Quando i fossili minerali sono considerati beni culturali

La Corte di Cassazione affronta il tema della culturalità dei beni appartenenti allo Stato, definendone una fattispecie specifica.

Fossili minerali e beni culturali. In particolare, con la sentenza n. 47825 depositata il 17 ottobre 2017, affrontando una questione relativa ai fossili minerali, ne determina l’appartenenza alla categoria dei beni culturali che non necessitano di espresso provvedimento amministrativo formale per il loro riconoscimento culturale. In realtà, tale orientamento giurisprudenziale contrasta, a modesto parere del commentatore della presente sentenza, con quella interpretazione che colloca nell’art. 12, comma 1, codice dei beni culturali il fondamento della necessità della verifica di interesse culturale dei beni appartenenti anche allo Stato. Tuttavia, si ritiene sufficiente la mera segnalazione di questo possibile contrasto per evidenziare le difficoltà interpretative ed applicative delle norme di riferimento. Ciò motiva in parte anche l’attività del ricorrente con pone nel giudizio de quo una questione di legittimità costituzionale sul punto e di cui si darà conto a breve. Cose paleontologiche. Nel caso di specie il ricorrente contestata la sentenza della Corte di appello territoriale che aveva confermato la sentenza di condanna nei suoi confronti per non aver denunciato le scoperte casuali di reperti paleontologici preziosi entro il termine indicato dall’art. 90 d.lgs. n. 42/2004 e per essersi impossessato di diversi reperti paleontologici e archeologi preziosi ovvero di beni culturali ai senti dell’art. 10 comma 4, lett. a , codice dei ben i culturali. Tra le doglianze proposte dal ricorrente la principale è quella che contesta un vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla qualificazione dei fossili in questione come beni culturali, ai sensi della richiamata normativa. Infatti – secondo il ragionamento prospettato dalla difesa del ricorrente-, l’art. 10 d. lgs. n. 42/2004 si riferisce alle res di proprietà dello Stato e di altri soggetti pubblici e privati, mentre i fossili internazionali sono tutelati, se di provenienza UE, ai sensi degli art. 65 e ss. codice dei beni culturali e, se di provenienza internazionale extra comunitaria, ai sensi della convenzione Unidroit, risultando pertanto di libero scambio e vendita. Inoltre, per i fossili italiani, il ricorrente precisa che, al fine della loro qualificazione quali beni culturali, sia necessario ai sensi dell’art. 10, comma 4 il provvedimento amministrativo, emanato ai sensi dell’art. 13, che ne accerti la loro particolare importanza o eccezionalità o, quantomeno, anche in assenza di un provvedimento formale, il riconoscimento dell’interesse qualificante. Infine, con memoria successiva, il ricorrente pone la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 d.lgs. n. 42/2004 laddove non fornisce criteri oggettivi e vincolanti riguardo l’interesse che possa qualificare come culturale un bene tra quelli elencati in modo disarticolato ai commi da 1 a 5 dello stesso articolo per violazione degli art. 3, 24, 25 e 27 Cost Questione di legittimità costituzionale. I Giudici del Palazzaccio dichiarano manifestamente infondato il motivo di ricorso, rifacendosi al costante indirizzo della Corte di Cassazione che pur si forma sotto il vigore del d.lgs. n. 490/1999 che ha ratio del tutto diversa dal successivo codice dei beni culturali, N.d.A secondo il quale quando vengano in rilievo beni appartenenti allo Stato non è richiesto l’accertamento del cd. interesse culturale” né che gli stessi siano qualificati come culturali da un provvedimento amministrativo, essendo sufficiente che la culturalità sia desumibile dalle caratteristiche del bene. In buona sostanza, per gli Ermellini,risulta chiaro che un qualificato interesse archeologico, culturale, storico è richiesto soltanto per i beni appartenenti a privati, ma non appunto per quelli appartenenti allo Stato dato che contrasta con la disposizione di cui all’art. 12, comma 1, codice dei beni culturali N.d.A. . Segue, dunque, la conclusione dei Giudici della Corte di Cassazione sulla non necessità di un provvedimento amministrativo per il riconoscimento delle cose che interessano la paleontologia appartenenti allo Stato e sulla necessaria conseguenza di non ritenere sussistente nessun vulnus ai principi costituzionali posti dagli artt. 3, 24, 25 e 27 dalla norma contestata. Da qui la dichiarazione sulla manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale e sulla inammissibilità del ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 21 giugno – 17 ottobre 2017, n. 47825 Presidente Fiale – Relatore Andreazza Ritenuto in fatto 1. W.M. