E se l’indagato rende dichiarazioni spontanee senza l’avvocato?

Le dichiarazioni spontanee dell’indagato hanno una natura difensiva e libera, che trova fondamento nella scelta personalissima dell’indagato di offrire una propria versione dei fatti, garantita dal codice di rito.

Così ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 45952/17, depositata il 6 ottobre. Il caso. La Corte d’Appello confermava la decisione del GIP del Tribunale che nel giudizio abbreviato, aveva condannato l’imputato per i reati di cui all’art. 600 -ter , comma 3, c.p. Pornografia minorile e 600 -ter , commi 2 e 5, c.p La difesa ricorreva in Cassazione, lamentando l’inutilizzabilità delle dichiarazioni spontanee rilasciate dall’imputato al momento della perquisizione e del sequestro e la non sussistenza di un dolo specifico di volontà di diffusione del materiale pedopornografico. File sharing. La Cassazione nel esaminare la doglianza di specie afferma che per configurare il reato in esame debba ritenersi sussistente in capo all’imputato un organizzazione almeno embrionale per la diffusione del materiale pedopornografico. Nel caso di specie si ravvisa un pericolo reale di diffusione del materiale, caratterizzato anche dal fatto che i file erano lasciati in una cartella condivisa, disponibile online, ed organizzati in cartelle ordinate. La Corte afferma inoltre che in tema di pornografia minorile la sussistenza del reato di cui all’art. 600 -ter, comma 3, c.p. deve essere esclusa nel caso di semplice utilizzazione di programmi di file sharing solo nel caso in cui si difetti di ulteriori elementi indicativi della volontà dell’agente di divulgare tale materiale. Nel caso in esame la Corte rileva la sussistenza sia dell’elemento soggettivo dei reati contestati sia del dolo. Le dichiarazioni spontanee. In tema di utilizzabilità delle dichiarazioni spontanee rese dall’indagato alla polizia giudiziaria, la Corte afferma che debbano essere utilizzabili nell’area procedimentale e nel giudizio abbreviato, anche se acquisiti senza le garanzie della presenza di un avvocato. Ciò in quanto queste hanno una natura difensiva e libera, che come tale risiede nella scelta personalissima dell’indagato di offrire una propria versione dei fatti, che è garantita dal codice di rito. Infatti, nel caso in cui le dichiarazioni siano rese senza garanzie alla PG, il legislatore ha precisato che saranno utilizzabili solo nella fase procedimentale, ovvero nella cognizione cautelare ed in quella sulla responsabilità che si svolge nei riti a prova contratta. Essenziale a tale scopo resta l’analisi della spontaneità delle dichiarazioni, che deve essere effettuata dal giudice. Nel caso in esame le dichiarazioni rese dall’imputato risultano essere spontanee come verificato in sede di Appello. Per questi motivi la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 giugno – 6 ottobre 2017, n. 45952 Presidente Savani – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Milano con sentenza del 5 novembre 2015, confermava la decisione del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, del 28 settembre 2010 giudizio abbreviato -, che aveva condannato F.A.G. alla pena di anni 2 e mesi 4 di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, oltre pene accessorie relativamente ai reati di cui all’art. 600 ter, comma 3, cod. pen. capo A in omissis -, e art. 600 ter, commi 2 e 5, cod. pen. capo B in Casalpusterlengo il 7 ottobre 2009 concesse le generiche equivalenti alla contestata aggravante, e unificati i reati con la continuazione. 2. L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, tramite íl difensore, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen 2. 1. Violazione di legge, art. 350, comma 7, cod. proc. pen., art. 61, 62, 178, lettera C, cod. proc. pen. e art. 24 della Costituzione. Le sentenze di merito fondano il giudizio di responsabilità sulle dichiarazioni rilasciate dal ricorrente al momento della perquisizione e del sequestro. Non è l’imputato a dover dare prova del fatto che vi sia stata coercizione psicologica o fisica per inficiare l’utilizzabilità delle sue dichiarazioni, ma il giudice che intende utilizzarle a motivare che le stesse rispondono ai criteri di legge per l’utilizzazione spontanee . Quando l’atto di P.G. supera i confini propri della sua finalità perquisizione e sequestro ma sollecita la discussione dell’indagato come un vero interrogatorio la presenza del difensore è necessaria per il rispetto dell’art. 24 della Costituzione. Il ricorrente non ha avuto mai esplicita conferma della utilizzazione contro di lui delle sue dichiarazioni. Il contesto dove sono avvenute le dichiarazioni non è stato compiutamente analizzato dalla decisione impugnata. 