Sull’istanza di proroga del termine per smantellare l’impianto balneare non può formarsi il silenzio assenso

La richiesta di riesame del sequestro preventivo di uno stabilimento balneare non può fondarsi sull’asserita formazione di un silenzio assenso dell’amministrazione sulla richiesta di proroga del termine per lo smontaggio.

Lo hanno affermato i Supremi Giudici con la sentenza n. 43815/17 depositata il 22 settembre. Il fatto. Il Tribunale rigettava la richiesta di riesame presentata da un’indagata avverso il sequestro preventivo di uno stabilimento balneare da lei realizzato e gestito. La richiesta si fondava sulla carenza del fumus delicti posto che le strutture erano state realizzate in conformità alla normativa regionale che impone, a tale tipo di struttura, il requisito della facile amovibilità. Il Tribunale rilevava però come, in violazione del termine del 31 ottobre di ogni anno previsto per lo smontaggio delle medesime strutture – salvo richiesta di proroga al 31 dicembre -, il sopralluogo effettuato in data 16 gennaio aveva consentito di accertare la permanenza dello stabilimento balneare sequestrato. Il provvedimento viene impugnato in Cassazione dall’indagata con plurimi motivi di ricorso. Silenzio assenso. Tra le altre censure, la ricorrente invoca il silenzio assenso dell’amministrazione che si sarebbe formato sulla sua istanza di proroga del termine per la rimozione delle strutture. La doglianza si rivela però infondata, in quanto, come ricorda la Corte, laddove l’azione amministrativa sia caratterizzata da una specifica spendita di potere discrezionale, questo può legittimamente determinarsi solo in presenza di una puntuale disposizione normativa che lo regoli. Ne consegue che, in assenza di una disposizione normativa che espressamente deroghi al principio della forma espressa del provvedimento amministrativo, la S.C. nega che la mancata risposta alla richiesta di proroga del termine per la rimozione dei manufatti di cui in parola possa costituire un silenzio assenso da parte dell’Amministrazione medesima. Sgombrando infine il campo da ogni dubbio sulle caratteristiche del manufatto ed in particolare sull’insussistenza del requisito della facile amovibilità” che avrebbe consentito all’indagata di mantenere la struttura per tutto l’anno, la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 1 dicembre 2016 – 22 settembre 2017, n. 43815 Presidente Grillo – Relatore Gentili Ritenuto in fatto 1.1 Il Tribunale di Foggia, con ordinanza del 3 maggio 2016, ha rigettato la istanza di riesame presentata da D.F.P.C. , indagata, in concorso con altri, relativamente alla violazione degli artt. 44, lettera c , del dPR n. 380 del 2001, 54 e 1161 cod. nav., e 181 del dlgs n. 42 del 2004, avverso il provvedimento di sequestro preventivo disposto in data 1 aprile 2016, ed eseguito il successivo 13 aprile, avente ad oggetto le strutture di uno stabilimento balneare, secondo la ipotesi accusatoria, illegittimamente realizzato e da quella gestito in Comune di omissis . 1.2 Il Tribunale ha, in particolare, contestato la argomentazione posta a fondamento della istanza di riesame e concernente la riferita carenza dell’elemento del fumus delicti, essendo stata la realizzazione del manufatto regolarmente autorizzata e mantenuta in sito sulla base della normativa regionale avente ad oggetto le strutture funzionali alla attività balneare caratterizzate dalla facile amovibilità. 1.3 Il Tribunale ha rilevato che le opere predette - le quali avrebbero dovuto essere smontate anteriormente alla data del 31 ottobre di ogni anno termine prorogato ad istanza della ricorrente sino al 31 dicembre , secondo le prescrizioni contenute negli atti autorizzatori - al momento del sopralluogo eseguito dagli agenti della Capitaneria di porto in data 16 gennaio 2016, erano ancora in sito, né le stesse potevano beneficiare della deroga prevista dalla legge regionale per le opere funzionali alla attività balneare prevista dalla legislazione regionale non essendo caratterizzate dalla agevole possibilità di rimozione. 1.4. Ha, altresì, aggiunto il Tribunale come non potesse ritenersi rilevante ai fini dell’accoglimento della istanza di riesame il contenuto di altro precedente provvedimento, reso in data 23 marzo 2016, in quanto in quel caso la facile rimovibilità era stata argomentata sulla base della assenza di opere di cementificazione o di saldature metalliche che, invece erano riscontrabili quanto alla fattispecie ora in scrutinio. 1.5. Avverso il predetto provvedimento ha presentato ricorso per cassazione la originaria ricorrente, assistita dal proprio difensore di fiducia, svolgendo 4 motivi di impugnazione fra loro connessi. 