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, in data 03/02/2015 che, dichiarando l’improcedibilità per estinzione per prescrizione quanto ai reati di cui ai capi 1 , 2 , relativamente all’articolo 175 lett. a del d.lgs. n. 42 del 2004, e 3 , limitatamente ai reperti non datati e fino al 2007, ha confermato la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Bolzano di condanna quanto ai reati commessi dal 2007 al 2010 di cui agli artt. 175 lett. b del d.lgs. n. 42 del 2004 per non avere denunciato le scoperte casuali di reperti paleontologici preziosi entro il termine indicato dall’articolo 90 e di cui all’articolo 176, commi 1 e 2, dello stesso decreto per essersi impossessato di diversi reperti paleontologici e archeologici preziosi ovvero di beni culturali ai sensi dell’articolo 10, comma 4, lett. a del decreto cit. rinvenuti nel parco naturale omissis , in difformità dalle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni e nonostante il direttore della ripartizione natura e paesaggio nel 2010 avesse rigettato l’autorizzazione da lui richiesta e la Giunta provinciale avesse rigettato il suo ricorso contro il rigetto di detta istanza . 1.1. Con un primo motivo di ricorso lamenta erronea applicazione di legge nonché vizio di motivazione in ordine alla qualificazione dei fossili in esame come beni culturali ai sensi dell’articolo 10 del d.lgs. n. 42 del 2004 deduce in particolare che l’articolo 10 si riferisce alle res di proprietà dello Stato e di altri soggetti pubblici e privati in quanto rinvenuti ex articolo 91 nel sottosuolo e nei fondali marini mentre i fossili internazionali sono tutelati, se di provenienza UE, ai sensi degli artt. 65 e ss., e, se di provenienza internazionale extra comunitaria, ai sensi della convenzione Unidroit gli stessi sarebbero dunque di libero scambio e vendita. Quanto in particolare ai fossili italiani, precisa come, al fine della loro qualificazione quali beni culturali, sia necessario, ai sensi dell’articolo 10, comma 4, cit., il provvedimento amministrativo, emanato ai sensi dell’articolo 13, che ne accerti la loro particolare importanza o eccezionalità, o, quantomeno, anche in assenza di un provvedimento formale, il riconoscimento dell’interesse qualificante. Nella specie, il carattere di bene culturale dei fossili è stato desunto dalla perizia effettuata dal Prof. K.M. sebbene dalla stessa, limitatasi peraltro ad analizzare un campione e non tutti gli elementi della collezione, non emerga né la provenienza del fossile da territorio italiano lo stesso perito non è stato in grado di accertare la provenienza geografica e stratigrafica dei fossili né l’interesse culturale da parte sua la sentenza nulla ha affermato in ordine alla provenienza e ha desunto la culturalità del bene definita come rilevanza archeologica dei fossili dalla sua origine paleontologica , così esprimendo una mera petizione di principio. Aggiunge che la stessa perizia ha poi accertato le corrette modalità di conservazione dei fossili da parte dell’imputato. 1.2. Con un secondo motivo lamenta vizio di motivazione quanto alla dichiarata estinzione per prescrizione del reato di cui all’articolo 175 lett. a , cit. essendo state ritenute sussistenti ricerche abusive e non, invece, scoperte fortuite senza che alcun elemento di prova sia emerso nel primo senso, e quanto alla sussistenza della contravvenzione ex articolo 175 lett. b cit., sul presupposto che la messa a disposizione della Soprintendenza dei fossili non costituirebbe avviso regolare e che comunque la messa a conoscenza sarebbe stata parziale pur avendo poi la stessa Soprintendenza ammonito l’imputato a consegnare i beni pubblici di cui era in possesso né la sentenza ha tenuto conto della ripetuta dichiarata intenzione dell’imputato di conferire, come da comunicazioni inoltrate alla Soprintendenza, la propria collezione alla Soprintendenza stessa e/o al museo di scienze naturali. 