Si approfitta dell’ospitalità dell’anziana signora, non scampa all’imputazione per furto in abitazione e le sue aggravanti

La Cassazione afferma che, in merito al reato di furto in abitazione, questo è integrato dalla condotta di colui che si impossessa dei beni mobili, attraverso l’introduzione nell’abitazione del soggetto passivo dopo aver carpito il consenso di quest’ultimo con l’inganno.

Così ha deciso il Supremo Collegio con la sentenza n. 42757/17 depositata il 19 settembre. Il caso. La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado con la quale l’imputata era condannata per il reato di cui agli artt. 81, 614 -bis e 61 n. 5 e n. 11 c.p. Avverso tale provvedimento l’imputata ricorreva in Cassazione, lamentando tra le doglianze, l’insussistenza del reato all’art. 624 -bis c.p. Furto in abitazione , e la mancata prova di pregiudizio delle capacità cognitive della persona offesa. Abuso di relazione di ospitalità. La Cassazione afferma che, in merito al reato di furto in abitazione, è integrato dalla condotta di colui che si impossessa dei beni mobili, attraverso l’introduzione nell’abitazione del soggetto passivo dopo aver carpito il consenso di quest’ultimo con l’inganno. Nel caso di specie, il consenso è stato carpito dall’imputata attraverso la simulazione di visite di cortesia presso l’abitazione della persona offesa dal reato, nell’ottica di un disegno, individuato dai Giudici, come preordinato secondo un collaudato modus operandi. Dai fatti in causa, infatti, emerge che la ricorrente era solita fare brevi visite alla vittima, nel corso delle quali chiedeva di effettuare delle telefonate nella camera da letto, di modo da restare sola, nei luogi dai quali sono stati sottratti gli oggetti. In relazione a ciò la Corte afferma che non si possa figurare il reato in esame elusivamente nella fattispecie in cui sussista un nesso meramente occasionale tra l’ingresso nell’abitazione e l’impossessamento della cosa mobile, fattispecie non ricorrente nel caso in esame. Aggravante di cui all’art. 61, n. 5 c.p. In relazione alla doglianza sull’applicabilità dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 5 c.p. la Corte rileva che tale circostanza deve essere valutata anche in riferimento all’età senile della persona offesa. Per cui, per vulnerabilità psicologica della persona dovrà intendersi anche la condizione di persona anziana che vivendo da sola sia bisognevole di compagnia e quindi propensa ad accogliere chi le si propone come abituale compagnia, e quindi, potrà essere indotta ad abbassare la sua attenzione, come nel caso di specie. Tale situazione di vulnerabilità non può perciò venire meno solo perché la vittima era autonoma e in grado di provvedere da sola a se stessa. Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 maggio – 19 settembre 2017, n. 42757 Presidente Sabeone – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Caltanissetta confermava la sentenza con cui il Tribunale di Enna, in data 10.7.2012, aveva condannato E.G. , imputata del reato di cui agli artt. 81, 614 bis e 61 n. 5 e n. 11 c.p., in rubrica ascrittole, alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni derivanti dal reato in favore della persona offesa, costituita parte civile, S.A. . 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputata, a mezzo del suo difensore di fiducia, avv. Eleanna Parasiliti Molica, del Foro di Enna, lamentando 1 violazione di legge e vizio di motivazione, posto che il giudice di appello si è limitato a reiterare le argomentazioni esposte dal primo giudice senza sottoporle a vaglio critico, laddove la corte territoriale avrebbe dovuto dar conto delle ragioni per le quali non ha ritenuto fondate le argomentazioni difensive, prospettate con i motivi di appello 2 violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine alla sussistenza del reato di cui all’art. 624 bis, c.p., avendo la corte territoriale fondato la sua decisione su di una reiterazione acritica delle argomentazioni del giudice di primo grado, pur in presenza di elementi di segno contrario, seguendo, inoltre, un percorso motivazionale che appare illogico ed infondato nella parte in cui ha ritenuto sussistente tanto la relazione di ospitalità, quanto l’ingresso fraudolento dell’imputata all’interno dell’abitazione della persona offesa 3 violazione di legge, con riferimento alla sussistenza della circostanza aggravante ex art. 61 n. 5, c.p., atteso che, nel caso in esame, non è stata fornita prova alcuna dell’eventuale pregiudizio delle capacità cognitive della persona offesa, emergendo, al contrario, che quest’ultima fosse in grado di badare a se stessa, non potendo, comunque, la sola età avanzata della vittima del reato, essere considerata circostanza di per sé sufficiente a far ritenere sussistente l’aggravante suddetta. 3. Il ricorso non può essere accolto, per le seguenti ragioni. 