007 ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 324 cod.proc.pen. in relazione all’art. 111 Cost., comma 2, nella parte in cui limiterebbe i poteri del Tribunale del riesame alla verifica della sola astratta possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato per le misure cautelari reali senza impingere il presupposto della gravità indiziaria, proprio della cautela personale. Sulla scia delle pronunzie sopra richiamate si è ulteriormente precisato che, sebbene ai fini dell’emissione del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto del reato, non occorra un compendio indiziario che si configuri come grave ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen., è comunque necessario che il giudice valuti la sussistenza del fumus delicti in concreto, verificando in modo puntuale e coerente gli elementi in base ai quali desumere l’esistenza del reato astrattamente configurato, in quanto la serietà degli indizi costituisce presupposto per l’applicazione delle misure cautelari Sez. 3, n. 37851 del 04/06/2014, Parrelli, Rv. 260945 Sez. 6, n. 45591 del 24/10/2013,Ferro, Rv. 257816, nonché Sez. 5, n. 18078 del 26/01/2010, De Stefani, Rv. 247134 . In dette pronunzie l’accento cade sulla necessità che la valutazione del fumus resti ancorata alle circostanze del caso concreto, saggiando la capacità dimostrativa degli elementi indiziari acquisiti, pur in assenza di proiezioni prognostiche sull’esito del vaglio processuale in senso stretto. 4.1 Non ignora la Corte il difforme orientamento di legittimità secondo cui il giudice del riesame nella valutazione del fumus commissi delicti non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile l’impostazione accusatoria, e plausibile un giudizio prognostico negativo per l’indagato, pur senza sindacare la fondatezza dell’accusa Sez. 5, n. 49596 del 16/09/2014, Armento, Rv. 261677 Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015,P.m. in proc. Macchione, Rv. 265433 , prospettiva che riassume in sé in termini scarsamente conciliabili il riconoscimento dell’esclusione del sindacato sulla fondatezza dell’accusa provvisoriamente formulata e nel contempo la valutazione ex ante dell’idoneità degli elementi prospettati necessariamente fluidi in ragione della fase a darle fondamento giuridico e fattuale. Ciò a maggior ragione ove si tenga conto dell’ulteriore pacifica affermazione alla cui stregua il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo , sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice ex multis Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli e altro, Rv. 269656 sulla riconducibilità alla violazione di legge dell’inesistenza o apparenza della motivazione non anche dell’illogicità manifesta Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119 , giacché la mancanza o l’apparenza dell’apparato giustificativo di un provvedimento integrano la violazione dell’art. 125 cod.proc.pen I ben delimitati confini del sindacato di legittimità ricusano la possibilità di estendere in questa sede il vaglio alle lacune argomentative e ai profili strettamente inerenti la valutazione del compendio indiziario sotto l’aspetto della completezza e della logica dimostrativa. 4.2 Nella specie, i rilievi difensivi non colgono nel segno, dovendosi escludere la mera apparenza della motivazione resa in quanto il collegio cautelare ha dato risposta alle censure difensive, da un lato richiamando le plurime risultanze investigative a sostegno degli assunti accusatori, dall’altro evidenziando quale indice della partecipazione del ricorrente al progetto delittuoso la sottoscrizione del rapporto Ati con la Isweil di fatto riferibile alla F. , i certi rapporti con la predetta coindagata, desumibili anche dalla dichiarazioni difensive rese dal teste Pe. , sottolineando la presenza costante e rilevante del P. nello svolgimento dei meccanismi operativi dell’attività imprenditoriale . Né il Tribunale ha omesso di considerare gli elementi allegati dalla difesa a discarico, pur ritenendoli inidonei ad incidere sul quadro indiziario, fornendo ampia e persuasiva motivazione delle ragioni che precludono di riconnettere valenza esimente al parere redatto dalla consulente di parte sulla pretesa apocrifia della