1.3. Con un terzo motivo lamenta vizio di motivazione per aver la Corte ritenuto sussistente il reato di impossessamento di beni culturali ex articolo 176 cit., trascurando circostanze dalle quali si poteva desumere l’assenza del requisito oggettivo dell’impossessamento, quali il fatto che il W. fosse autorizzato all’esposizione di minerali e di altre rarità nel OMISSIS da lui gestito, che la Provincia fosse al corrente dell’attività di collezione svolta dallo stesso e la pubblicizzasse, implicando ciò una conoscenza ed una approvazione della collezione esposta nel Museo, e che l’Associazione OMISSIS , di cui il W. è fondatore, era ente pienamente riconosciuto dalla Provincia e dunque, ai sensi dell’articolo 10 del d.lgs. cit., persona giuridica privata senza fine di lucro legittimata e detenere beni culturali. Lamenta inoltre vizio di motivazione circa la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’impossessamento, desunto dalla Corte dalla volontà del W. di donare i fossili in suo possesso in quanto sintomatica della volontà di comportarsi nei confronti dei beni uti dominus e non, invece, della buona fede dello stesso, unicamente intenzionato solo a devolvere pubblicamente il proprio patrimonio di conoscenza rappresentato dai fossili della collezione. Lamenta inoltre vizio di motivazione quanto alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche e dell’attenuante speciale ex articolo 177 del d.lgs. n. 42 del 2004 nonostante l’atteggiamento collaborativo dell’imputato. Lamenta infine incombere sull’accusa la prova dell’illegittimità della provenienza dei beni di interesse culturale e non invece gravare sull’imputato la prova della legittima detenzione degli stessi. 2. Si è costituita in giudizio la Provincia Autonoma di Bolzano, quale parte civile, depositando memoria di costituzione e difesa ed eccependo l’inammissibilità dei motivi di ricorso del W. perché implicanti una valutazione di fatto preclusa al Giudice di legittimità. 2.1. Quanto al primo motivo di ricorso rileva in particolare che i beni oggetto del ricorso sono beni culturali, non essendo questi né di provenienza internazionale, in quanto già restituiti al W. , né essendo necessaria a tal fine una specifica dichiarazione, richiesta solo per le cose di cui al comma 3 dell’articolo 10 o l’accertamento dell’interesse culturale, presunto nelle cose appartenenti allo Stato. Rileva inoltre che il particolare pregio dei fossili sarebbe desumibile dalla perizia del dott. K. , e dalla testimonianza del direttore del Museo di Scienze Naturali dell’ OMISSIS . Rileva infine che la perizia del dott. K. ha correttamente effettuato un’indagine a campione dei fossili, e che la provenienza dei fossili risulta dalla stessa catalogazione effettuata dall’imputato contesta inoltre le affermazioni della difesa circa i presunti meriti dell’imputato posto che egli, anzi, non si è conformato a tecniche scientifiche adeguate né al momento dello scavo, spogliando le zone interessate di quasi tutti i fossili ivi presenti, né al momento della catalogazione ed ha manipolato i fossili in particolare la OMISSIS rovinandoli e precludendone uno studio futuro, in contrasto peraltro con le prescrizioni a lui impartite dalla pubblica autorità. 2.2. Sul secondo motivo di ricorso rileva che la Corte ha correttamente escluso la prescrizione del reato di omessa denuncia della scoperta dei fossili ex articolo 175 lett. b d.lgs. 42 del 2004 perché la sua natura permanente impediva il decorso del relativo termine con riguardo invece al reato di ricerche abusive ex articolo 175 lett. a d.lgs. 42 del 2004 la Corte ha correttamente dichiarato lo stesso estinto per prescrizione valorizzando le limitazioni delle autorizzazioni rilasciate al W. e condizionate a precise prescrizioni nonché i pareri negativi della Provincia sul rinnovo delle autorizzazioni e le stesse ammissioni dell’imputato sul punto. Rileva infine l’adeguatezza della motivazione sulla sussistenza del reato di cui all’articolo 175 lett. b d.lgs. n. 42 del 2004, avendo la Corte richiamato la circostanza che il W. ha omesso di denunciare nelle 24 ore, come per legge, la scoperta dei fossili e che la consegna di alcuni di essi, alla Provincia e al OMISSIS , non lo esonerava dall’obbligo di denuncia per gli altri lo stesso desiderio di donare, a determinate condizioni, i fossili in suo possesso alla Provincia non poteva essere certo equiparato alla denuncia a norma di legge. 