Rimedio risarcitorio conseguente alla violazione dell’art. 3 Cedu in caso di misure alternative e di detenzione intramuraria

L’istanza riparatoria proposta dal detenuto in stato di affidamento in prova al servizio sociale va presentata sempre al magistrato di sorveglianza, il quale provvederà riconoscendo o la riparazione del danno eventualmente in forma specifica, se la pena sia ancora in corso, o il ristoro in forma pecuniaria, ove medio tempore l’istante abbia interamente espiato detta pena.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 47052/17, depositata il 12 ottobre. La portata dell'art. 35-ter ord.pen Si rammenta brevemente che la norma in parola riguarda i rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell'art. 3 della CEDU nei confronti dei soggetti detenuti o internati. In particolare, il comma 1 del detto articolo di legge stabilisce che chi, per almeno 15 giorni abbia subito una detenzione in violazione dell'art. 3 della CEDU, ha il diritto a richiedere al magistrato di sorveglianza una riduzione di pena a titolo di risarcimento del danno della pena detentiva ancora da espiare. Risarcimento che consiste in una sorta di restitutio in integrum che si concretizza nella detrazione dalla pena di un giorno per ogni dieci di pregiudizio. La stessa norma, al comma 2, stabilisce che il magistrato di sorveglianza, nelle ipotesi in cui la detrazione di cui al primo comma non fosse possibile, liquidi in favore dell'istante, per il residuo della pena, una somma di denaro predeterminata pari ad euro 8,00 per ciascuna giornata risarcibile. Infine, il comma 3 prevede l'ipotesi nella quale l'istante abbia subito il pregiudizio detentivo in stato di custodia cautelare in carcere non computabile nella determinazione della pena da espiare oppure abbia espiato la pena, stabilendo che l'interessato ricorrendo le esposte condizioni , possa proporre azione davanti al giudice civile. La vicenda. Nel caso di specie, il magistrato di sorveglianza dichiarava con decreto la inammissibilità della istanza riparatoria ex art. 35- ter ord. pen. sul rilievo che l'istante, al momento della domanda, era ormai fuori dal circuito carcerario perché in affidamento al servizio sociale. Ciò determinava, secondo la prospettazione del giudice, la competenza a decidere del tribunale distrettuale civile e non del magistrato di sorveglianza. Così motivando, il giudicante aveva implicitamente riconosciuto che, in ipotesi di tal specie, l'istante ha diritto ad un risarcimento pecuniario e non ad una riparazione in forma specifica. Ma avverso detto provvedimento l'interessato ricorreva in Cassazione contestandone la legittimità, sostenendo che l'affidamento in prova al servizio sociale non comporta una diversa competenza a decidere sulla istanza, tenuto conto che il magistrato di sorveglianza conserva la sua competenza su ogni altra istanza del detenuto relativa alla esecuzione della pena, comunque eseguita. Competenza. La Suprema Corte osserva preliminarmente che in ordine alla competenza a decidere sulla domanda proposta ex art. 35- ter ord. pen., tra quella del magistrato di sorveglianza e quella del giudice civile indicato nelle ipotesi di cui al comma 3, non può ritenersi acquisito il principio richiamato dal giudice territoriale né in ordine alla valutazione dello stato di affidato alla stregua, o meno, di quella del detenuto, tenuto conto del rilievo che l'affidamento è una semplice modalità esecutiva della pena detentiva. Né, tantomeno, con riferimento al momento nel quale si radica la competenza, vale a dire se al momento della domanda oppure al momento della decisione. Gli Ermellini rammentano che in materia di rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell'art. 3 CEDU nei confronti di soggetti detenuti oppure internati, il presupposto necessario per radicare la competenza del magistrato di sorveglianza è lo stato di restrizione del richiedente al momento della proposizione della istanza, a nulla rilevando l'eventuale scarcerazione nelle more della decisione. Nel caso in esame, pertanto, la Corte osserva che la domanda del detenuto era stata proposta al magistrato di sorveglianza in epoca in cui era già in corso l'affidamento e contesta la fondatezza della motivazione utilizzata dal giudice territoriale, nel