La configurazione dell’appropriazione indebita richiede la sussistenza di più elementi

È orientamento di Legittimità ritenere che per configurarsi il reato di appropriazione indebita debbano sussistere diversi elementi fattuali. Quali quelli di omessa restituzione della cosa, atto di disposizione uti dominus e sussistenza soggettiva della volontà di convertire il possesso in proprietà.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 45298/17, depositata il 2 ottobre. Il caso. Il Tribunale condannava l’imputato per il reato di appropriazione indebita, oltre al risarcimento del danno nei confronti della parte civile. Avverso tale pronuncia la difesa proponeva Appello e la Corte territoriale, in riforma della sentenza impugnata, assolveva il ricorrente per il fatto a lui ascritto, con la formula, perché il fatto non sussiste. La Corte dubitava, infatti, della sussistenza dell’elemento soggettivo in capo all’agente ossia la volontà di agire uti dominus . Avverso tale pronuncia la parte civile ricorreva in Cassazione, ai soli fini civili, lamentando l’erronea applicazione dell’art. 646 c.p. Appropriazione indebita . L’appropriazione indebita. La Cassazione premette che, nel caso di specie, i fatti in esame siano pacifici, risulta infatti, incontestato che l’imputato abbia indebitamente incassato un’ingente somma di denaro, versata erroneamente sui suoi conti personali da Alpitur, in pagamento dei servizi alberghieri prestati da un’altra società. Ciò detto, il compito della Corte dovrà essere quello di rilevare la sussistenza di quegli elementi che integrano la condotta del reato in esame, ossia, l’omessa restituzione della cosa, un atto di disposizione uti dominus e la sussistenza della volontà soggettiva di convertire il possesso in proprietà. La sussistenza di uno solo di questi elementi non è di per se sufficiente ad integrare l’appropriazione indebita, ma dovranno sussistere tutti congiuntamente. Nel caso di specie, la Cassazione afferma che le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte d’Appello ritenendo che la mera ritenzione precaria, attuata in garanzia di un preteso diritto di credito, conservando il denaro a disposizione della società e condizionandone la restituzione all’adempimento di rendicontazione.non è espressione di un atto di disposizione uti dominus , siano del tutto illogiche, non tenendo conto che l’imputato non aveva mai inteso restituire la somma indebitamente percepita. Per questo motivi la Cassazione annulla la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 15 settembre – 2 ottobre 2017, numero 45298 Presidente Davigo – Relatore Gallo Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Salerno con sentenza del 22 maggio 2014 condannava S.G. alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 700,00 di multa per il reato di appropriazione indebita, così riqualificata l’originaria imputazione di truffa, oltre al risarcimento del danno nei confronti della parte civile Domintur srl, da liquidarsi in separata sede e al pagamento di una provvisionale di Euro 50.000,00. A seguito di appello dell’imputato, la Corte d’appello, con sentenza in data 4/07/2016, in riforma della sentenza impugnata, assolveva S.G. dal reato a lui ascritto perché il fatto non costituisce reato. 2. La Corte territoriale, riconoscendo come incontestabili le circostanze di fatto, vale a dire che l’imputato aveva indebitamente ricevuto da Alpitur la somma di complessivi Euro 105.887,93 spettanti a Domintur srl per servizi alberghieri forniti e fatturati dalla medesima società, dubitava della sussistenza, in capo all’agente, dell’elemento soggettivo, vale a dire della volontà di agire uti dominus sulla res aliena. Di conseguenza assolveva l’imputato con la formula corrispondente. 3. Avverso tale sentenza propone ricorso, ai soli fini civili, la parte civile Domintur srl deducendo erronea applicazione della norma di cui all’art. 646 cod. penumero e dolendosi che la Corte d’appello avrebbe mutato in maniera del tutto apodittica le risultanze di fatto cui era pervenuto il giudice di primo grado. In particolare eccepisce che l’esercizio del diritto di ritenzione di una somma indebitamente percepita, comporta l’interversione del possesso, ove non si sia in presenza - come nel caso di specie - di un credito certo, liquido ed esigibile. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. Occorre premettere che nel caso di specie i fatti sono pacifici. Pacifica è la circostanza che la società S. Hotel Group s.r.l. abbia indebitamente incassato l’importo di Euro.105.887,93 versato erroneamente sui conti personali del S. da Alpitur in pagamento di servizi alberghieri forniti da Domintur srl nell’estate del 2006 presso il omissis . La questione è stata anche oggetto di un giudizio civile fra le parti ed il Tribunale di Milano, con sentenza numero 13419, depositata in data 23/01/2010, passata in cosa giudicata, accertata l’illegittimità della condotta tenuta dalla convenuta S. Hotel nel trattenere per sé le somme pagate da Alpitur, ha condannato la società dell’imputato a pagare in favore della Domintur srl l’importo di Euro 105.887,93, oltre interessi dal dovuto al saldo. 