L’abitualità della condotta vessatoria

La sussistenza dei precedenti elementi oggettivi e costitutivi del reato è evincibile anche da quella attività di disturbo e di natura molestatoria esercitata dal ricorrente precedentemente agli episodi in esame.

Così ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 44902/17 depositata il 28 settembre. Il caso. La Corte d’Appello confermava la condanna dell’imputato per il reato di cui all’art. 612 -bis c.p. Avverso tale provvedimento il condannato ricorreva in Cassazione lamentando un erronea applicazione dell’art. 612 -bis c.p. contestando la sussistenza dell’elemento dell’abitualità delle condotte vessatorie a lui imputate. Abitualità degli atti. La Cassazione nel caso di specie, rileva la correttezza di quanto rilevato dai Giudici d’Appello, i quali hanno correttamente argomentato nel senso della sussistenza dei precedenti elementi oggettivi e costitutivi del reato è evincibile anche da quella attività di disturbo e di natura molestatoria esercitata dal ricorrente precedentemente agli episodi in esame. La prove dell’evento, inoltre, deve essere ricondotta anche ad uno stato di grave turbamento psicologico e di paura, eziologicamente riconducibile alla condotte intimidatorie poste in essere dall’imputato, cosi come emergente dalle condotte della vittima e, soprattutto, dalle dichiarazioni rese dagli altri familiari. Per questo motivo la Corte rigetta il ricorso