senso di non riconoscere all'affidato la legittimazione alla riparazione specifica ma solo a quella pecuniaria. Misure alternative. Nello specifico, la Corte di Cassazione prende le mosse dal principio secondo cui le misure alternative non costituiscono istituti giuridici distinti dalla esecuzione della pena nelle forme della detenzione intramuraria bensì forme attraverso le quali la pena detentiva, che si concretizza nella detenzione in carcere, può essere eseguita. Da ciò dipende che misura alternativa e pena detentiva in istituti di pena si equivalgono, si immedesimano tra loro e non integrano affatto realtà giuridiche diverse in riferimento al concetto di pena da espiare e/o pena espiata. Ne consegue che, allorché la norma in esame al comma 1 riconosce la possibilità di chiedere il risarcimento del danno consistente nella riduzione della pena detentiva, da essa pena detentiva non possono escludersi le misure alternative al carcere poiché attraverso di esse l'interessato espia nulla di diverso da una pena detentiva. Tale ragionamento induce a collegare irrimediabilmente il primo al terzo comma della norma in esame facendo ritenere che la nozione di ‘pena detentiva in carcere’ del tutto espiata comprenda logicamente le ‘misure alternative’. Tanto perché, rispetto alla detenzione carceraria, la misura alternativa è nulla più che una modalità di esecuzione, di guisa che in tale ipotesi il giudice competente a deliberare l'istanza del detenuto è, e rimane, il magistrato di sorveglianza. In conclusione. Gli Ermellini giungono alle rassegnate conclusioni prendendo spunto dal rapporto tra la misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale - certamente la meno restrittiva tra quelle previste dall'ordinamento - e la detenzione intramuraria, in tema di riparazione per ingiusta detenzione ex art. 314 c.p.p., là dove è venuto in discussione se la detenzione nelle forme dell'affidamento in prova, se ingiustamente eseguita, desse o meno diritto all'equa riparazione. La giurisprudenza a tal proposito ha reiteratamente affermato che, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, anche l'affidamento in prova quale misure alternativa alla detenzione è equiparabile ad altre modalità di espiazione della pena, disattendendo il rilievo in base al quale l'affidamento in prova al servizio sociale non possa considerarsi una modalità di esecuzione della pena perché misura consegnata in modo tale che il condannato perda ogni contatto con l'istituzione penitenziaria ed instauri, invece, un rapporto di tipo collaborativo col servizio sociale. Alla luce di quanto detto, appare oggettivamente e sistematicamente incongruo ritenere che l'affidamento in prova al servizio sociale, se ingiustamente subito, dia diritto all’indennizzo mentre privi di legittimazione l'affidato nelle ipotesi riparatorie in forma specifica di cui all'art. 35- ter ord. pen Sulla scorta di tali ragionamenti, la Corte precisa la regola giuridica nei seguenti termini l’istanza riparatoria proposta dal detenuto in stato di affidamento in prova al servizio sociale va presentata sempre al magistrato di sorveglianza, il quale provvederà 1 riconoscendo all'istante la riparazione del danno eventualmente in forma specifica, ove la violazione dell'art. 3 CEDU sia riconosciuta con riferimento alla porzione di pena scontata in carcere riferibile al medesimo titolo esecutivo ancora in corso oppure 2 disponendo il ristoro in forma pecuniaria ove medio tempore il ricorrente l’abbia interamente espiata.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 18 maggio – 12 ottobre 2017, numero 47052 Presidente Di Tomassi – Relatore Bonito Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con decreto pronunciato il 21 settembre 2016 il Magistrato di sorveglianza di Caltanissetta ha dichiarato la inammissibilità della istanza riparatoria proposta da F.C. , ai sensi dell’art. 35-ter O.P., sul rilievo che l’istante, al momento della domanda, era ormai fuori dal circuito carcerario in quanto in affidamento al servizio sociale a far tempo dal 20.5.2016 e che la competenza a decidere, nella specie, non era del Magistrato di sorveglianza, ma del tribunale distrettuale civile di cui al terzo comma della norma di riferimento. 