3. Giudicando della sussistenza dell’elemento soggettivo in testa all’agente, vale a dire della interversione del possesso, la Corte territoriale è giunta a conclusioni opposte rispetto a quelle assunte dal Tribunale sulla base di una differente interpretazione del medesimo documento, la missiva del 28 dicembre del 2006 con la quale l’imputato, a fronte della richiesta di restituzione dell’importo, invitava la società richiedente a fornire la rendicontazione dei risultati economici inerenti il periodo di gestione provvisoria della struttura alberghiera, sollecitava un incontro per poter definire i rapporti di dare e avere e si dichiarava disponibile alla restituzione se il saldo del rapporto dare/avere dovesse risultare a favore della Domintur srl. 4. In punto di diritto, il consolidato ed indiscusso principio che da sempre è affermato in giurisprudenza è che l’appropriazione indebita si verifica nel momento in cui il detentore attua la c.d. interversione del possesso che consiste nell’attuare sul bene di proprietà altrui atti di disposizione uti dominus e, quindi, nell’intenzione di convertire il possesso in proprietà. La parte civile ricorrente invoca la giurisprudenza di questa Corte che, ulteriormente specificando il principio di diritto richiamato ha ripetutamente affermato che in tema di appropriazione indebita, il diritto di ritenzione esercitato sul bene altrui non ha efficacia scriminante se il credito che si intende tutelare non è liquido né esigibile Cass. Sez. 2, Sentenza numero 45992 del 07/11/2007, Cravosio, Rv. 238899 Sez. 2, Sentenza numero 6080 del 09/01/2009, Odarda, Rv. 243280 . Tuttavia la giurisprudenza di questa Corte ha ulteriormente specificato che anche la semplice ritenzione del bene, quando origini da una lite civile in cui ognuno dei contendenti fa valere le proprie ragioni nei confronti dell’altro, non costituisce, di per sé, un indice sicuro della volontà di intervertire il possesso e cioè un comportamento uti dominus, potendo, al più, essere qualificato come un mero inadempimento come tale solo civilisticamente sanzionabile in terminis Cass. 29/1965 Rv. 099419 Cass. 9410/1981 Rv. 150663 L’omessa restituzione della cosa non realizza l’ipotesi del reato di cui all’art. 646 c.p., se non quando si ricollega oggettivamente ad un atto di disposizione uti dominus, e soggettivamente alla intenzione di convertire il possesso in proprietà Cass. 10774/2002 Rv. 221522 Cass. 17295/2011 Rv. 250100 Sez. II, 26/02/2014 numero 12740 . È proprio alla stregua dei suddetti principi di diritto, quindi, che tutte le fattispecie esaminate, si risolvono, alla fin fine, in una disamina e valutazione dei singoli elementi fattuali al fine di verificare se quei singoli fatti costituiscano o no indice dell’interversione del possesso. 5. Qualora si reputi meramente pretestuosa e dilatoria l’obiezione sollevata dal S. con la missiva 28/12/2006, il rifiuto a restituire la somma indebitamente percepita deve essere interpretato come atto di disposizione uti dominus. Qualora, invece, si reputi che la ritenzione della somma debba essere collocata nel contesto di una lite commerciale insorta fra le parti, allora il fatto potrebbe essere valutato come un mero illecito civile, trattandosi eventualmente di eccezione d’inadempimento, ai sensi dell’art. 1460 cod. civ 6. Si tratta di valutazioni in fatto che spettano al giudice del merito e che non sono censurabili se adeguatamente motivate. Nel caso di specie la Corte d’appello ha escluso la sussistenza dell’elemento soggettivo, osservando che la mera ritenzione precaria, attuata a garanzia di un preteso diritto di credito, conservando il denaro a disposizione della Domintur srl e condizionandone la restituzione all’adempimento dell’obbligazione di rendicontazione e alla presenza di un credito in capo alla società richiedente non è espressione di un atto di disposizione uti dominus . Le conclusioni a cui è pervenuta la Corte territoriale sono palesemente illogiche, nella misura in cui non tengono conto del comportamento successivo del S. che non ha mai inteso restituire la somma indebitamente percepita sino al punto da subire condanna in sede civile. 2. Di conseguenza la sentenza impugnata deve essere annullata, ai soli fini civili, con rinvio degli atti al giudice civile competente per valore in grado d’appello. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d’appello. Sentenza a motivazione semplificata.