Vende online l’autoradio inesistente, è truffa

La truffa contrattuale è configurabile qualora l’agente ponga in essere artifici e raggiri nel momento della conclusione del negozio giuridico, traendo in inganno il soggetto passivo che viene indotto a prestare il consenso che diversamente non presterebbe.

Cosi ha deciso la Suprema Corte con la sentenza n. 42535/17, depositata il 18 settembre. Il caso. Il Tribunale prima, e la Corte d’Appello poi, confermavano la sentenza di condanna dell’imputato per il delitto di truffa, per aver con artifici e raggiri, consistiti nel fare apparire come seria un’offerta di vendita di un’autoradio su un sito di vendite on line e facendosi accreditare da un acquirente la somma corrispondente su una carta a lui intestata, indotto in errore l’acquirente, procurandosi un ingiusto profitto costituito dalla percezione della superiore somma senza poi provvedere alla consegna di alcun bene. Avverso tale pronuncia l’imputato ricorre in Cassazione. La truffa. La Cassazione afferma che, dall’esame del caso, risulta accertata la sussistenza di contratti via internet fra il ricorrente e la persona offesa e dell’altrettanto accertata intestazione della carta al ricorrente. Sulla base di tali assunti la Corte afferma che la condotta dell’imputato rientri nell’ipotesi della truffa contrattuale, anche sotto il profilo psicologico essendo consolidato principio della Corte ritenere che questa sia configurabile qualora l’agente ponga in essere artifici e raggiri nel momento della conclusione del negozio giuridico, traendo in inganno il soggetto passivo che viene indotto a prestare il consenso che diversamente non presterebbe. Ne deriva che la successiva inadempienza dell’alienante non costituisce un illecito civile, ma la prosecuzione dell’attività criminosa. In tale fattispecie, prosegue la Corte, ciò che trasforma l’inadempienza in reato è il dolo iniziale della parte, che influendo sulla volontà negoziale di uno dei contraenti, rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria . Nel caso di specie, il ricorrente ha posto in essere la condanna illecita a lui contestata, avendo posto in essere un’offerta di vendita online al fine di ottenerne il pagamento del bene e per poi non effettuarne la consegna e rendersi irreperibile. Sulla base di valutazioni la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 22 giugno – 18 settembre 2017, n. 42535 Presidente Diotallevi – Relatore Di Pisa Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con sentenza del 27/05/2016 la Corte di Appello di Genova confermava la sentenza del Tribunale di Chiavari del 12/06/2013 in forza della quale C.A. è stato ritenuto colpevole del delitto di truffa ai danni di M.D. per avere, con artifici e raggiri consistiti nel fare apparire come seria l’offerta di vendita di una autoradio al prezzo di Euro 385,00 su di un sito di vendite on line omissis facendosi accreditare dal predetto la somma di Euro 400,00 sulla carta Posta Pay a lui intestata, indotto in errore l’acquirente, procurandosi un ingiusto profitto costituito dalla percezione della superiore somma senza provvedere alla consegna di alcun bene. 2. Avverso la suddetta sentenza l’imputato, a mezzo del proprio difensore, propone ricorso per cassazione deducendo, con unico motivo, violazione di legge mancando la prova dell’elemento soggettivo del contestato reato, dovendosi configurare, esclusivamente, un illecito di tipo civilistico in quanto si sarebbe verificato un mero inadempimento contrattuale. 3. Il ricorso deve ritenersi inammissibile in quanto manifestamente infondato. Va, invero, osservato che la Corte territoriale ha ritenuto, con motivazione congrua ed adeguata, configurabile il delitto di truffa contestato alla luce degli accertati contatti via internet fra il ricorrente e la persona offesa e della pure accertata intestazione all’odierno imputato della carta postepay ove era stata depositata da parte della persona offesa il prezzo concordato della vendita. Ed al riguardo il giudice di primo grado aveva chiarito come nella condotta ascritta al C. dovessero ravvisarsi gli estremi del raggiro essendosi trattato di una condotta idonea ad ingenerare nella vittima la percezione di una falsa apparenza da cui era derivato l’inganno in cui la stessa era caduta e che l’aveva indotta a compiere l’atto di disposizione patrimoniale versamento della somma di Euro 400,00 sulla carta di credito del C. senza ricevere il bene oggetto di vendita. 3.1. Occorre ribadire che la sentenza di primo grado e quella di appello, quando non vi è difformità sulle conclusioni raggiunte, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. 3.2. Come correttamente ritenuto dai primi giudici, con impostazione confermata in sede di gravame, le modalità degli accadimenti vale a dire la messa in vendita a mezzo vetrina informatica di un bene in realtà inesistente, con incameramento del prezzo senza consegnare il bene ovvero restituire la somma incamerata erano idonei a dimostrare univocamente la condotta truffaldina dell’imputato. 4. In punto di diritto va, quindi, osservato che la condotta posta in essere dal C. rientra, anche sotto il profilo psicologico, nell’ipotesi della truffa contrattuale che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, è configurabile allorché l’agente pone in essere artifici e raggiri al momento della conclusione del negozio giuridico, traendo in inganno il soggetto passivo che viene indotto a prestare un consenso che altrimenti non sarebbe stato dato. La successiva inadempienza pertanto non costituisce illecito civile, ma la conclusione dell’attività criminosa ex plurimis Cass. /1980 Rv. 148455 Cass. /2008 Rv. 242296. Nella truffa contrattuale, poi, l’elemento che imprime al fatto della inadempienza il carattere di reato è costituito dal dolo iniziale, quello cioè che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei contraenti falsandone, quindi, il processo volitivo avendolo determinato alla stipulazione del negozio in virtù dell’errore in lui generato mediante artifici o raggiri rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria Cass. /1981 Rv. 149803 Cass. /1983 Rv. 164164 , apparendo, quindi, del tutto priva di fondamento la tesi circa la sussistenza di un mero inadempimento contrattuale. 4.1. Nel caso di specie i giudici di merito hanno accertato con una ricostruzione in fatto non censurabile in questa sede che il C.A. ha posto in essere la condotta illecita contestata consistita nell’effettuare l’offerta di vendita on line al fine di ottenere il pagamento e non consegnare il bene, rendendosi, poi, di fatto irreperibile. La sentenza in punto di affermazione della responsabilità del predetto deve ritenersi, quindi, immune da censure. 5. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro millecinquecento. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento alla Cassa delle Ammende. Sentenza a motivazione semplificata.