1.6. Secondo il primo motivo di impugnazione la circostanza che la ricorrente non avesse ottemperato alla prescrizione avente ad oggetto lo smontaggio del manufatto entro la data indicata nel provvedimento con il quale la sua realizzazione era stata precedentemente assentita dagli organi competenti, né entro la data prorogata, non comporterebbe la rilevanza penale della condotta omissiva in tal modo posta in essere, avendo il comportamento della D.F. eventualmente solo rilevanza amministrativa, potendo comportare al massimo la decadenza dalla concessione demaniale. 1.7 Il secondo motivo di impugnazione ha ad oggetto la pretesa violazione di legge in cui sarebbe incorso il Tribunale di Foggia riguardo al presunto silenzio assenso che si sarebbe formato in relazione alla istanza presentata dalla D.F. relativamente alla richiesta di disapplicazione della prescrizione di smontaggio entro il termine del 31 dicembre della struttura balneare dato il modesto lasso di tempo intercorrente fra il momento in cui la stessa doveva essere rimossa e quello in cui poteva essere legittimamente rimontata cioè il 1 aprile dell’anno successivo non avendo ricevuto la detta istanza alcuna risposta, su di essa si era formato il silenzio assenso e, pertanto, di ciò il Tribunale di Foggia avrebbe dovuto prendere atto, accogliendo l‘stanza di riesame. 1.8 Con il terzo motivo, anche esso argomentato sulla base della violazione di legge, la ricorrente ha dedotto la mancata considerazione del complessivo quadro normativo, in particolare con riferimento a quanto disposto con la legge della Regione Puglia n. 17 del 2015, che, all’art. 8, comma 5, prevede la possibilità di mantenere per l’intero anno solare le strutture funzionali alla attività balneare, purché di facile amovibilità. Osserva il ricorrente come la ratio della disposizione sia quella di non imporre al gestore delle attività del genere ora in questione la rimozione delle strutture edilizia necessarie per il loro svolgimento alla fine di ogni singola annata di gestione, ma solamente di assicurarne la agevole amovibilità, acciocché le stesse siano tolte, senza una significativa compromissione dell’ambiente, solo al momento della definitiva cessazione della concessione relativa allo spazio demaniale dalle medesime occupato. 1.9 La ricorrente fa discendere, richiamando anche la giurisprudenza amministrativa, dal concetto di facile amovibilità la assenza di un significativo impatto ambientale e, pertanto, la inoffensività nella condotta realizzata. 1.10 Con il quarto motivo la ricorrente ha dedotto, sempre con riferimento alla violazione di legge, il fatto che con la ordinanza impugnata il Tribunale dauno abbia escluso la facile rimovibilità delle opere in assenza di elementi a comprova della possibilità di smontare agevolmente il manufatto avrebbe omesso il Tribunale di considerare che la stessa legge regionale pugliese n. 17 del 2006 fornisce una definizione normativa del concetto di facile rimozione, definendo come tali quelle opere che siano caratterizzate dall’assemblaggio di elementi componibili, integralmente recuperabili, senza l’utilizzo di materiali cementanti di qualsiasi genere, sicché avrebbe errato il Tribunale del riesame a non applicare siffatta disposizione normativa. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e, pertanto, lo stesso deve essere rigettato. 2. Osserva il Collegio, quanto al primo ed al secondo motivo di impugnazione, che possono essere esaminati congiuntamente, che gli stessi sono destituiti di ogni fondamento. 2.1 Con essi la ricorrente lamenta, con riferimento ad una pretesa violazione di legge, che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere ricorrere il fumus commissi delicti nella condotta della D.F. , sebbene la stessa per un verso si sarebbe limitata alla mancata ottemperanza ad una prescrizione, concernente la tempistica della loro rimozione, contenuta negli atti con i quali era stata autorizzata la realizzazione delle strutture materiali dello stabilimento balneare gestito dalla D.F. , mentre per altro verso la detta condotta sarebbe stata comunque legittimata dal fatto che, non avendo la Amministrazione dato risposta alla istanza con la quale la D.F. aveva chiesto la proroga del termine per ottemperare alle predette prescrizioni, su di essa si era formato il silenzio assenso, tale da escludere la illiceità della condotta in questione. 2.2 Le due censure non possono essere accolte posto che ricorrente non ha in alcun modo allegato quale potrebbe essere il principio normativo che il Tribunale del riesame avrebbe omesso di applicare correttamente. 2.3 È, viceversa, del tutto evidente che, una volta apposte delle prescrizioni tese a limitare temporalmente la efficacia di determinati atti autorizzatori, come sono quelli in base ai quali la D.F. ha realizzato i manufatti necessari per la gestione della attività imprenditoriale da lei condotta, l’eventuale inottemperanza a dette prescrizioni rende inefficaci i predetti atti, determinando la illiceità, anche penale, delle condotte poste in essere in contrasto con le prescrizioni in questione. 