2.3. Sul terzo motivo di ricorso rileva la correttezza della motivazione circa la sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato di impossessamento di beni culturali di cui all’articolo 176 del d.lgs. n. 42 del 2004, avendo la Corte a tal fine richiamato numerose e pertinenti circostanze di fatto in particolare, per quanto riguarda l’elemento oggettivo, è stata richiamata la circostanza della restrizione delle autorizzazioni alla ricerca dei fossili e la successiva revoca per il rifiuto del W. di consegnare parte dei beni rinvenuti, nonché la conoscenza solo parziale delle attività del W. da parte della Provincia, non rilevando ai fini della legittimità del possesso né che la Villa in cui ha sede il museo sia essa stessa un bene culturale né che l’Associazione OMISSIS sia un ente senza fine di lucro per quanto riguarda l’elemento soggettivo, la consapevolezza del W. della rilevanza culturale e scientifica dei beni era desumibile dalle pubblicazioni da egli fatte, dalle autorizzazioni inoltrate dalla Provincia e dal fatto che egli si comportasse uti dominus come desumibile dalla proposta di donazione dei fossili, lacunosa nell’elencazione di tutti i pezzi, dalla destinazione di questi alla vendita e all’esposizione nel suo museo, dalla manipolazione degli stessi e dalla ricerca senza autorizzazione. Rileva infine che la prevalente giurisprudenza stabilisce che spetti in capo al detentore del bene culturale provare la legittimità dell’acquisto del bene e non all’accusa l’onere di provare l’illegittimità del possesso. 3. Infine, con memoria del 13/06/2017, il ricorrente ha posto questione di legittimità costituzionale dell’articolo 10 del d.lgs. n. 42 del 2004 laddove non fornisce criteri oggettivi e vincolanti riguardo l’interesse che possa qualificare come culturale un bene tra quelli elencati in modo disarticolato ai commi da 1 a 5 dello stesso articolo per violazione degli artt. 3, 24, 25 e 27 Cost Premessa la rilevanza della questione giacché la corretta individuazione del bene culturale è presupposto dei reati contestati, deduce che l’interesse qualificante il bene deve essere per legge, come richiesto dal comma 3, particolarmente importante od eccezionale , da un lato necessitando dunque sotto questo profilo una tale definizione della necessaria ricognizione amministrativa e dall’altro generando, una tale indefinita formulazione, dubbi di possibile contrasto con i canoni di legalità e tassatività anche a fronte della impossibilità per il soggetto agente di conoscere preventivamente tanto che l’interesse qualificante viene normalmente accertato solo a posteriori la qualitas del bene. Considerato in diritto 1. Il primo motivo, con cui si lamenta la mancanza della culturalità dei beni quale necessario presupposto dei reati contestati che, infatti, all’articolo 10 del d.lgs. n. 42 del 2004 fanno espresso riferimento nel contenuto delle relative norme sanzionatorie , è manifestamente infondato. La sentenza impugnata ha correttamente ritenuto, sulla base della normativa relativa, che i beni di cui l’imputato ha omesso la denuncia di rinvenimento così integrando il reato di cui all’articolo 175 lett. b cit. per il quale è intervenuta condanna devono ritenersi beni culturali rientranti nell’articolo 10, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004. Va infatti ribadito il costante indirizzo di questa Corte, inizialmente formatosi sotto la vigenza del d.lgs. n. 490 del 1999 e proseguito con l’adozione del d.lgs. n. 42 del 2004, secondo cui, allorquando vengano in rilievo, come nella specie, beni appartenenti allo Stato e tali sono infatti, secondo la previsione dell’articolo 91 del d.lgs. n. 42 del 2004, tra le altre, le cose indicate nell’articolo 10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo che fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli artt. 822 e 826 cod. civ. , non è richiesto l’accertamento del cosiddetto interesse culturale né che gli stessi siano qualificati come culturali da un provvedimento amministrativo, essendo sufficiente che la culturalità sia desumibile dalle caratteristiche del bene. Risulta infatti chiaramente, dallo stesso articolo 10 cit., che un qualificato interesse archeologico, culturale, storico è richiesto soltanto per i beni appartenenti a privati tanto che il comma 3 di detta norma prevede la necessità di un formale provvedimento che riconosca l’interesse culturale secondo l’iter di cui all’articolo 13 , ma non, appunto, per quelli appartenenti allo Stato tra le altre, Sez. 2, n. 36111 del 18/07/2014, dep. 25/08/2014, Medda, Rv. 260366 Sez. 3, n. 24344 del 15/05/2014, dep. 10/06/2014, Rapisarda, Rv. 259305 Sez. 3, n. 41070 del 07/07/2011, dep. 