sottoscrizione in calce alla lettera d’intenti. Appare, dunque, del tutto infondata la tesi del ricorrente che vuole il provvedimento impugnato sprovvisto dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice per pervenire alla decisione reiettiva. Ritiene, dunque, la Corte che la verifica del fumus del reato non debba risolversi in un giudizio, seppure prognostico, di colpevolezza in ragione della fase cautelare cui accede, essendo sufficiente la verifica circa la coerenza con le emergenze investigative acquisite dell’ipotesi di reato provvisoriamente ascritta nelle sue componenti oggettive e soggettive. Pertanto, alla luce delle valutazioni operate dal Tribunale cautelare, le censure fatte valere nel presente ricorso devono reputarsi non deducibili nel giudizio di legittimità poiché riferite a pretesi vizi motivazionali non scrutinabili ex art. 325 comma 1 cod.proc.pen 5. Quanto al terzo motivo che deduce l’erronea applicazione dell’art. 321 cod.proc.pen. con riguardo al sequestro del conto corrente familiare, destinato al convogliamento degli stipendi del prevenuto e della moglie e al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, il Tribunale ha evaso il rilievo difensivo sottolineando come non emerga in atti né sia stato documentato l’accredito sul c/c XXXXXX Mediolanum dello stipendio del P. e della coniuge, con conseguente inapplicabilità della regola generale circa il divieto di sequestro, pignoramento e cessione di stipendi e assegni retributivi di dipendenti dello Stato e degli enti pubblici ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1 e 2 d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 in misura eccedente un quinto del loro importo al netto delle ritenute. 6. Destituita di pregio è anche la conclusiva doglianza circa la pretesa applicazione retroattiva di norma penale di sfavore per effetto della disposta confisca del profitto del reato in relazione a condotte commesse nel marzo 2012, prima che la L. 190/2012 estendesse l’ambito d’applicazione della confisca per equivalente, fino ad allora confinata al prezzo del reato. Questa Corte ha evidenziato che in tema di confisca per equivalente le modifiche introdotte con la legge n. 190 del 2012 non hanno carattere innovativo rispetto al combinato disposto di cui agli artt. 640 quater e 322 ter cod. pen., in quanto, anche prima della novella, la misura ablatoria disposta per uno dei reati previsti dall’art. 640 quater cod. pen. poteva avere ad oggetto beni per un valore equivalente non solo al prezzo, ma anche al profitto del reato. Sez. 2, n. 31229 del 26/06/2014, Borda, Rv. 260368 . Invero, la formulazione dell’art. 640 quater cod.pen., la quale prevede che per l’ipotesi di cui all’art. 640 bis cod.pen. si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nell’art. 322 ter c.p. , ha alimentato il dubbio, ben prima dell’entrata in vigore della L. n. 190 del 2012, se il rinvio all’art. 322 ter fosse limitato al solo comma 1 ovvero all’intera disposizione, originando un contrasto giurisprudenziale risolto da Sez. U. 41936 del 25/10/2005,Muci, Rv. 232164, che ha affermato il principio secondo cui il sequestro preventivo, funzionale alla confisca, disposto nei confronti della persona sottoposta ad indagini per uno dei reati previsti dall’art. 640 quater cod. pen. può avere ad oggetto beni per un valore equivalente non solo al prezzo, ma anche al profitto del reato, in quanto la citata disposizione richiama l’intero art. 322 ter cod. pen., sicché alla L. 190/2012 deve riconoscersi sul punto un valore meramente ricognitivo di un’interpretazione già invalsa nell’ermeneutica giudiziaria. Il principio di irretroattività della confisca per equivalente è, dunque, malamente invocato nel caso di specie in quanto il reato contestato di cui all’art. 640 bis cod.pen. risulta commesso in un periodo successivo all’entrata in vigore della L. n. 300 del 2000 quando, in base al coordinamento degli artt. 640 quater e 322 ter, seconda parte, cod.pen. era già possibile la confisca per equivalente oltre che del prezzo anche del profitto del reato. 7. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.500,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento a favore della Cassa delle Ammende.