2. 2. Violazione di legge, art. 600 ter, commi 2 e 3, cod. pen. e art. 546, comma 1, lettera E cod. proc. pen La Corte di appello deduce la natura pedopornografica delle immagini dalle dichiarazioni del ricorrente contestate quanto alla loro utilizzabilità e dall’accertamento del consulente tecnico. Non rileva la convinzione del ricorrente di aver visionato immagini pedopornografiche, ma che le stesse siano oggettivamente di minori. Anche le dichiarazioni del consulente non sono sufficienti perché lo stesso parla di evidente natura minorile dei soggetti raffigurati, si tratta di una personale convinzione. Non sussistono nella sentenza come nella consulenza criteri per affermare la natura minorile dei soggetti raffigurati. 2. 3. Violazione di legge, art. 42, commi 1 e 2, e art. 43, cod. pen Quanto al dolo specifico manca nella sentenza qualsiasi analisi sulla volontà di diffusione del materiale pedopornografico. Per la sentenza l’imputato era a conoscenza delle potenzialità informatiche degli strumenti utilizzati. I meccanismi dello sharing non sono noti a tutti, ma solo a chi ha una cultura informatica elevata. La durata dell’uso dello strumento nel caso dal 2006 non è certo riscontro della comprensione dei meccanismi dello sharing. 2. 4. Violazione di legge, art. 600 ter, comma 5, cod. proc. pen. Sull’aggravante del rilevante numero di materiale pedopornografico deve rilevarsi che la giurisprudenza non ha mai fissato un criterio di entità certo e conosciuto , per ritenere o no sussistente l’aggravante. Il criterio quindi è lasciato alla sensibilità dei giudicanti. Inoltre le immagini non sono state analizzate una per una, ma con criteri cumulativi e per grandi generi. Ha chiesto pertanto l’annullamento della decisione impugnata. Considerato in diritto 3. Il ricorso risulta inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi e per genericità. Inoltre ripropone le stesse argomentazioni dell’appello senza critiche specifiche alla motivazione della Corte di appello. Sul concreto pericolo di diffusione del materiale pedopornografico in possesso del ricorrente la sentenza impugnata e la decisione di primo grado, doppia conforme con adeguata motivazione, immune da manifeste illogicità e da contraddizioni rileva plurimi elementi dai quali desumere il pericolo concreto della diffusione dell’ingente materiale in possesso n. 8721 immagini e 367 video , poiché i file erano lasciati in una cartella condivisa, disponibile online, inoltre erano organizzati in cartelle ordinate, ed infine l’attività risaliva al lontano 2006. Del resto l’organizzazione richiesta per la configurabilità del reato deve essere almeno embrionale, e quella descritta dalla sentenza della Corte di appello e di primo grado può ritenersi efficiente ed effettiva ai fini della sussistenza del pericolo di diffusione Ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 600 ter, comma primo, cod. pen., le nozioni di produzione e di esibizione ivi contemplate richiedono l’inserimento della condotta in un contesto di organizzazione almeno embrionale e di destinazione, anche potenziale, del materiale pornografico alla successiva fruizione da parte di terzi. Sez. 3, n. 17178 del 11/03/2010 dep. 06/05/2010, Flak, Rv. 24698201 . Inoltre In tema di pornografia minorile, la sussistenza del reato di cui all’art. 600 ter, comma terzo, cod. pen. deve essere esclusa nel caso di semplice utilizzazione di programmi di file sharing che comportino nella rete internet l’acquisizione e la condivisione con altri utenti dei files contenenti materiale pedopornografico, solo quando difettino ulteriori elementi indicativi della volontà dell’agente di divulgare tale materiale. Fattispecie in cui la coscienza e volontà di divulgazione è stata desunta dalla condivisione per lunghissimo periodo dei files scaricati e dal loro effettivo scaricamento da parte di altri utenti Sez. 3, n. 19174 del 13/01/2015 dep. 08/05/2015, Colombo, Rv. 26337301 . Nel nostro caso come adeguatamente rilevato dalla sentenza impugnata, la durata della condotta dal 2006 e la quantità ingente delle immagini e dei video denotano sia il dolo e sia l’elemento oggettivo dei reati contestati, in maniera evidente. 3. 1. Sulla natura delle immagini la sentenza impugnata e la decisione di primo grado, in doppia conforme han rilevato come . non può mettersi in dubbio il carattere pedopornografico dei files stessi, deducibile sia dalle risultanze dell’esame del consulente tecnico, che indicava che le immagini ed i video pornografici avessero come protagonisti soggetti minori di età, sia dalle dichiarazioni del medesimo imputato . Sul punto il ricorso si limita genericamente a ritenere non validi gli accertamenti del consulente, ma senza prospettare elementi tecnici oggettivi diversi inoltre ribadisce la non utilizzabilità delle sue ammissioni. 