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 – 28 settembre 2017, n. 44902 Presidente Palla – Relatore Amatore Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Caltanisetta ha integralmente confermato la condanna dell’imputato per il reato di cui all’art. 612 bis cod. pen., condanna già emessa dal Tribunale di Gela. Avverso la predetta sentenza ricorre l’imputato, per mezzo del suo difensore, affidando la sua impugnativa a due motivi di doglianza. 1.1Denunzia il ricorrente, con il primo motivo, erronea applicazione dell’art. 612 bis cod. pen Contesta più in particolare la difesa della parte ricorrente il profilo della ricorrenza degli elementi costitutivi del reato contestato in ordine all’evento ed alla abitualità delle condotte vessatorie, atteso che gli episodi contestati nel mese di febbraio del 2011 erano il frutto di una episodica e smodata reazione dell’imputato alla notizia della distruzione delle fotografie del matrimonio e non già la manifestazione di una condotta reiterata ed abituale diretta a vessare la persona offesa e che peraltro non erano stati probatoriamente acquisiti elementi idonei a dimostrare la sussistenza dell’evento del reato previsto dall’art. 612 bis cod. pen Si contesta, altresì, anche la mancata motivazione della Corte territoriale in ordine al profilo del nesso causale tra le condotte contestate e l’evento del reato. Si evidenzia, inoltre, che gli unici elementi probatori emersi in corso di istruttoria dibattimentale in merito alla prova dell’evento del reato contestato sono rappresentati dalle sole dichiarazioni della persona offesa, peraltro non riscontrate da ulteriori elementi di valutazione e smentite dalle dichiarazioni delle figlie dell’imputato. Ne consegue che - secondo la diversa ed alternativa ricostruzione operata dalla difesa del ricorrente - i due episodi oggetto di contestazione a quest’ultimo non sarebbero altro che la manifestazione, sebbene eccessiva, del disagio subito dall’imputato per la mancata spiegazione della distruzione delle foto del matrimonio, tanto ciò è vero che dopo l’11.2.2011 non vi erano stati altri contatti tra gli ex coniugi. 1.2 Con il secondo motivo si denunzia vizio argomentativo. Si evidenzia che contraddittoriamente la motivazione impugnata non aveva tenuto in considerazione le dichiarazioni rese dalle figlie dell’imputato, che avevano escluso qualsiasi condotta violenta o minacciosa riconducibile al ricorrente. Si enuclea anche un ulteriore profilo di contraddittorietà intrinseca nella motivazione impugnata laddove quest’ultima aveva rintracciato la conferma alle dichiarazioni accusatorie della persona offesa proprio nelle dichiarazioni rilasciate dalle figlie della coppia divorziata, dichiarazioni il cui tenore era invece contrario a quanto ritenuto dalla Corte distrettuale. Si contesta, da ultimo, anche la valutazione in ordine alla esistenza di una pressione psicologica sulla vittima del reato discendente dai numerosi tentativi di mettersi in contatto da parte dell’imputato con la persona offesa, circostanza quest’ultima che, al più, evidenziava un atteggiamento di molestia arrecato ad altre persone e non già alla persona offesa. Considerato in diritto 2. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato. 2.1 Già il primo motivo di doglianza non è condivisibile per come proposto. Non è infatti rintracciabile il denunziato vizio di violazione di legge, riferito dalla difesa dell’imputato, all’art. 612 bis cod. pen Ed invero, osserva la Corte come, in relazione ai profili di doglianza riferibili alla contestata sussistenza della abitualità e dell’evento del reato di atti intimidatori, il giudice impugnato abbia correttamente argomentato nel senso che la sussistenza dei predetti elementi oggettivi e costitutivi del reato è evincibile, oltre che dalle condotte dell’imputato descritte nell’editto accusatorio e sulla cui storica ricorrenza anche la difesa del ricorrente non avanza contestazioni , anche da quella attività di disturbo e di natura molestatoria esercitata dall’O. nei confronti dell’ex coniuge precedentemente ai due episodi di evidente molestia ora ricordati. Peraltro, la prova dell’evento viene ricondotta da parte della Corte di merito - anche qui in modo del tutto corretto dal punto di vista giuridico - ad uno stato di grave turbamento psicologico e di paura, eziologicamente riconducibile alle condotte intimidatorie poste in essere dall’imputato, così come testimoniato non solo dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa come vorrebbe, invece, la difesa del ricorrente , ma anche e soprattutto dalle dichiarazioni rese dal fratello della vittima e dalle figlie di quest’ultima. Ne consegue la infondatezza della doglianza. 2.2 Il secondo motivo di censura è invece inammissibile. Si denunzia invero da parte del ricorrente un vizio argomentativo invece insussistente, per quanto si dirà , perorando in modo inammissibile innanzi a questa Corte di legittimità una ricostruzione del fatto alternativa a quella accolta dalla Corte di merito, e ciò attraverso una critica diretta degli elementi di prova già scrutinati dai giudici di merito ed una complessiva rivalutazione del compendio probatorio. 2.2.1 Sul punto, risulta utile ricordare che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali con la conseguenza che il sindacato di legittimità deve essere limitato soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l’adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali in tal senso, ex plurimis, Sez. 5, n. 4295 del 07/10/1997, Di Stefano, Rv. 209040 . Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni della Corte di Cassazione, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite, le quali hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Sez. U., n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207945 . E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e , per effetto della L. 20 febbraio 2006, n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, Baratta, Rv. 234109 . Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito ex multis Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv.244181 . Delineato nei superiori termini l’orizzonte del presente scrutinio di legittimità, criticare da parte del ricorrente la lettura della valenza probatoria delle dichiarazioni rese dalle figlie dell’imputato operata da giudice di appello, senza il medio di un vizio argomentativo che infici la tenuta logica complessiva della motivazione qui impugnata, risulta essere operazione processuale inammissibile in questo giudizio di legittimità. Senza contare che, comunque, sul punto qui da ultimo in discussione, la Corte distrettuale ha comunque reso una motivazione adeguata, evidenziando la necessità da parte delle figlie di ridimensionare, nelle loro dichiarazioni dibattimentali, lo spessore della responsabilità del padre nella vicenda che ci occupa per ovvie ragioni di affetto familiare, dichiarazioni che, comunque, nella loro complessiva linearità, tracciavano con evidenza la sussistenza della rilevanza penale delle condotte ascritte all’odierno ricorrente. 3. In base al principio della soccombenza, l’imputato deve essere condannato, alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate come in dispositivo. 4. Va disposto l’oscuramento dei dati delle parti, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di parte civile, liquidate in complessivi Euro 2.200, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.