4. Va, innanzitutto, rilevata l’inammissibilità dei primi due motivi di ricorso. Con essi, infatti, la ricorrente, da un lato, si limita a lamentare l’omessa valutazione, da parte del giudice di secondo grado, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne specificamente il contenuto, al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica cfr., ex plurimis, Cass., sez. III, 4.11.2014, n. 35964, rv. 264879 . Dall’altro propone, peraltro in maniera assolutamente generica, una mera rivalutazione del compendio probatorio, non consentita in questa sede, stante la preclusione, per il giudice di legittimità, di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289 . Appare, peraltro, principio da tempo consolidato nella giurisprudenza di legittimità, che il reato di furto in abitazione art. 624 bis, c.p. , è integrato dalla condotta di colui che si impossessi - previamente sottraendoli al legittimo detentore - di beni mobili mediante l’introduzione nella abitazione del soggetto passivo a seguito di consenso di quest’ultimo carpito con l’inganno cfr. Cass., sez. V, 10.6.2014, n. 41149, rv. 261030 Cass., sez. V, 2.3.2010, n. 13582, rv. 246902 . Nel caso in esame, come chiarito dalla corte territoriale attraverso un coerente percorso argomentativo, fondato sull’approfondito esame delle dichiarazioni della persona offesa S.A. e della figlia B.d.V.M.R. non oggetto di specifiche doglianze da parte della ricorrente , l’inganno da parte della E. è consistito nell’avere simulato visite di cortesia presso l’abitazione della persona offesa, secondo un disegno preordinato, volto alla commissione di furti, secondo un collaudato modus operandi, secondo cui la E. si recava spesso a casa della S. , anche per pochi minuti, e, chiedendo di effettuare delle chiamate, faceva sempre in modo di restare da sola nella camera da letto dove appunto erano custoditi parte degli oggetti poi risultati sottratti . Con logico argomentare, peraltro, la corte territoriale, nel replicare alle doglianze difensive, rilevava come non si trattasse di semplici visite di cortesia da parte della E. , perché, altrimenti, non si sarebbero svolte così di frequente, non sarebbero state così brevi, non si sarebbero risolte nel mero utilizzo del telefono cfr. pp. 2-3 . 5. Infondati appaiono i rilievi formulati in ordine alle ritenute circostanze aggravanti, la cui sussistenza è stata ribadita dalla corte territoriale. Con particolare riferimento alla circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 11 , c.p., ritiene il Collegio di condividere l’orientamento da tempo affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui la ragione della circostanza aggravante comune dell’abuso di relazione di ospitalità si spiega per la maggiore intensità criminale dell’ospite che tradisce la fiducia in lui riposta dalla persona ospitante e per la agevolazione al delitto che il rapporto gli offre. Sussiste, pertanto, l’abuso di relazione di ospitalità ogni qual volta si identifichino nell’azione del soggetto queste due componenti causali, l’una soggettiva e l’altra oggettiva, anche se la relazione di ospitalità tragga origine dal consenso della persona ospitante viziato dall’inganno della persona ospitata. In tal caso il vizio del consenso, infatti, rileva solo per i suoi riflessi maggiormente negativi sul colpevole, posto che, tenuto conto dell’evidenziata ratio, ai fini della sussistenza dell’aggravante, non hanno rilevanza i motivi da cui ha tratto origine la relazione di ospitalità cfr. Cass., sez. II, 31.5.1983, n. 11195, rv. 161910 Cass., sez. I, 14.2.1980, n. 5901, rv. 145245 Cass., sez. III, 2.12.2010, n. 1850, rv. 249405 . Orbene, nel caso in esame non appare revocabile in dubbio che la ricorrente, al fine di impossessarsi illecitamente dei beni sottratti alla persona offesa, abbia abusato del rapporto di fiducia instaurato con la S. , la cui abitazione l’E. era giunta a frequentare abitualmente, sotto le mentite spoglie di una visitatrice caritatevole, venendo accolta con fiducia dall’anziana signora, che, vivendo da sola, come ha osservato la corte territoriale con logico argomentare, era desiderosa di compagnia. Proprio l’accertata abituale frequentazione dell’abitazione della persona offesa da parte dell’imputata, peraltro, fuga ogni possibile dubbio sulla riconducibilità della condotta di quest’ultima al paradigma normativo dell’art. 624 bis, c.p., aggravato ai sensi dell’art. 61, n. 5, c.p., avendo la giurisprudenza di questa sezione chiarito che non è configurabile il reato di furto in abitazione solo qualora sussista un nesso meramente occasionale tra l’ingresso nell’abitazione e l’impossessamento della cosa mobile, integrato dallo sfruttamento di un’occasione propizia, sussistendo, in tal caso, gli estremi costitutivi della fattispecie di furto aggravato dall’abuso di ospitalità, ex art. 624 e 61, n. 11 c.p. cfr. Cass., sez. V, 01/04/2014, n. 21293, rv. 260226 . In ordine all’aggravante di cui all’art. 61, n. 5 , c.p., va rilevato che tale circostanza, a seguito della modifica normativa introdotta dalla legge n. 94 del 2009, deve essere specificamente valutata anche in riferimento all’età senile della persona offesa cfr. Cass., sez. II, 18.11.2014, n. 8998, rv. 262564 Cass., sez. V, 13.7.2011, n. 38347, rv. 250948 . Se, dunque, lo scopo perseguito dal Legislatore è quello di assegnare rilevanza ad una serie di situazioni che denotano nel soggetto passivo una particolare vulnerabilità della quale l’agente trae consapevolmente vantaggio, correttamente la circostanza aggravante di cui si discute è stata ritenuta sussistente nel caso in esame. Non appare revocabile in dubbio, infatti, che l’E. abbia fatto leva, sfruttandola a suo vantaggio, sulla vulnerabilità psicologica della persona offesa, derivante, come rilevato coerentemente dalla corte territoriale, dalla condizione di persona anziana della S. , che, vivendo da sola, era bisognevole di compagnia e, quindi, era propensa ad accogliere chi, come l’imputata, le si proponeva come abituale visitatrice, così inducendola ad abbassare la sua attenzione. Tale situazione di vulnerabilità, proprio perché attinente alla sfera psicologica ed emotiva, non viene ovviamente meno sol perché, come evidenziato dalla corte di appello, la persona offesa era autonoma ed in grado di provvedere da sola a se stessa. 6. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in premessa va, dunque, rigettato, con condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.