Manca la firma del Presidente del Collegio giudicante: quali conseguenze per la sentenza?

La mancanza della sottoscrizione della sentenza da parte del Presidente del Collegio comporta una nullità relativa, che non incide né sul giudizio, né sulla decisione consacrata nel dispositivo, ma se dedotta nel ricorso, comporta l’annullamento della sentenza e la restituzione degli atti al Giudice.

Così ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 46452/17, depositata il 10 ottobre. Il caso. La Corte d’Appello confermava la sentenza con la quale il Tribunale condannava l’imputato per aver, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, abusando dell’autorità che aveva nei confronti della figlia della convivente, a lui affidata dalla madre nel corso di una degenza ospedaliera della stessa, costretto la vittima a subire atti sessuali. Avverso tale pronuncia il condannato ricorreva in Cassazione, lamentando che la decisione fosse stata assunta da un Collegio con composizione differente da quella che aveva partecipato al giudizio dibattimentale. La composizione del collegio giudicante. Dall’analisi svolta dalla Corte dei fatti in causa emerge con chiarezza che la sentenza impugnata era stata deliberata dal medesimo Collegio che aveva partecipato al giudizio, ma le sue motivazioni non erano al contrario state sottoscritte dal Presidente del Collegio deliberante, senza una giustificazione per tale omissione. La Corte afferma che tale mancanza, comporta di per sé una nullità relativa, che non incide né sul giudizio, né sulla decisione consacrata nel dispositivo, ma se dedotta nel ricorso, comporta l’annullamento della sentenza e la restituzione degli atti al Giudice d’Appello nella fase successiva alla deliberazione, affinché si proceda alla redazione di una nuova sentenza adeguatamente sottoscritta dal Presidente e dall’estensore e nuovamente depositata. Ne deriva che essendo stata dedotta tale nullità nel ricorso, la sentenza è annullata senza rinvio ed è disposta la restituzione degli atti al giudice che l’ha pronunciata, al fine di provvedere alla rinnovazione.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 3 febbraio – 10 ottobre 2017, n. 46452 Presidente Cavallo – Relatore Gentili Ritenuto in fatto La Corte di appello di Catania, con sentenza del 3 maggio 2016, ha confermato la decisione con la quale, il precedente 18 novembre 2014 il Tribunale di Catania aveva dichiarato B.V. responsabile del reato di cui agli artt. 81, cpv, 609-bis e 609-ter cod. pen. - per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, abusando della autorità che aveva nei confronti di S.S.K. , a lui affidata dalla madre, con la quale egli aveva un rapporto di stabile convivenza, durante una degenza ospedaliera di quest’ultima, costretto in due occasioni a subire atti sessuali - e lo aveva, pertanto, condannato alla pena di anni 7 di reclusione, oltre alle pene accessorie ed al risarcimento del danno nei confronti della costituita parte civile. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il B. , assistito dal proprio difensore di fiducia, articolando, a tale fine due motivi di ricorso. Il primo di questi ha avuto ad oggetto la dedotta violazione di norme processuali penali in particolare viene contestato il fatto che la sentenza, secondo la composizione del Collegio che la ha deliberata quale risultante dalla intestazione di essa, sia stata decisa da una composizione della Corte di appello diversa da quella che ha partecipato al relativo giudizio dibattimentale. In particolare, deduce il ricorrente, per come emerge dai verbali delle udienze del 12 aprile 2016 e del 5 maggio 2016, la composizione del Collegio giudicante, risulta essere sostanzialmente diversa da quella che è riportata nella intestazione della motivazione depositata della sentenza ora impugnata aggiunge, a riprova della mutata composizione del Collegio, come la sottoscrizione del Presidente della Corte di appello apposta in calce ai detti verbali risulti essere sostanzialmente diversa rispetto alla firma del Presidente del Collegio d’appello apposta in calce alla sentenza depositata con le relative motivazioni. Da tanto il ricorrente, avendone dedotto la partecipazione alla fase deliberativa della decisione di un magistrato che non aveva, invece, partecipato alla