Violenza sessuale o atti sessuali con minorenni?

La Cassazione si pronuncia tracciando il confine tra violenza sessuale e atti sessuali con minorenni

La Cassazione, con la sentenza n. 44936/17, depositata il 29 settembre, si pronuncia tracciando il confine tra violenza sessuale e atti sessuali con minorenni. Il caso. Il Tribunale dichiarava di non doversi procede nei confronti dell’imputato in relazione al reato di cui all’art. 609- quater , comma 1, n. 1 c.p. atti sessuali con minorenni per mancanza di querela. L’imputato era accusato di aver compiuto atti sessuali in danno della nipote minore all’epoca di fatti, ma comunque ultradecenne. La Corte d’Appello, ribaltava il giudizio di primo grado condannando l’imputato per il reato originariamente contestatogli art. 609 -bis c.p. violenza sessuale . Avverso tale pronuncia il condannato ricorreva in Cassazione. Procedibilità. A parere della Cassazione il confine che separa il reato di violenza sessuale dal reato di atti sessuali con minorenni è rappresentato dall’esercizio della violenza. Nel caso di specie la Corte ritiene, infatti, che siano da appoggiare le valutazioni svolte dal Tribunale secondo il quale le condotte dell’imputato, consistite in baci strusciamenti, toccamenti al seno e simulazione del congiungimento carnale, non siano sufficienti ad integrare gli estremi della violenza. Infatti tali azioni non erano state realizzate attraverso l’applicazione di un energia fisica strumentale a vincere una resistenza opposta dalla persona offesa. La Cassazione perciò accoglie il ricorso e annulla la sentenza impugnata sulla constatazione del fatto che aderire in toto alla tesi svolta dalla Corte d’Appello comporterebbe la possibilità di considerare integrato il reato di cui art. 609 -bis c.p. ogni qual volta il soggetto anche in ragione della stessa morfologia degli organi sessuali, debba esercitare una qualche forza fisica a carico del soggetto che quegli atti starebbe subendo .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 2 dicembre 2016 – 29 settembre 2017, n. 44936 Presidente Savani – Relatore Gentili Ritenuto in fatto Con sentenza del 14 aprile 2014 il Tribunale di Palermo, in composizione collegiale, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di B.A. in relazione al reato di cui all’art. 609-quater, comma 1, n. 1, cod. pen. - in tale modo riqualificata in esito al giudizio la originaria imputazione mossa all’imputato ed avente ad oggetto la violazione degli artt. 81, cpv., 609-bis e 609-ter, cod. pen., per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, compiuto, in modo repentino, così da impedire la fuga o la difesa, atti sessuali in danno della nipote minore A.S. , all’epoca dei fatti comunque ultradecenne, consistenti in baci, toccamenti del seno e di altre parti intime nonché nella simulazione del congiungimento carnale, pur realizzata rimanendo e i soggetti in questione entrambi vestiti per mancanza di querela. Il Tribunale, in particolare, pur ritenuta la sicura rilevanza quanto alla loro qualificabilità come atto sessuale delle condotte attribuite all’imputato, ha rilevato che le stesse non integravano gli estremi della violenza, ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 609-bis cod. pen., in quanto, per un verso esse non erano state realizzate attraverso l’applicazione di una energia fisica strumentale a vincere una resistenza opposta dalla persona offesa né tramite l’uso di altri mezzi, anche solo insidiosi, atti ad ostacolare l’eventuali difesa della A. . A tale proposito il Tribunale, oltre a segnalare il fatto che nel corso della istruttoria dibattimentale non fosse mai emerso con chiarezza che la minore abbia opposto una qualche resistenza alle condotte del B. , al quale la legava una relazione di tipo sentimentale, ha anche evidenziato come siffatta relazione, e le condotte incriminate, ad essa correlate, sia cessata allorché all’imputato è stata negata dalla minore una più intensa intimità, costituita dalla consumazione di un vero rapporto sessuale. Il giudice di primo grado, ritenuto che i fatti, pur penalmente significativi, in assenza di elementi tali da far presumere l’esistenza di una coartazione della volontà della minore, fossero qualificabili esclusivamente, data l’età della A. , entro l’ambito dell’art. 609-quater cod. pen. operazione questa non inibita essendo gli elementi del reato