Sequestro per equivalente: la comunicazione delle Entrate incastra l’amministratore della società

In tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una società, può essere disposto il sequestro preventivo per equivalente sui beni della persona fisica laddove il profitto non risulti nella disponibilità dell’ente.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione la sentenza n. 45552/17, depositata il 3 ottobre. Il caso. Il Tribunale del riesame accoglieva parzialmente la richiesta dell’imputato e revocava solo in parte il sequestro preventivo per equivalente disposto per il reato di omesso versamento di ritenute certificate. L’ordinanza viene impugnata in Cassazione dall’imputato che si duole per non aver il giudice disposto il sequestro nei confronti della società di cui era amministratore, prima di aggredire il suo patrimonio personale. Lamenta inoltre il ricorrente l’irrilevanza, in termini di sintomo” dell’illiquidità, del fatto che la società abbia pagato una sola rata del debito tributario rateizzato. Illiquidità. La doglianza risulta priva di fondamento in quanto l’ordinanza impugnata, secondo il Supremo Collegio, risulta aver correttamente rilevato che la situazione di oggettiva illiquidità della società risultava da una comunicazione dell’Agenzia delle Entrate relativa alla decadenza della persona giuridica dalla rateizzazione del debito tributario a causa del pagamento di una sola rata. Tale comunicazione è infatti stata considerata manifestazione di una situazione di oggettiva mancanza di liquidità che ha reso superfluo il compimento di ulteriori ricerche del profitto del reato. In tema di confisca per i reati commessi dal legale rappresentante o altro organo di persone giuridiche, la giurisprudenza è infatti ferma nel ritenere possibile la confisca diretta del profitto del reato se questo sia rimasto nella disponibilità dell’ente e, solo in caso contrario, il provvedimento dovrà essere emesso nei confronti della persona fisica. Ciò posto, la Corte precisa che non è necessaria una preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto del reato in capo alla società. E’ infatti sufficiente, per procedere alla confisca per equivalente in capo alla persona fisica, una valutazione allo stato degli atti sulle risultanze relative al patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dal reato. Per questi motivi, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 luglio – 3 ottobre 2017, numero 45552 Presidente Cavallo – Relatore Andreazza Ritenuto in fatto 1. B.M. ha proposto ricorso avverso la ordinanza in data 07/10/2016 del Tribunale del riesame di Modena con cui, in parziale accoglimento della richiesta di riesame, la stessa ha revocato il sequestro preventivo per equivalente, disposto per il reato di cui all’art. 10 bis del d.lgs. numero 74 del 2000, delle somme rinvenute su conto corrente acceso presso omissis e sul conto deposito presso omissis S.p.a.,confermando nel resto il provvedimento. 2. Con un primo motivo di ricorso, premesso che la confisca del profitto del reato è possibile anche nei confronti della persona giuridica quando si tratti di reati commessi dal suo legale rappresentante o da altro organo e quando il profitto sia rimasto nella disponibilità dell’ente, lamenta che nella specie si sia proceduto al sequestro nei confronti del B. senza in primis procedere al sequestro diretto delle somme nella disponibilità della società omissis né rileverebbe, ai fini della pretesa situazione di illiquidità della stessa, come ritenuto dal Tribunale, il fatto che la società abbia pagato una sola rata di un debito rateizzato, non essendo di contro stato fatto alcun accertamento circa i conti correnti o i conti di deposito della stessa né si comprende in che termini l’imputato avrebbe dovuto dimostrare l’incapienza della società, anche in ragione della cessata carica, da tempo, di amministratore. 3. Con un secondo motivo lamenta la violazione del principio del ne bis in idem di cui all’art. 4 prot.7 della Convenzione edu e di cui all’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea premesso che la società è stata già sanzionata in via amministrativa con provvedimento divenuto definitivo, la necessità di applicare in via diretta da parte del giudice nazionale tale principio, con conseguente proscioglimento dal reato addebitato, osterebbe alla permanenza del sequestro operato in ogni caso dovrebbe essere sollevata questione interpretativa pregiudiziale ex art. 267 del T.f.u.e. innanzi alla Corte di Giustizia. 