fase dibattimentale del giudizio, ne ha fatto discendere la nullità della sentenza stessa, stante la violazione dell’art. 525 cod. proc. pen. In via subordinata il ricorrente ha, altresì, dedotto la illegittimità della sentenza impugnata per vizio della motivazione. Considerato in diritto Il ricorso è fondato, nei limiti e per gli effetti di cui in motivazione. Stante l’evidente sua pregiudizialità è necessario esaminare prioritariamente il motivo di impugnazione proposto dal ricorrente per primo. Osserva il Collegio che la censura formulata dal ricorrente attiene alla ritenuta violazione dell’art. 525 cod. proc. pen. il quale prescrive che la sentenza debba essere deliberata immediatamente dopo la chiusura del dibattimento ed ad essa partecipano, a pena di nullità assoluta , gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento. Premesso che tale principio è stata coerentemente inteso dalla giurisprudenza di questa Corte non in termini puramente meccanici ma funzionali ad assicurare la identità fra chi ha partecipato alla assunzione delle prove in dibattimento e chi, valutati gli esiti di tali prova, è poi chiamato a decidere sulla fondatezza o meno della azione penale esercitata dal Pm, di tal che esso non può intendersi violato ove di fronte all’organo giudiziario in diversa composizione rispetto a quella di fronte al quale la prova si è formata e che dovrà provvedere alla deliberazione della sentenza, non si è svolta alcuna sostanziale attività istruttoria cfr. Corte di cassazione, Sezione IV penale, 3 febbraio 2017, n. 5273 ma solo un’attività di tipo ordinatorio, osserva la Corte, quanto al caso in questione, che non vi è dubbio che alla deliberazione della decisione assunta nel giudizio a carico di B. abbiano partecipato i medesimi magistrati componenti la Sezione della Corte di appello di Catania che hanno preso parte alla udienza del 3 maggio 2016, nel corso della quale il processo è stato preso in decisione a seguito dell’avvenuta rinunzia da parte del pubblico ministero di udienza alla replica di cui si era riservato la facoltà alla precedente udienza del 12 aprile 2016, nel corso della quale, a sua volta, il processo era stato discusso di fronte alla Corte di appello etnea nella medesima composizione. Di ciò è sicura prova la stessa attestazione contenuta nel verbale dell’udienza del 3 maggio 2016 da cui emerge che il Collegio, composto dalle medesime persone che avevano preso parte anche alla udienza del 12 aprile 2016, si è ritirato in camera di consiglio per deliberare la sentenza ed è uscito da quella nella medesima giornata per dare lettura del dispositivo. Attestazione non suscettibile di smentita, se non a seguito di autonoma procedura vota ad attivare un ordinario giudizio di querela di falso, posto che, come questa Corte ha già avuto occasione in più circostanze di affermare, il verbale di udienza del processo penale fa piena prova fino a querela di falso di quanto in esso attestato, perché è atto pubblico redatto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, il cui regime di efficacia è sancito dalla norma generale dell’art. 2700 cod. civ. Corte di cassazione, Sezione III penale, 3 marzo 2011, n. 13117, ord. idem Sezione I penale, 4 maggio 2004, n. 20993 . Ulteriore indice di quanto sopra è il fatto che le sigle apposta dal Presidente del Collegio giudicante in calce sia al verbale delle due udienze sopra richiamate che allo stesso dispositivo letto in udienza ai sensi dell’art. 545, comma 1, cod. proc. pen. appaiono chiaramente identiche e vergate da una medesima mano. Rileva, tuttavia, il Collegio che analogo rilievo non può farsi per la scheda contenente la stesura della motivazione della decisione presa dalla Corte di Catania. Infatti, dall’esame della intestazione di detta scheda si ha modo di verificare che in essa è indicata una composizione del Collegio sostanzialmente diversa rispetto a quella che ha deliberato la decisione, variando, infatti, sia nella persona del Presidente, ruolo che nel verbale risulta essere stato ricoperto dal dott. T. , mentre nella scheda contenente le motivazioni della sentenza Presidente risulta essere stata la dott.ssa C. la quale, invece, nel verbale risulta essere solo uno dei componenti del Collegio , sia in quella del componente più giovane, indicato