Questo e quello per me pari sono

Si diffonde sempre più il fenomeno della apocrifia giudiziaria, ovvero procedimenti penali instaurati e sentenze penali emesse nei riguardi di soggetti dalla identità incerta e mutevole.

A contribuire a tale distorsione spesso concorrono pronunce come quella qui cassata, che, limitandosi a svolgere mera attività ricognitiva del semplice dato documentale acquisizione e disamina dei rilievi dattiloscopici e omettendo qualsiasi tipo di approfondimento istruttorio mediante uso anche dei più nuovi strumenti tecnologici di ricerca e catalogazione dei dati personali tecnologie biometriche, sistemi di riconoscimento delle impronte digitali , rischiano di condannare un innocente. La vicenda. Nel caso in esame, il Giudice dell’Esecuzione si è accontentato del semplice dato della formale corrispondenza tra destinatario del titolo giudiziario e autore del delitto portato dalla condanna in espiazione, senza dare corso - ancorché ritualmente richiesto dalla parte interessata - ad alcuni dedotti supplementi investigativi peraltro di facile approntamento escussione di testi confermativi dell’alibi del prevenuto comparazione dei cartellini fotosegnaletici con l’effige riportata sulla carta di identità del condannato, prodotta agli atti comparazione tra impronte del soggetto arrestato e quelle dell’odierno ricorrente e dai risultati assai più qualificati e probanti. Sistemi di riconoscimento. Attraverso non solo le attività istruttorie sollecitate dal prevenuto, ma anche semplicemente accedendo al software SPAID Sistema Periferico di Acquisizione delle Impronte Digitali in dotazione alle FF.OO. il busillis avrebbe potuto essere sciolto SPAID è infatti un sistema che individua in maniera certa le persone attraverso l’acquisizione ed il riconoscimento delle impronte digitali SPAID, collegato al sistema AFIS Automatic Fingerprint Identification System , acquisisce le impronte digitali, la foto, i segni particolari e i dati anagrafici del soggetto ed, attraverso un algoritmo, estrae le caratteristiche dell’impronta, la compressione dei dati e il loro invio criptato al sistema centrale AFIS il procedimento di identificazione restituisce poi un Codice Unico di Identificazione CUI della persona in questione e la lista dei precedenti fotosegnalamenti il CUI assegnato è direttamente legato alla identificazione biometrica e tale elemento biometrico diventa il criterio” di identificazione univoca del soggetto, in grado di seguirlo per l’intera vita. Il CUI è come il DNA di una persona!