11/11/2011, Saccone ed altro, Rv. 251295 Sez. 3, n. 39109 del 24/10/2006, dep. 28/11/2006, Palombo, Rv. 235410 restando peraltro salva la possibilità che il detentore fornisca la prova della legittima proprietà dei beni per essere gli stessi stati acquistati in epoca antecedente all’entrata in vigore della l. n. 364 del 1909 Sez. 3, n. 49439 del 04/11/2009, dep. 23/12/1999, Dafarra, Rv. 245743 . Ora, a fronte di tale consolidato indirizzo,e del fatto, incontroverso anche da parte dello stesso ricorrente, che i fossili la sentenza ha richiamato le affermazioni dei funzionari provinciali e gli esiti della perizia del dr. K. secondo cui fossili vegetali del paleozoico recente e del mesozoico della XXXXXXXX sono importanti per la ricostruzione dello sviluppo della vegetazione in seguito alla estinzione al termine del Permiano devono ritenersi ricompresi tra i beni di cui al comma 1 dell’articolo 10 cit. atteso che il comma 4 indica in tal senso espressamente le cose che interessano la paleontologia , il ricorrente ha, da un lato, invocato per alcuni dei beni una provenienza extra nazionale che è stata motivatamente contraddetta dalla sentenza impugnata secondo cui i fossili risultati provenire da area geografica diversa da quella provinciale sono stati infatti restituiti e dunque non sono compresi tra quelli oggetto di addebito senza che le diverse considerazioni del ricorrente, aventi natura fattuale, possano assumere rilievo in questa sede, e, dall’altro, invocato la necessità di un provvedimento amministrativo attestante la culturalità del bene che si pone, tuttavia, in contrasto appunto con l’indirizzo appena ricordato. Quanto al contestato rilievo a campione, ritenuto in sentenza idoneo, a fronte di oltre 4.000 fossili sequestrati, ad accertare la natura dei beni, il ricorso non specifica perché, anche a fronte, come si deduce sempre dalla sentenza, della stessa catalogazione dei beni effettuata dall’imputato e di per sé ricognitiva della natura fossile degli stessi, sarebbe invece stata necessaria una disamina capillare rispetto a tutti gli oggetti. Né, infine, si comprende la rilevanza, rispetto agli addebiti per cui è intervenuta condanna, della pretesa diligenza dell’imputato nel recuperare e conservare i fossili. 1.1. Nell’ambito del primo motivo, inoltre, deve ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 10 del d.lgs. n. 42 del 2004 sollevata dal ricorrente con memoria e fondamentalmente incentrata sulla individuazione della nozione di bene culturale unicamente attraverso il richiamo a concetti vaghi e indefiniti come quello di interesse culturale, tanto più arbitrario in quanto, come nel caso dell’articolo 10, comma 3, cit., unicamente rilevante ove caratterizzato da eccezionalità o particolare importanza. Nessun vulnus, in realtà, ai principi costituzionali posti dagli artt. 3, 24, 25 e 27 Cost. appare seriamente prospettabile laddove la qualifica di bene culturale dipenda, come nella specie, in un bene di proprietà dello Stato e senza che, dunque, nessuna necessità vi sia di un provvedimento dichiarativo dell’interesse, unicamente richiesto per i beni appartenenti a soggetti diversi , dal collegamento con nozioni, come quelle di interesse artistico, storico, archeologico e etnoantropologico o, come nel caso di specie, di interesse paleontologico , tutt’altro che vaghi o indeterminati ed in grado, invece, di identificare in termini idonei la culturalità del bene. Né, se questo, è invece, come pare, il senso vero della questione posta, potrebbe ritenersi incostituzionale la norma per il fatto che, piuttosto, la onnicomprensività di dette definizioni, condurrebbe, senza idonee selezioni di quanto davvero meritevole di tutela statuale, ad una irragionevole indiscriminata attribuzione della culturalità e, in ultima analisi, ad una estensione sostanzialmente illimitata della tutela penale anche a prescindere dal reale valore culturale del bene con lesione, primariamente, degli artt. 3 e 25 Cost. Non solo va richiamata, in senso esattamente contrario a tale prospettazione, la sentenza della Corte cost. n. 194 del 2013, che, proprio sulla ritenuta esplicita idoneità dell’articolo 10 a tutelare, attraverso il meccanismo, anche definitorio, fondato sulla sussistenza dell’interesse culturale, a tutelare, in attuazione dell’articolo 9 Cost., il patrimonio culturale della Nazione, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Lombardia 31/07/2012, n. 16 