nel verbale di udienza in persona della dott.ssa M. , laddove nella scheda contenente la motivazione della sentenza il componente più giovane del Collegio risulterebbe essere stato il dott. D. . Peraltro, osserva questo Collegio, il quale, sebbene di regola giudice della sola legittimità, stante la censura afferente alla regolarità formale dell’atto processuale ha ampio accesso al fatto processuale Corte di cassazione, Sezione I penale, 21 febbraio 2013, n. 8521 idem Sezione IV penale, 10 dicembre 2004, n. 47891 ed agli atti in cui lo stesso è stato documentato, il predetto rilievo appare tanto più suffragato dalla circostanza che dal mero esame comparato della sottoscrizione apposta in calce ai ricordati verbali di udienza ed in calce al dispositivo della sentenza redatto nella immediatezza della sua deliberazione e della sottoscrizione apposta in calce alla sentenza impugnata emerge con chiarezza la non identità della mano. Identità che, invece, risulta con chiarezza ove si confronti detta sottoscrizione con quella vergata in calce al verbale della udienza, meramente interlocutoria, relativa al giudizio di appello a carico del B. tenutasi in data 26 febbraio 2016, sotto la presidenza, appunto, della dott.ssa C. . Può, pertanto, concludersi nel senso che sebbene la sentenza impugnata sia stata deliberata dallo stesso Collegio che ha partecipato al giudizio, tuttavia le motivazioni di essa non sono state sottoscritte dal Presidente del Collegio deliberante, senza che di tale omissione sia stata data una qualche giustificazione, idonea a legittimare tale omissione, secondo la previsione di cui all’art. 546,comma 2, cod. proc. pen Come questa Corte ha precisato la mancata sottoscrizione della sentenza di appello da parte del Presidente del Collegio, non giustificata espressamente da un suo impedimento legittimo e sottoscritta dal solo estensore configura una nullità relativa che non incide né sul giudizio, né sulla decisione consacrata nel dispositivo, e che, ove dedotta dalla parte nel ricorso per cassazione, comporta l’annullamento della sentenza-documento e la restituzione degli atti al giudice di appello, nella fase successiva alla deliberazione, affinché si provveda ad una nuova redazione della sentenza-documento che, sottoscritta dal presidente e dall’estensore, deve essere nuovamente depositata Corte di cassazione, Sezione III penale, 24 gennaio 2017, n. 3386 idem Sezione IV penale, 30 maggio 2016, n. 22719 idem Sezione VI penale, 23 novembre 2015, n. 46438 idem Sezioni unite penali, 29 marzo 2013, n. 14978 . Essendo stata la predetta nullità tempestivamente eccepita in sede di ricorso per cassazione e dovendosi ritenere, in base al principio del favor impugnationis, che il motivo di impugnazione proposto dal ricorrente, ancorché formalmente dedotto con riferimento ad una nullità assoluta ai sensi dell’art. 525 cod. proc. pen. vada inteso siccome riferito anche ad ogni altro tipo di nullità riguardante la regolarità formale della sentenza impugnata e quindi anche la regolarità della sua sottoscrizione, deve concludersi nel senso che il vizio rilevato, il quale non attiene al momento deliberativo della sentenza ed alla sua procedimentalizzazione, anche con riguardo alla partecipazione a tale fase dei soggetti a ciò legittimati, attenendo, invece, esclusivamente alla fase della documentazione della decisione ed alla trasposizione documentale delle ragioni poste a sostegno di essa, non travolge il giudizio in precedenza celebrato ed i suoi esiti, facendo piena prova della regolarità formale di quello i verbali di udienza certificati dal funzionario che ha assistito il giudice. Da quanto sopra consegue che la sentenza debba essere annullata senza rinvio e che gli atti debbano essere restituiti al giudice che la ha pronunziata esclusivamente al fine di consentire a questo di provvedere alla rinnovazione dell’atto nullo, attraverso la nuova stesura della motivazione della sentenza impugnata emendata dal vizio riscontrato, nonché di tutti quegli altri atti a tale incombente susseguenti e conseguenti, i cui effetti sono stati travolti dall’annullamento della sentenza impugnata. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la restituzione degli atti alla Corte di appello di Catania per la rinnovazione dell’atto nullo.