Chiude un occhio sull’auto senza assicurazione, non è abuso d’ufficio

Per configurarsi l’elemento soggettivo del delitto di abuso d’ufficio si richiede che l’evento costituito dall’ingiusto vantaggio patrimoniale o dal danno ingiusto sia voluto dall’agente e non semplicemente previsto ed accettato come possibile conseguenza della propria condotta.

Così ha deciso la Suprema Corte con la sentenza n. 46788/17, depositata l’11 ottobre. Il caso. La Corte d’Appello condannava l’imputato per il reato di cui all’art. 323 c.p. Abuso d’ufficio , perché come comandante presso la Stazione dei Carabinieri, nell’esercizio delle sue funzioni, in violazioni di quanto prescritto nell’art. 193 c.d.s. Obbligo dell'assicurazione di responsabilità civile , avendo riscontrato nel corso di un controllo su strada un’autovettura priva di assicurazione RCA obbligatoria ometteva intenzionalmente di contravvenzionarlo procurandogli un ingiusto vantaggio patrimoniale. Verso tale provvedimento l’imputato ricorreva in Cassazione, lamentando una mancanza di motivazione in ordine all’elemento psicologico del reato. L’elemento soggettivo. La Corte afferma che per la sussistenza del delitto di abuso di ufficio, dovrà valutarsi l’elemento soggettivo il quale richiede che l’evento costituito dall’ingiusto vantaggio patrimoniale o dal danno ingiusto sia voluto dall’agente e non semplicemente previsto ed accettato come possibile conseguenza della propria condotta. Deve, per cui, escludersi la sussistenza del dolo, sotto il profilo dell’intenzionalità, qualora risulti che l’agente si sia proposto per il raggiungimento di un fine pubblico, proprio del suo ufficio, inoltre, la prova dell’intenzionalità del dolo esige il raggiungimento della certezza che la volontà dell’imputato sia stata orientata proprio a procurare il vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto. Tale certezza non può provenire esclusivamente dal comportamento non iure osservato dall’agente, ma deve essere confermato da altri elementi sintomatici. Nel caso di specie, la Corte d’Appello non ha adeguatamento motivato l’intenzionalità favoritrice rispetto alla condotta omissiva dell’agente, tenutasi in modo occasionale nei confronti di un soggetto privo di relazioni con il ricorrente, a seguito del quale non fu neppure consentita la marcia del veicolo non può essere sufficiente per qualificare la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo. Per questo motivo la Cassazione annulla la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 26 settembre – 11 ottobre 2017, n. 46788 Presidente Rotundo – Relatore Capozzi Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Potenza, a seguito di gravame interposto dal Procuratore della Repubblica presso il locale Tribunale avverso la sentenza assolutoria emessa il 17.4.2015 dal GUP del Tribunale di Matera, in riforma della decisione ha riconosciuto V.F. colpevole del reato di cui all’art. 323 c.p. perché quale comandante della Stazione CC. di omissis , nell’esercizio delle sue funzioni, in violazione di quanto prescritto dall’art. 193 C.d.S., avendo riscontrato nel corso di un controllo su strada che l’autovettura Opel Vectra condotta dal proprietario T.D. era priva di assicurazione RCA obbligatoria, ometteva di contravvenzionare il T. e procedere al sequestro amministrativo dell’autovettura, così intenzionalmente procurando al predetto T. un ingiusto vantaggio patrimoniale, condannando l’imputato a pena di giustizia. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato che, a mezzo del difensore, deduce 2.1. mancanza di motivazione in relazione all’elemento psicologico del reato, non bastando a sostanziare la intenzionalità del dolo il rilievo operato dalla Corte circa l’obiettiva finalità di vantaggio nei confronti del privato derivante dalla violazione della norma del codice della strada, essendo l’obiettivo perseguito dal maresciallo V. comunque il perseguimento del pubblico interesse. 2.2. Violazione degli artt. 62bis, 132 e 133 cod. pen. essendo ingiustificatamente - nonostante l’incensuratezza dell’imputato e la non gravità dell’omissione - non concesse le attenuanti generiche. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato sull’assorbente primo motivo. 2. Nel delitto di abuso d’ufficio, per la configurabilità dell’elemento soggettivo è richiesto che l’evento costituito dall’ingiusto vantaggio patrimoniale o dal danno ingiusto sia voluto dall’agente e non semplicemente previsto ed accettato come possibile conseguenza della propria condotta, per cui deve escludersi la sussistenza del dolo, sotto il profilo dell’intenzionalità, qualora risulti, con ragionevole certezza, che l’agente si sia proposto il raggiungimento di un fine pubblico, proprio del suo ufficio Sez. 6, n. 18149 del 07/04/2005, Fabbri ed altro, Rv. 231343 ancora, la prova dell’intenzionalità del dolo esige il raggiungimento della certezza che la volontà dell’imputato sia stata orientata proprio a procurare il vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto. Tale certezza non può provenire esclusivamente dal comportamento non iure osservato dall’agente, ma deve trovare conferma anche in altri elementi sintomatici, quali la specifica competenza professionale dell’agente, l’apparato motivazionale su cui riposa il provvedimento ed i rapporti personali tra l’agente e il soggetto o i soggetti che dal provvedimento ricevono vantaggio patrimoniale o subiscono danno Sez. 6, n. 35814 del 27/06/2007, Pacia e altri, Rv. 237916 . La Corte ha, inoltre, ritenuto che una condotta di omesso controllo in relazione ad una situazione di illegittimità, pur grave e diffusa, negli atti di un’amministrazione comunale non può equivalere a ritenere dimostrata la presenza del dolo dell’abuso di ufficio affermando che la prova dell’intenzionalità del dolo esige il raggiungimento della certezza che la volontà dell’imputato sia stata orientata proprio a procurare il vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto e tale certezza non può essere ricavata esclusivamente dal rilievo di un comportamento non iure osservato dall’agente, ma deve trovare conferma anche in altri elementi sintomatici, che evidenzino la effettiva ratio ispiratrice del comportamento, quali, ad esempio, la specifica competenza professionale dell’agente, l’apparato motivazionale su cui riposa il provvedimento ed il tenore dei rapporti personali tra l’agente e il soggetto o i soggetti che dal provvedimento stesso ricevono vantaggio patrimoniale o subiscono danno Sez. 6, n. 21192 del 25/01/2013, Barla e altri, Rv. 255368 . 3. Esula, pertanto, dall’alveo di legittimità il giudizio espresso dalla sentenza di oggettiva finalizzazione della condotta omissiva posta in essere dal ricorrente, essendosi omesso di motivare sulla intenzionalità favoritrice rispetto ad una condotta tenuta nel corso di un occasionale controllo su strada nei confronti di un soggetto privo di relazioni con il ricorrente ed a seguito del quale non fu comunque consentita la prosecuzione della marcia del veicolo. 4. La sentenza deve, pertanto, essere annullata rinviando per un nuovo giudizio alla Corte di appello di Salerno. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Salerno.