accertato già integralmente contenuti nel capo di imputazione contestato al B. , ha rilevato che, essendo il tempus commissi delicti riconducibile ad un epoca in cui la persona offesa aveva comunque compiuto 10 anni, ha osservato come, trattandosi a questo punto di un reato procedibile esclusivamente a querela di parte, la assenza di questa, ovvero delle altre condizione necessarie ai fini una procedibilità officiosa, determinava il proscioglimento dell’imputato. Avendo interposto appello avverso la predetta sentenza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, deducendo, in estrema sintesi, che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale siciliano, nel corso della istruttoria dibattimentale erano emersi elementi atti a dimostrare che la minore aveva opposto in più circostanze il proprio dissenso alle condotte dell’imputato, nonché dalla parte civile costituita in primo grado, la Corte territoriale di Palermo, con sentenza del 29 gennaio 2016, in sostanziale riforma di quella del Tribunale, ha dichiarato la penale responsabilità del prevenuto in ordine al reato come originariamente contestato, condannandolo, pertanto, alla pena di anni 6 e mesi 2 di reclusione, oltre alle sanzioni accessorie ed al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile. Ad avviso della Corte, infatti, le condotte dell’imputato, consistenti anche nel porre il proprio corpo sopra quello della minore ovvero nell’agire in modo insidioso e rapido, così impedendo alla minore di difendersi, avrebbero integrato gli estremi del reato originariamente a lui contestato d’altra parte, ha ancora osservato, la Corte territoriale, anche la semplice intimidazione psicologica nei confronti del soggetto destinatario di atti sessuali è fattore idoneo ad realizzare il requisito della violenza peraltro, ha aggiunto la Corte, nel corso della sua audizione la minore ha dichiarato che aveva detto all’imputato che il suo comportamento non le era gradito. La Corte ha ancora osservato che il fatto non era qualificabile fra quelli di minore gravità, avendo l’imputato approfittato del disagio psichico della minore aggravato dal suo già precario sviluppo psico-fisico dovuto al degradato contesto familiare nel quale la minore era inserita ed in quanto gli stessi erano stati reiterati e continuati nel tempo. Parimenti da escludersi le attenuanti generiche in assenza di fattori che le avrebbero potute giustificare, mentre, in relazione alla determinazione della pena, doveva tenersi conto del fatto che all’imputato era stata contestata la continuazione interna, di tal che alla pena base, commisurata in anni 6 di reclusione, doveva essere aggiunto un ulteriore periodo di detenzione pari a mesi 2, oltre alle pene accessorie ed al risarcimento del danno in favore della minore, da liquidarsi in separato giudizio. Avverso la sentenza della Corte palermitana ha interposto ricorso per cassazione, assistito dal proprio difensore di fiducia, il B. , articolando due motivi di impugnazione. L’uno concerne il vizio di motivazione e la violazione di legge in cui la Corte sarebbe incorsa nel procedere alla riqualificazione della condotta attribuita all’imputato nei termini di cui all’art. 609-bis cod. pen. in luogo di quelli ritenuti dal Tribunale integranti solo il profilo penale dell’art. 609-quater cod. pen., con la conseguente procedibilità ex officio della condotta posta in essere stante la età della persona offesa. L’altro riguarda, sempre sotto il profilo della violazione di legge e del difetto di motivazione, la mancata riconduzione della ipotesi di reato contestata alla fattispecie attenuata dalla minore gravità del fatto di cui all’ultimo comma dell’art. 609-bis cod. pen. Considerato in diritto Il ricorso è risultato fondato e, pertanto, lo stesso deve essere accolto, con le conseguenti statuizioni. Osserva, infatti, il Collegio che con la sentenza impugnata la Corte territoriale palermitana ha sostanzialmente riformato la sentenza emessa dal giudice di primo grado. Come è noto, allorché il giudice di appello intenda riformare in maniera ampia le statuizioni contenute nella sentenza di primo grado è onere del medesimo quello di articolare una motivazione che delinei le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio ed in cui sia contenuta la specifica confutazione dei più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della ritenuta