2. Ricorre per cassazione avverso detto provvedimento l’interessato, assistito dal difensore di fiducia, il quale ne contesta la legittimità perché viziato, a suo avviso, da violazione di legge e vizio della motivazione. Argomenta in particolare la difesa ricorrente che l’affidamento in prova al servizio sociale non comporta una diversa competenza a decidere sulla istanza come innanzi proposta, tenuto conto che il magistrato di sorveglianza conserva la sua competenza su ogni altra istanza del detenuto relativa all’esecuzione della pena, comunque eseguita. 3. Con argomentata requisitoria scritta il P.G. in sede, richiamando sez. 1, 1.7.2015, numero 6735/16, concludeva per la inammissibilità del ricorso aderendo ai principi esposti con la motivazione impugnata. 4. Il ricorso è meritevole di accoglimento per le ragioni, diverse da quelle esposte dalla difesa, che si passa ad esporre. Osserva la Corte, in primo luogo, che in ordine alla competenza a decidere sulla domanda proposta dall’interessato ai sensi dell’art. 35-ter O.P., tra quella del magistrato di sorveglianza e quella del giudice civile indicato nella ipotesi di cui al comma III, non può ritenersi acquisito il principio richiamato dal giudice territoriale né in ordine alla valutazione dello stato di affidato alla stregua, o meno, di quella del detenuto, tenuto conto del rilievo che l’affidamento è una semplice modalità esecutiva della pena detentiva, né in riferimento al momento nel quale si radica la competenza, se al momento della domanda, come ritiene il Collegio, ovvero al momento della decisione. Il più recente arresto giurisprudenziale, Sez. 1, Sentenza numero 5515 del 17/11/2016, Rv. 269198, ha stabilito il principio che, in materia di rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell’art. 3 CEDU nei confronti di soggetti detenuti o internati, presupposto necessario per radicare la competenza del Magistrato di sorveglianza è lo stato di restrizione del richiedente al momento della proposizione del reclamo ex art. 35 ter ord. penumero , a nulla rilevando l’eventuale scarcerazione nelle more della decisione. In applicazione del principio la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di non luogo a provvedere fondata sulla sopravvenuta scarcerazione del ricorrente . Nel caso in esame la domanda del detenuto è stata proposta al MdS in epoca in cui era già in corso l’affidamento e la motivazione utilizzata dal giudice territoriale è nel senso di non riconoscere all’affidato la legittimazione alla riparazione specifica ma soltanto quella pecuniaria. Di qui la questione di diritto sulla quale la Corte è chiamata ad esprimere la sua lezione interpretativa se l’istanza riparatoria prevista e disciplinata dall’art. 35-ter O.P. proposta dal detenuto in stato di affidamento al servizio sociale debba essere presentata al Magistrato di sorveglianza ovvero al tribunale civile, e se, pertanto, sia o meno esclusivamente fruibile, nella fattispecie, il rimedio del risarcimento del danno previsto dal comma 3 della norma . A tal fine appare opportuno prendere le mosse dal contenuto letterale della norma la quale, al primo comma, riconosce in favore del detenuto, che per almeno quindici giorni abbia subito una detenzione in violazione dell’art. 3 della CEDU, il diritto a richiedere al Magistrato di sorveglianza una riduzione di pena a titolo di risarcimento del danno così la norma della pena detentiva ancora da espiare pari a un giorno per ogni dieci durante i quali il richiedente ha subito pregiudizio . Il secondo comma stabilisce poi che il magistrato di sorveglianza, in ipotesi in cui la detrazione di cui al comma 1 non sia possibile, liquidi altresì in favore dell’istante, per il residuo di pena, una somma pari ad Euro 8,00 per ciascuna giornata risarcibile. Il terzo comma, infine, prevede l’ipotesi nella quale l’istante abbia subito il pregiudizio detentivo in stato di custodia cautelare in carcere non computabile nella determinazione della pena da espiare ovvero abbia espiato la pena, stabilendo che l’interessato, ricorrendo le esposte condizioni, possano proporre azione davanti al giudice civile. Secondo una prima, possibile opzione interpretativa, l’istanza riparatoria di cui all’art. 35-ter O.P. può essere proposta al magistrato di sorveglianza soltanto quando l’istante