4. Con un terzo motivo lamenta la violazione degli artt. 125 e 321 cod. proc. penumero e degli artt. 322 ter cod. penumero e 10 ter del d.lgs. numero 74 del 2000 posto che il Tribunale avrebbe dovuto ridurre il sequestro in misura proporzionale alle rate effettivamente corrisposte a seguito del provvedimento di rateizzazione. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è inammissibile. Va ricordato che, come da costante indirizzo di questa Corte, il ricorso per cassazione contro ordinanze in materia cautelare reale è consentito, ex art. 325, comma 1, cod. proc. penumero solo per violazione di legge, sicché in tanto lo stesso può legittimamente dirigersi a censurare la motivazione del provvedimento impugnato in quanto questa sia del tutto assente o meramente apparente perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato, integrando, infatti, una tale fattispecie, la violazione dell’art. 125 cod. proc. penumero cfr., da ultimo, Sez. 6, numero 6589 del 10/01/2013, dep. 11/02/2013, Gabriele, Rv. 254893 . Nella specie, l’ordinanza impugnata ha posto in rilievo che, da comunicazione dell’Agenzia delle Entrate relativa alla decadenza della società dal beneficio della rateizzazione del debito tributario per il pagamento di una sola rata, deve ritenersi emersa una situazione di oggettiva illiquidità della persona giuridica tale da rendere superfluo il compimento di ulteriori ricerche del profitto del reato, in tal modo, dunque, essendo stata resa motivazione non sindacabile alla stregua del principio appena ricordato deve in proposito rammentarsi che una preventiva, generalizzata, ricerca dei beni costituenti il profitto del reato non è necessaria Sez. U., numero 10561 del 30/01/2014, dep. 05/03/2014, Gubert, Rv. 258648 è infatti sufficiente una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo appunto necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto diretto del reato Sez. 3, numero 41073 del 30/09/2015, dep. 13/10/2015, P.M. in proc. Scognamiglio, Rv. 265028 . Né può sindacarsi l’ulteriore affermazione del Tribunale, del resto neppure contrastata in ricorso, secondo cui mancherebbero gli elementi per potere ritenere beni derivati dal profitto e dunque solo in tal caso sequestrabili in via diretta, essendo invece inibito nei confronti della persona giuridica il sequestro per equivalente salvo il caso di società - schermo gli immobili intestati alla società. 2. Anche il secondo motivo è inammissibile. Pur a volere ritenere deducibile, secondo orientamento di questa Corte, per la prima volta la questione in sede di legittimità ed a prescindere da ogni considerazione sulla invocabilità, con riguardo al reato di cui all’art. 10 bis cit., del principio del ne bis in idem per effetto della irrogazione di sanzioni di carattere amministrativo riguardanti, nella pretesa del ricorrente, il medesimo fatto, risulta in radice preclusivo il fatto che, come assume lo stesso ricorrente, la sanzione amministrativa sia stata a suo tempo irrogata nei confronti della persona giuridica mentre il sequestro di cui nella specie ci si duole ha attinto i beni dell’imputato - legale rappresentante al contrario, presupposto necessario del ne bis in idem deve, in ogni caso, essere la coincidenza tra soggetto colpito dalla sanzione amministrativa e soggetto colpito dalla sanzione penale Sez. 2, numero 13901 del 25/02/2016, dep. 07/04/2016, P.G., Castiglioni, Rv. 266669 Sez. 3, numero 43809 del 24/10/2014, dep. 30/10/2015, Gabbana e altri, Rv. 265118 . 3. Manifestamente infondato è poi il terzo motivo con cui si invoca una riduzione del valore dei beni sottoposti a sequestro in misura proporzionale a quanto nel frattempo asseritamente pagato mentre in ricorso non si specificano gli estremi di tale parziale pagamento, il provvedimento impugnato ha, in senso esattamente contrario, dato espressamente atto della circostanza per cui neppure la prima delle rate al cui pagamento la società e non, peraltro, l’amministratore è stata ammessa è stata effettivamente corrisposta. 4. In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della cassa delle ammende.