laddove la stessa, violando l’articolo 117 Cost., si è sovrapposta al d.lgs. n. 42 del 2004 non limitando la propria sfera d’intervento alle sole cose non riconosciute o non dichiarate, appunto, di interesse culturale dalla normativa statale, ma, anche, in un rovesciamento di prospettiva rispetto a quanto argomentato dal ricorrente, va segnalato che proprio la diversa gradazione operata dal legislatore attraverso la differente individuazione di un interesse semplice per quanto concerne i beni pubblici di cui al comma 1 dell’articolo 10, e di un interesse eccezionale o particolarmente importante per quanto invece riguardante i beni diversi di cui al comma 3, è sintomo della natura ragionevole e mirata, anche sul piano penale, della tutela approntata. 2. Anche il secondo motivo è inammissibile stante la mancata specificazione di un interesse ad invocare, a fronte della dichiarazione di estinzione per prescrizione del reato di cui all’articolo 175 lett. a cit., la configurabilità di altro reato quello dell’articolo 175 lett. b sanzionato con la medesima pena, e che, a differenza di quello ascritto, non sarebbe neppure estinto a fronte della natura permanente del medesimo con individuazione del momento consumativo nella data della sentenza di primo grado. Infatti, trattandosi di reato omissivo permanente caratterizzato dalla mancata denuncia del rinvenimento, deve ritenersi che la consumazione dello stesso coincida, come affermato del resto anche dalla sentenza impugnata con riguardo alle condotte per cui la condanna è stata confermata, con il momento in cui detta denuncia sia finalmente effettuata o, al più tardi, nella specie, al momento della pronuncia della sentenza di primo grado in quanto accertatrice della omissione stessa Sez. 3, n. 30383 del 30/03/2016, dep. 18/07/2016, Mazzoccoli ed altro, non massimata Sez. 3, n. 1214 del 28/11/1996, dep. 12/02/1997, Rizzo, Rv. 207070 . Quanto poi alle condotte ritenute dai giudici di merito come integranti appunto il reato di cui all’articolo 175 lett. b cit., appaiono come manifestamente infondate le censure volte a pretendere l’insussistenza del fatto sul presupposto di comportamenti quali la messa a disposizione della Soprintendenza dei fossili motivatamente valutati come inidonei dalla sentenza impugnata perché riguardanti unicamente una parte dei ritrovamenti senza che, anche in tal caso, possano avere rilievo le confutazioni meramente fattuali, secondo cui l’imputato avrebbe invece sistematicamente riferito i propri rinvenimenti, svolte in ricorso. 3. È infine inammissibile, per manifesta infondatezza, anche il terzo motivo concernente la invocata insussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all’articolo 176 cit Al di là di ogni altra considerazione, dalle sentenze di merito, che hanno correttamente contrastato gli assunti sul punto, risulta che i reperti in oggetto sono stati detenuti dall’imputato presso il museo OMISSIS , dallo stesso gestito, presso un magazzino ed anche presso la propria abitazione risulta altresì che, pur sollecitato a restituire gli oggetti scoperti il 17/04/2012, l’imputato non ebbe ad adempiere a tali richieste. Non è dato quindi comprendere in quali termini difetterebbe l’elemento oggettivo dell’impossessamento degli stessi nonché, sotto il profilo soggettivo, la consapevolezza di detenere uti dominus , correttamente rivelata inoltre, secondo la sentenza impugnata, dalle lettere dell’imputato nelle quali egli faceva riferimento alla intenzione di mettere a disposizione della Provincia i beni in oggetto e dal contratto di donazione del 01/11/2009 nonché dalla denominazione di collezione W. impressa ai beni nella comunicazione del 14/08/2010. Quanto all’ultima doglianza relativa ad una pretesa illegittima inversione dell’onere della prova, va richiamato quanto già precisato sub § 1 circa il costante orientamento di questa Corte, derivante dalla presunzione ex lege secondo cui le cose indicate nell’articolo 10 da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo appartengono allo Stato articolo 91, comma 1, cit. , in ordine al fatto che l’onere di provare un legittimo acquisto incombe sul privato Sez. 3, n. 49439 del 04/11/2009, dep. 23/12/1999, Dafarra, Rv. 245743 Sez. 3, n. 39109 del 24/10/2006, dep. 28/11/2006, Palombo, Rv. 235410 . 4. L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale e inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della cassa delle ammende.