stia espiando la pena detentiva in carcere, ciò desumendosi, secondo tale opzione, dal testo del terzo comma della norma che, al di fuori di questa ipotesi, quella appunto della detenzione in carcere, indica il rimedio dell’azione davanti al giudice civile. Pertanto, secondo tale impostazione ermeneutica, che si fonda altresì sul richiamo alla lettera dell’art. 69 co. 6 lett. b O.P. descrittivo del pregiudizio risarcibile, la legittimazione a domandare la riparazione in forma specifica è riconoscibile in capo a chi, al momento della domanda, è in stato di detenzione intra moenia, a tale ipotesi potendosi assimilare soltanto quella del detenuto in regime di semilibertà Sez. 1, Sentenza numero 7421 del 17/11/2016 Cc. dep. 16/02/2017 Rv. 269157 , mentre chi in tale momento sta fruendo, per quanto qui interessa, della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, ha a disposizione esclusivamente il rimedio riparatorio davanti al giudice civile in tal senso Sez. 1, numero 6735 del 1 luglio 2015 per l’affidato e Sez. 1, Sentenza numero 44175 del 21/06/2016, Rv. 268298, analogamente, per il detenuto domiciliare . L’esposta ermeneusi non soddisfa il Collegio. Ed invero, lo stesso metodo logico per essa applicato, induttivo per esclusione, evidenzia e dimostra un limite di fondo della norma sottoposta ad interpretazione e cioè che il legislatore non ha affatto disciplinato la legittimazione alla proposizione della domanda di cui all’art. 35-ter O.P. esplicitamente individuando per l’affidato la competenza del giudice civile, ma ha semplicemente omesso di considerare la fattispecie della istanza riparatoria proposta dal detenuto che stia espiando la pena fruendo di misura alternativa. Di questa possibile figura di legittimato infatti la norma di riferimento non si occupa affatto, mai considerandola né nominandola nel testo, dato legislativo questo che non può portare ad escludere dal rimedio per cui è causa, nelle forme della riparazione specifica, un rilevante numero di soggetti che, al momento della domanda, si trovino a beneficiare di una misura alternativa al carcere e che, nel contempo, abbiano comunque subito pregiudizio nel corso della espiazione della pena, appalesandosi in ciò, all’evidenza, profili di conclamata illegittimità costituzionale. A tal fine, e non solo, non può non considerarsi da parte dell’interprete che la disciplina ex art. 35-ter ha finalità riparatorie e la riparazione principale prevista e privilegiata dal legislatore, anche a tutela degli interessi economici dello Stato, è quella della riduzione di pena. Ma oltre alla opportunità, per l’interprete, di privilegiare percorsi interpretativi costituzionalmente orientati ed oltre alla finalità riparatoria primaria con certezza individuata dal legislatore, come detto anche a tutela degli interessi economici dello Stato, altro soccorre nel senso auspicato da questo Collegio. Occorre infatti considerare che le misure alternative non costituiscono istituti giuridici distinti dalla esecuzione della pena nelle forme della detenzione intramuraria, ma forme attraverso le quali la pena detentiva, che appunto si concretizza nella detenzione in carcere, può essere eseguita, di guisa che misura alternativa e pena detentiva in istituti di pena si equivalgono, tra loro si immedesimano e non integrano realtà giuridiche diverse in riferimento al concetto di pena da espiare ed espiata. Da ciò consegue che, allorché la norma in esame, al comma 1°, riconosce la possibilità di chiedere il risarcimento del danno dato dalla riduzione della pena detentiva, da essa, pena detentiva, non possono escludersi le misure alternative al carcere, dappoichè attraverso di esse l’interessato sta espiando nulla di diverso da una pena detentiva. Ciò induce a collegare irrimediabilmente il primo al terzo comma della norma in esame, eppertanto a ritenere che la nozione di pena detentiva in carcere del tutto espiata comprenda le misure alternative, nel senso che in costanza di misura non può ritenersi espiata la detenzione carceraria, della quale la misura alternativa è nulla più, giova ribadirlo, che una modalità di esecuzione, di guisa che in tale ipotesi il giudice competente a delibare l’istanza del detenuto è il magistrato di sorveglianza. Lo stesso comma 3 in