4. Sul primo motivo di ricorso, utilizzabilità delle dichiarazioni spontanee rese dal ricorrente alla P.G. al momento della perquisizione e del sequestro si deve rilevare la genericità del motivo e comunque la sua manifesta infondatezza. Le dichiarazioni sono pienamente utilizzabili, perché si tratta di giudizio abbreviato Nel giudizio abbreviato sono utilizzabili a fini di prova le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria, perché l’art. 350, comma settimo, cod. proc. pen. ne limita l’inutilizzabilità esclusivamente al dibattimento . Sez. 5, n. 44829 del 12/06/2014 dep. 27/10/2014, Fabbri e altro, Rv. 26219201 vedi anche Sez. 2, n. 47580 del 23/09/2016 dep. 10/11/2016, Martino, Rv. 26850901 . Il ricorrente, però, ritiene, in via del tutto generica ed ipotetica, che le sue dichiarazioni non siano state spontanee, ma bensì provocate dalla P.G., non indica comunque nessun elemento concreto di tale prospettazione. 4. 1. L’art. 350 del codice di rito disciplina l’acquisizione di informazioni provenienti dall’indagato da parte della polizia giudiziaria d’iniziativa . La facoltà di interagire con l’indagato che non si trova in stato di arresto e di fermo in tal caso il contatto con l’autorità giudiziaria è un presidio di garanzia che non prevede eccezioni è concessa alla Polizia giudiziaria soprattutto al fine di consentire il proficuo svolgimento dell’attività investigativa nelle fasi iniziali del procedimento, e anche dopo. Come previsto dall’art. 513, comma 1, cod. proc. pen. le dichiarazioni assunte d’iniziativa dalla Polizia giudiziaria con o senza la presenza del difensore non possono entrare nel fascicolo del dibattimento il recupero delle dichiarazioni predibattimentali contra se, qualora l’imputato si avvalga del diritto al silenzio è, infatti, limitato ai casi in cui le dichiarazioni siano rese al Pubblico Ministero o alla Polizia giudiziaria che le raccoglie su sua delega. L’utilizzo delle dichiarazioni dell’imputato raccolte d’iniziativa dalla Polizia Giudiziaria è dunque limitato alla fase procedimentale. Nell’ambito di tale fase il legislatore ha previsto un ulteriore limite le dichiarazioni sollecitate acquisite senza garanzie, sul luogo e nell’immediatezza del fatto, sono utilizzabili solo per l’immediata prosecuzione delle indagini tali dichiarazioni non sono dunque utilizzabili neanche nella fase procedimentale. Le dichiarazioni spontanee , ai sensi dell’art 350, comma 7, cod. proc. pen., sono utilizzabili nell’area procedimentale e, nel giudizio abbreviato, anche se acquisite senza le garanzie presenza del difensore . Su questo tipo di dichiarazioni si appuntano le censure del ricorrente poiché le stesse andrebbero assunte in modo garantito, anche in assenza di una previsione espressa, dovendosi riconoscere la prevalenza della norma della costituzione, art. 24, sulla disciplina del cod. proc. pen. art. 350, comma 7, citato come interpretato dalla Suprema Corte di Cassazione diritto vivente . 4. 2. Si tratta di una lettura che non si condivide per diversi ordini di ragioni. In primo luogo la stessa lettera dell’art. 350, comma 7, cod. proc. pen è esplicita nel prevedere l’inutilizzabilità relativa , ovvero solo dibattimentale delle dichiarazioni spontanee, il che impedisce di ritenere che la regola specifica in essa prevista possa essere vanificata dalla disciplina generale che sancisce l’inutilizzabilità assoluta delle dichiarazioni rese dall’indagato senza garanzie. La norma si configura piuttosto come un espressa eccezione a tale regola, che trova la sua la ratio nella natura eminentemente difensiva e libera delle dichiarazioni spontanee. La scelta personalissima dell’indagato di offrire la propria versione dei fatti è, infatti, tutelata dal codice di rito. Nel caso in cui le dichiarazioni spontanee siano rese senza garanzie alla polizia giudiziaria il legislatore ha precisato il regime di utilizzabilità limitando l’utilizzo delle dichiarazioni alla fase procedimentale, ovvero alla cognizione cautelare ed a quella sulla responsabilità che si svolge nei riti a prova contratta, quale l’abbreviato nella piena disponibilità dell’accusato, e quindi la norma rispetta il criterio di ragionevolezza . Inoltre la norma oggetto delle censure difensive è compatibile con le indicazioni della normativa Europea e segnatamene con quelle contenute nella direttiva 2012/13WE in materia di diritti di informazione dell’indagato. La