2.4 Quanto alla avvenuta formazione del silenzio assenso, essendo principio generale che, laddove l’azione amministrativa sia caratterizzata da una specifica spendita di potere discrezionale, esso non è soggetto a determinarsi se non in presenza di una puntuale disposizione normativa che lo preveda, non si riesce a comprendere le ragioni per le quali nel caso di specie, in assenza di una esplicita disposizione derogatoria al generale principio che richiede la forma espressa per il provvedimento amministrativo, alla mancata risposta alla richiesta di proroga del termine entro il quale dovevano essere rimossi i manufatti di cui al capo provvisorio di imputazione elevato nei confronti della ricorrente, dovrebbe corrispondere l’avvenuta formazione del silenzio assenso da parte della Amministrazione destinataria della richiesta. 2.5 Sulla base delle argomentazioni di cui sopra è, pertanto evidente la infondatezza delle ragioni di impugnazione formulate della D.F. coi primi due motivi di ricorso. 3. Passando al terzo ed al quarto motivo di impugnazione, anch’essi esaminabili congiuntamente, deve prioritariamente rilevarsi la loro astratta ammissibilità, posto che con essi non è censurata la motivazione della ordinanza impugnata, ragione che avrebbe comportato la inammissibilità del ricorso essendo principio normativamente espresso che le ordinanze emesse in sede di impugnazione cautelare sono suscettibili di ricorso di fronte a questo giudice della legittimità esclusivamente per violazione di legge e non anche per vizio di motivazione, ma la violazione di legge in cui sarebbe incorso il giudice del riesame cautelare nell’interpretare la disciplina regionale applicabile al caso. 3.1 Deve, al riguardo, rilevarsi che questa Corte ha già avuto nel recente passato occasione di osservare che il principio normativo sancito dalla legislazione regionale pugliese, secondo il quale tutte le strutture funzionali all’attività balneare, purché di facile amovibilità, possono essere mantenute per l’intero anno , è disposizione di carattere generale della quale il giudice deve tenere conto ai fini della applicazione, come nel caso che interessa, delle disposizioni incriminatrici in materia urbanistica, paesaggistica e di tutela delle bellezze naturali, senza che abbia rilevanza l’area di insistenza delle opere oggetto di contestazione penale Corte di cassazione, Sezione III penale, 3 dicembre 2014, n. 50620 . 3.2 Deve tuttavia tenersi conto che, come peraltro segnalato dalla stessa, ricorrente, il concetto di facile amovibilità delle opere, elemento imprescindibile ai fini della operatività della deroga normativa ad eventuali prescrizioni contenute negli atti autorizzatori che prevedano l’obbligo della periodica rimozione delle opere stesse, ha una sua concretezza normativa, posto che, alla luce di quanto previsto dall’art. 16, comma 12, della legge della Regione Puglia n. 17 del 2015, per facile rimozione deve intendersi la possibilità di sciogliere l’assemblaggio di elementi componibili, integralmente recuperabili, senza l’utilizzo di materiali cementanti di qualsiasi genere . 3.3 Nel caso che interessa il Tribunale di Foggia, facendo buon governo, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, degli stessi principi invocati da quest’ultima, ha escluso che nel caso in questione ci si trovasse di fronte ad opere aventi la caratteristica della facile rinnovibilità sulla base del condivisibile rilievo che la struttura metallica che costituisce la intelaiatura sulla quale poggia la base dello stabilimento balneare oggetto di sequestro è strutturata nel senso che le diverse connessioni fra le varie componenti che la integrano sono state oggetto di saldatura. 3.4 Tale evenienza rende, anche ad avviso di questa Corte, inapplicabile al caso in esame la richiamata normativa regionale che consente la permanenza per l’intero anno delle strutture di facile rimozione, posto che tali, cioè di facile rimozione, sono solamente le strutture i cui materiali sono formati da elementi componibili integralmente recuperabili ed essendo, invece, evidente che i materiali oggetto di saldatura non sono integralmente recuperabili in quanto per essere separati l’uno dall’altro essi debbono essere tagliati. 3.5 Peraltro, nel concetto di materiali cementanti, il cui utilizzo è in espressa contraddizione normativa con la qualificazione di facile amovibilità delle strutture in relazione alle quali detti materiali sono stati, appunto, utilizzati, debbono essere considerati anche quelli che occorrono, ovvero si producono, in caso di fusione e la congiunzione dei materiali metallici saldati fra loro. 3.6 Alla infondatezza degli illustrati motivi di ricorso consegue che la impugnazione proposta dalla D.F. deve, pertanto, essere rigettata e quella deve essere condannata al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.