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 8 novembre 2016 – 14 settembre 2017, n. 41949 Presidente Di Tomassi – Relatore Saraceno Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Palermo, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha disposto la correzione della sentenza, 16.12.2011, irrevocabile il 2.11.2012, dello stesso Tribunale, conclusiva del procedimento a carico di F.R.G. , disponendo che, nell’intestazione del titolo, le generalità del condannato fossero integrate con l’indicazione dell’alias A.M.d.G. nt. omissis . In particolare, il F. , deducendo di essere persona fisica diversa dal soggetto condannato con la sentenza sopra indicata di cui era solo formale destinatario, ne aveva chiesto la correzione, con sospensione dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 668 cod. proc. pen. e la conseguente cancellazione della iscrizione pregiudizievole dal casellario giudiziale di esso istante. Il Tribunale ha tratto convincimento circa la corrispondenza fisica tra il ricorrente e il condannato dai rilievi dattiloscopici trasmessi dalla Questura di Palermo, dai quali emergeva che il soggetto tratto in arresto in data 21.7.2009 con le dichiarate generalità di F.R.G. , nato in Romania il 27.10.1970, era il medesimo che, in occasione di altri precedenti fermi, aveva declinato le generalità di A.M. , nato in omissis . 2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il F. , con atto recante personale sottoscrizione, deducendo contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Ad avviso del ricorrente, che conferma in fatto di essere formale destinatario con le sue generalità effettive della sentenza irrevocabile relativa a reato mai commesso, il G.E. non aveva assolto all’effettiva verifica che gli era stata sollecitata, ossia quella inerente alla corrispondenza tra il destinatario formale del titolo giudiziario e l’autore del delitto della condanna in esecuzione, in quanto con i rilievi dattiloscopici acquisiti era rimasto dimostrato solo che il soggetto tratto in arresto il 21.7.2009 e che aveva declinato in detta occasione le generalità del ricorrente, era fisicamente lo stesso soggetto che in precedenza aveva fornito le generalità di A.M. , come si era tentato di dimostrare attraverso le richieste istruttorie formulate. E tuttavia il Tribunale non aveva tenuto in alcun conto le dichiarazioni testimoniali, allegate all’istanza, che dimostravano come al momento della commissione del reato egli si trovasse all’estero, né aveva provveduto alla chiesta comparazione tra la foto-segnaletiche dell’arrestato e la foto apposta sulla carta di identità versata in atti ovvero alla comparazione tra i rilevi dattiloscopici trasmessi dalla Questura e le proprie impronte digitali alla cui acquisizione si dichiarava disponibile. Considerato in diritto Il ricorso appare fondato. 1. Nel caso di specie, con l’istanza introduttiva della procedura, il richiedente non contestava il fatto storico oggetto del giudicato, ma assumeva l’esistenza di un diverso soggetto che ne era l’autore e che si identificava o poteva identificarsi con quello effettivamente citato nel giudizio in ogni caso si protestava personalmente estraneo al fatto in questione. Duplice, dunque, era l’ordine delle questioni sollevate da un lato, un errore di nome del condannato nella sentenza irrevocabile, dall’altro la propria estraneità al fatto, desumibile dalle prove indicate. La prima parte di tale prospettazione è perfettamente riconducibile all’art. 668 cod. proc. pen. che, con disciplina perfettamente simmetrica a quella dettata per la fase di cognizione dagli artt. 66, commi 2 e 3, e 68 cod. proc. pen., stabilisce che se una persona è stata condannata in luogo di un’altra per errore di nome, il giudice dell’esecuzione provvede alla correzione nelle forme previste dall’art. 130 soltanto se la persona contro cui si doveva procedere è stata citata come imputato anche sotto altro nome per il giudizio altrimenti si provvede a norma dell’art. 630 comma 1 lett. c . 2. Orbene il Tribunale ha ritenuto di poter escludere la prima doglianza, ossia quella concernente l’erronea indicazione delle generalità del ricorrente nella sentenza irrevocabile di condanna, senza procedere agli adempimenti prescritti e sulla base di argomentazioni assertive e manifestamente illogiche. Avrebbe dovuto, difatti, in primo luogo accertare se l’incolpato, nella sua fisica identità e indipendentemente dal nome attribuitogli, fosse stato citato in giudizio secondo le previsioni di legge una volta positivamente condotto detto accertamento avrebbe dovuto stabilire se le generalità risultanti dal titolo esecutivo fossero esatte. E sul punto le critiche mosse dal ricorrente colgono nel segno giacché, a seguito delle disposte integrazioni, ciò che emerge è esclusivamente l’identità fisica del soggetto sottoposto a rilevi dattiloscopici in diverse occasione e che, nelle date del 25.08.2010, 4.08.2010, 24.07.2010, 13.07.2010, 2.10.2009, 15.05.2009, 7.04.2009, 6.04.2009, ha declinato le generalità di A.M. , mentre in data 21.07.2009, in occasione dell’arresto per il reato di cui al titolo in esecuzione, quelle di F.R.G. . Sicché l’affermazione circa l’insussistenza di dubbio in ordine all’identità fisica del soggetto condannato non è congruente con la questione agitata con il proposto incidente, ossia l’errore di nome del condannato, ai cui occorrenti accertamenti avrebbe dovuto procedere il Tribunale, acquisendo anche di ufficio informazioni e prove e procedendo alla sollecitata comparazione fotografica e dattiloscopica risulta che all’istanza era stata allegata copia della carta di identità e il ricorrente si era dichiarato disponibile all’acquisizione delle proprie impronte digitali utile al superamento del dubbio identificativo, per poi, ove riscontrato l’errore, dar luogo al chiesto rimedio della correzione, nelle forme previste dall’art. 130 cod. proc. pen 3. Il provvedimento impugnato va, pertanto, annullato con rinvio per nuovo esame, con la precisazione che ove, all’esito del preliminare accertamento, risulti che la citazione sia regolarmente avvenuta e sia fisicamente riferibile all’odierno ricorrente, dovranno comunque essere prese in considerazione le nuove prove da questi dedotte a dimostrazione della propria estraneità al fatto con la trasmissione degli atti al giudice competente per la revisione. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Palermo.