direttiva in questione è stata attuata con il d. lgs. n. 101 del 2014 che non ha modificato l’art. 350 cod. proc. pen. Occorre pertanto verificare se le norme Europee impongano una interpretazione diversa dell’art. 350, comma 7, cod. proc. pen. Invero l’art. 3 della Direttiva 2012/13WE indirizza gli Stati aderenti all’Unione a conformare le legislazioni in modo da garantire che alle persone indagate o imputate sia tempestivamente fornita l’informazione circa il diritto ad avvalersi di un difensore ed il diritto a restare in silenzio. La disposizione in questione è stata attuata solo attraverso la modifica degli artt. 291 e 369 bis cod. proc. pen. e non anche dell’art. 350, cod. proc. pen. Il legislatore italiano ha ritenuto quindi di lasciare all’indagato la possibilità di entrare in contatto con la Polizia giudiziaria procedente in modo spontaneo. Si tratta di una scelta che trova la sua giustificazione nel fatto che le dichiarazioni spontanee non sono funzionali a raccogliere elementi di prova, ma piuttosto a consentire all’indagato di interagire con la Polizia giudiziaria in qualunque momento egli lo ritenga, esercitando un suo diritto personalissimo vedi Cass. sez. 1, n. 26246 del 2017 . 4. 3. Risulta però essenziale l’analisi della effettiva spontaneità delle dichiarazioni, che deve essere effettuata dal giudice sulla base degli elementi disponibili In tema di dichiarazioni rese dall’indagato e qualificate come spontanee dalla polizia giudiziaria che le ha ricevute, spetta al giudice accertare anche d’ufficio, sulla base di tutti gli elementi a sua disposizione, la effettiva natura spontanea delle stesse, dando atto di tale valutazione con motivazione congrua ed adeguata Sez. 3, n. 36596 del 07/06/2012 dep. 21/09/2012, Osmanovic, Rv. 25357501 vedi anche Sez. 3, n. 2627 del 19/11/2013 dep. 21/01/2014, P.M. in proc. Cuberi, Rv. 25836801 . Nel nostro caso la decisione impugnata ritiene con motivazione adeguata ed immune da contraddizioni o da manifeste illogicità che le dichiarazioni risultano essere assolutamente spontanee e non caratterizzate da alcun elemento che possa portare ad affermare che le stesse siano state rese in modo forzato, a seguito di coercizione psicologica da parte degli operanti . Sul punto il ricorso per Cassazione si limita genericamente a ritenere non spontanee le dichiarazioni, secondo un dubbio soggettivo del ricorrente, che non trova elementi certi negli atti, e né gli stessi, del resto, sono indicati nell’atto di impugnazione, e quindi sono solo ipotesi teoriche, non valutabili in sede di legittimità vedi espressamente Cassazione, Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014 dep. 08/05/2014, C e altro, Rv. 260409 La regola dell’ al di là di ogni ragionevole dubbio , secondo cui il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se è possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e plausibilità, impone all’imputato che, deducendo il vizio di motivazione della decisione impugnata, intenda prospettare, in sede di legittimità, attraverso una diversa ricostruzione dei fatti, l’esistenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza, di fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali . 5. Relativamente all’aggravante si deve rilevare che l’entità delle immagini e dei video detenuti e condivisi è di tutto rispetto n. 8721 immagini e 367 video , e correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto configurata l’aggravante dell’ingente quantità, in applicazione delle decisioni sul punto di questa Corte di Cassazione La configurabilità della circostanza aggravante della ingente quantità nel delitto di detenzione di materiale pedopornografico art. 600-quater, comma secondo, cod. pen. impone al giudice di tener conto non solo del numero dei supporti detenuti, dato di per sé indiziante, ma anche del numero di immagini, da considerare come obiettiva unità di misura, che ciascuno di essi contiene. In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza impugnata, nella quale i giudici avevano ravvisato gli estremi dell’aggravante in questione in relazione alla detenzione di un film e 300 fotografie Sez. 3, n. 35876 del 21/06/2016 dep. 31/08/2016, B, Rv. 26800801 vedi anche Sez. 3, n. 17211 del 31/03/2011 dep. 03/05/2011, R., Rv. 25015201, relativamente a 175 DVD . Del resto il ricorso su questo punto risulta estremamente generico, limitandosi a ritenere non configurata l’aggravante. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex art 616 cod. proc. pen. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi, a norma dell’art. 52 del d. lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.