esame, peraltro, allorché indica il dies ad quem per l’utile proposizione della istanza riparatoria nelle ipotesi ivi previste, utilizza l’espressione che hanno terminato di espiare la pena detentiva in carcere , la quale non può riferirsi alla condizione in esame, perché la misura alternativa in ogni momento può essere revocata e sostituita con la detenzione in carcere sin tanto che non intervenga il provvedimento del giudice della sorveglianza che attesta l’esito positivo della prova e, quindi, dichiara, con effetto costitutivo, l’avvenuta espiazione. Ma vi sono ulteriori argomenti che inducono il Collegio a preferire le conclusioni ermeneutiche che di qui a poco verranno ulteriormente precisate. La Corte di legittimità ha avuto già occasione di affrontare il tema del rapporto tra la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, certamente la meno restrittiva tra quelle previste dall’ordinamento, e la detenzione intramuraria e questo in tema di riparazione per ingiusta detenzione art. 314 c.p.p. così come additivamente interpretato dalla Corte Costituzionale , là dove è venuto in discussione se la detenzione nelle forme dell’affidamento in prova, se ingiustamente eseguita, desse o meno diritto all’equa riparazione. Al riguardo la giurisprudenza della suprema corte ha reiteratamente affermato che, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, anche l’affidamento in prova, quale misura alternativa alla detenzione, è equiparabile ad altre modalità di espiazione della pena, disattendendo il rilievo in base al quale l’affidamento in prova al servizio sociale non possa considerarsi una modalità di esecuzione della pena in quanto misura congegnata in modo tale che il condannato perda ogni contatto con l’istituzione penitenziaria ed instauri, invece, un rapporto di tipo collaborativo con il Servizio Sociale. A tal fine la giurisprudenza della corte ha più volte ribadito il principio secondo il quale, proprio perché l’affidamento in prova è da considerarsi una modalità esecutiva della pena detentiva, essa estingue, anche ai fini della recidiva, la pena detentiva ed ogni effetto penale Sez. U. n 5859 del 27.10.11 rv. 251688 può essere computato ai sensi dell’art. 657 co. 2 c.p.p. Sez. 1, numero 7651 del 23.1.2004, rv. 227116 è valutabile come situazione di pendenza del rapporto esecutivo in tema di liberazione anticipata Sez. 1, numero 30302 del 6.7.2001, rv. 219554 non è applicabile alla libertà controllata Sez. U. numero 8058 del 19.12.2001, rv. 220821 . Ebbene, in tali sensi si sono pronunciate Sez. 4, numero 1768 del 10.12.2013 Sez. 4, numero 10682 del 26.1.2010, rv. 246292 Sez. 4, numero 243355 del 13.12.2002, rv. 225533 e da ultimo, Sez. III, 8.7.2016, numero 43550, rv. 267928, per la quale l’affidamento in prova al servizio sociale è misura alternativa equiparabile alle altre modalità di espiazione della pena detentiva. Orbene, appare oggettivamente e sistematicamente incongruo a questo punto ritenere che l’affidamento in prova al servizio sociale, se ingiustamente subito, dia diritto, ricorrendo le condizioni di cui all’art. 314 c.p.p., all’equo indennizzo, mentre privi di legittimazione l’affidato nella ipotesi riparatoria in forma specifica di cui all’art. 35-ter O.P Traendo ora le doverose conclusioni dalle esposte argomentazioni, ritiene la Corte che il provvedimento impugnato, giacché applicativo di un errato principio di diritto, deve essere annullato con rinvio al Magistrato di sorveglianza di Caltanissetta affinché proceda a nuovo giudizio nel quale dovrà trovare applicazione la seguente regola giuridica l’istanza riparatoria prevista e disciplinata dall’art. 35-ter O.P. proposta dal detenuto in stato di affidamento in prova al servizio sociale va presentata al Magistrato di sorveglianza , il quale provvederà riconoscendo all’istante la riparazione del danno eventualmente in forma specifica, ove la violazione dell’art. 3 CEDU sia riconosciuta con riferimento alla porzione di pena scontata in carcere riferibile al medesimo titolo esecutivo ancora in corso, ovvero disponendo il ristoro in forma pecuniaria ove, medio tempore, il ricorrente abbia interamente espiato detta pena. P.T.M. Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo giudizio al Magistrato di sorveglianza di Caltanissetta.