relativa incompletezza o incoerenza e non può, invece, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato da ultimo Corte di cassazione, Sezione 6 penale, 10 marzo 2015, n. 10131 idem Sezione 2 penale, 3 dicembre 2014, n. 50643 . Nel caso di specie la Corte di appello di Palermo si è sottratta a siffatto onere, limitandosi a contrapporre la propria lettura del materiale probatorio a quella fatta propria dal Tribunale in sede di giudizio di primo grado, omettendo del tutto di segnalare le ragioni per le quali le proprie valutazioni dovessero imporsi rispetto a quelle fatte in sede di precedente giudizio. Peraltro il ragionamento con il quale la Corte ha ritenuto che nella condotta del B. - condotta certamente riprovevole data l’età della giovanissima parte offesa, ma della quale non è in discussione il disvalore morale ma semplicemente la qualificazione giuridica rilevante ai fini della affermazione della procedibilità ex officio , ove si tratti di violazione dell’art. 609-bis cod. pen., data l’età della persona offesa, ovvero a seguito di querela di parte, ove il fatto sia qualificato come violazione dell’art. 609-quater cod. pen., come fatto dal Tribunale - sia ravvisabile, appunto, la violazione dell’art. 609-bis, con le ricordate conseguenze in tema di immediata procedibilità, appare manifestamente irragionevole, posto che la attribuzione del carattere della violenza alla condotta del B. appare fondato su una circostanza di fatto, cioè che l’imputato si adagiasse con il corpo sopra quello della parte offesa, gravandolo del proprio peso, che appare inidonea a fondare il giudizio fatto proprio dal giudicante di appello, trattandosi di una modalità, peraltro non certo atipica, di realizzazione dell’atto sessuale. Invero, a seguire il ragionamento della Corte territoriale, sarebbe ravvisabile il reato de quo ogniqualvolta la realizzazione della condotta criminosa in questione possa comportare l’esercizio di una qualche forza fisica, corpore corpori illata , a carico del soggetto diverso dall’agente, a prescindere dal fatto che tale comportamento costituisca, a sua volta, la materialità dell’atto sessuale. Aderire in toto alla tesi della Corte di appello comporterebbe, di fatto, la possibilità di considerare integrato il reato di cui all’art. 609-bis cod. pen. ogni qualvolta il soggetto, anche in ragione della stessa morfologia degli organi sessuali, debba esercitare una qualche forza fisica a carico del soggetto che quegli atti starebbe, secondo la ipotesi accusatoria, subendo. L’evidente illogicità della tesi svolta dalla Corte di Palermo mina la affermazione secondo la quale, per il fatto stesso di incombere con il proprio corpo su quelle della minore persona offesa, la condotta del B. sarebbe caratterizzata dalla violenza, sicché questa sarebbe sussumibile entro l’ambito normativo dell’art. 609-bis cod. pen Anche con riferimento alle dichiarazioni rese dalla A. in sede dibattimentale, che il Tribunale ha ritenuto essere tali da non evidenziare la esistenza di un effettivo dissenso da parte di questa al compimento degli atti sessuali da parte del B. nei suoi confronti, tanto da avere evidenziato, sotto il profilo della tenuta logica della propria ricostruzione, come le condotte invasive dell’imputato si siano interrotte al momento in cui, volendo egli più intensamente invadere la sfera di intimità sessuale della ragazzina, questa abbia esplicitato in termini diretti il proprio dissenso, la Corte di appello, omette del tutto di contestare la riportata ricostruzione, limitandosi a contrapporre ad essa, senza rappresentare le ragioni che ne avrebbero dovuto giustificare la prevalenza, la propria valutazione ed interpretazione del medesimo compendio probatorio. Per le esposte ragioni, rimanendo chiaramente assorbito il secondo motivo di impugnazione formulato da parte ricorrente, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Palermo che, in applicazione degli esposti principi, riesaminerà la fondatezza o meno della impugnazione proposta avverso la sentenza con la quale è stato dichiarato il non doversi procedere per mancanza di querela nei confronti di B.A. . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo. In caso di diffusione del presente provvedimento, si dispone che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle persone, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.