Destrezza non vuol dire approfittamento

L’aggravante ex art. 625 c.p. non s’integra in caso di bene lasciato incustodito dal legittimo possessore. Inoltre, in caso di furto, la sottrazione di più beni a più persone offese richiede la formale contestazione di fatti di reato diversi.

Così ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 41997/17, depositata il 14 settembre. La vicenda processuale. A seguito dell’abbreviato, l’imputato veniva condannato per più condotte di furto ex art. 624 c.p. aggravate dalla recidiva infraquinquiennale ex art. 99 c.p. e dalla commissione del fatto con destrezza ex art. 625 n. 4 c.p. Ricorre in Cassazione l’imputato, contestando la nullità del giudizio di primo grado ex art. 522, comma 1, c.p.p. e 604, comma 3, c.p.p., per la condanna intervenuta su un fatto diverso da quello originariamente contestato, per la pluralità di condotte di furto ravvisate anziché l’unica realmente contestata dalla pubblica accusa. Contesta altresì l’integrazione dell’aggravante ex art. 625 cit., in quanto il ladro non avrebbe realizzato una condotta particolarmente artificiosa nei confronti della vittima al fine di accaparrarsi il bene oggetto di furto. Avrebbe semplicemente approfittato del temporaneo abbandono del bene in condizioni di luogo pubblico. La Cassazione accoglie sul punto. Più furti, più persone offese, più reati da contestare. Le modalità del fatto erano tali che l’imputato aveva acquisito il possesso di due distinti oggetti appartenenti a persone diverse, in distinte condizioni di luogo, pur nell’identità del contesto ambientale, costituito da una festa pubblica in spiaggia. La diversità delle persone offese implica l’integrazione di diversi reati, supportati da distinte azioni volitive. Tanto parrebbe dal tenore letterale dell’art. 624 c.p. che menziona, per l’unicità del fatto di reato, più cose purché appartenenti al medesimo detentore. La pluralità di questi esige più contestazioni per l’accertamento di diversi fatti di reato. Muta il fatto quando la trasformazione è radicale e in particolare ne risulta pregiudicato il diritto di difesa dell’imputato. Il principio di correlazione fra accusa e sentenza risulta violato quando il fatto muta negli elementi essenziali, tal da richiedere la trasmissione degli atti al pubblico ministero ex art. 521 e ss. c.p.p. La mutazione del fatto risulta irrilevante, ai sensi del dictum delle Sezioni Unite, quando in ordine al fatto diverso l’imputato abbia avuto la possibilità di difendersi concretamente dall’accusa. Prevale sul dato letterale, dunque, un approccio funzionale alla verifica della lesione concreta ai diritti della difesa. Nel caso specifico, non erano state formalmente contestate le più condotte di furto ai danni di distinte persone offese, tuttavia l’imputato aveva comunque avuto conoscenza di ogni singolo fatto di reato contestato, in quanto descritti tutti all’interno degli atti di denuncia e querela presentati dalle vittime. Destrezza non vuol dire approfittamento. L’aggravante ex art. 625 n. 4 c.p. si realizza in costanza di una condotta complessa ed artificiosa che abbia consentito al reo di acquisire il bene, in condizioni di normale governo della cosa da parte del detentore. L’approfittamento o l’abbandono incustodito del bene anche per un breve lasso di tempo non integra destrezza, la quale richiede un’abilità particolare ed insidiosa al fine di distogliere il possessore dal bene di proprietà. Nel caso specifico, approfittare delle borse lasciate incustodite dai legittimi proprietari per accaparrarsi di alcuni oggetti ivi contenuti non basta ad integrare l’aggravante de qua. La Cassazione ha annullato con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 19 luglio – 14 settembre 2017, n. 41997 Presidente Izzo – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Ancona, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente K.H. , con sentenza del 18/1/2016 confermava la sentenza n. 854/2015 emessa in data 12.6.2015 dal Tribunale di Macerata in composizione monocratica con la quale il predetto, all’esito di processo celebrato nelle forme del rito abbreviato, è stato riconosciuto colpevole delle condotte illecite di cui alla rubricata imputazione, diversamente qualificata quella commessa ai danni della p.o. D.M.R.A. come tentato furto aggravato dalla destrezza, e, esclusa la contestata aggravante di cui all’art. 625 n. 6 c.p., riconosciuta sussistere la contestata recidiva infraquinquennale, unificati detti fatti di reato ex art. 81 cpv. c.p., è stato condannato alla pena finale di anni uno e mesi due di reclusione ed Euro 300 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia carcere. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, K.H. , deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. Con un primo motivo si deduce, sotto il duplice profilo dell’errore di legge e del vizio motivazionale, che la Corte distrettuale non si sarebbe confrontata adeguatamente con il proposto motivo di appello con cui la difesa aveva eccepito in via preliminare la nullità del giudizio di primo grado ex artt. 522 comma 1 e 604 comma 3 cod. proc. pen. per essere il proprio assistito stato condannato per un fatto diverso da quello a lui originariamente contestato, essendo il medesimo stato tratto a giudizio per rispondere di un unico furto, mentre, all’esito di rito abbreviato, è stato condannato per la commissione di due furti, di cui uno tentato, senza che il P.M., procedesse ad alcuna modifica dell’imputazione. Nel merito, si rileva, la difesa aveva chiesto riconoscersi la sussistenza di un unico furto tentato, un ragione del fatto che l’azione delittuosa si è svolta costantemente sotto il controllo della D.M. . Con un secondo motivo, sempre sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, si deduce l’esclusione anche della destrezza. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il secondo motivo di ricorso è fondato e, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla motivazione circa la riconosciuta aggravante della destrezza ed alla connessa questione, qualora la stessa dovesse essere esclusa, della procedibilità dei reati, con rinvio alla Corte di Appello di Perugia, giudice di secondo grado cui spetta la competenza in sede di annullamento con rinvio di sentenza della Corte territoriale anconetana, che consta di unica sezione. Il ricorso va, invece, rigettato, nel resto. 2. Il primo motivo di ricorso è infondato. Come già correttamente rilevato dalla Corte territoriale i fatti per cui è intervenuta condanna sono stati compiutamente contestati all’odierno ricorrente nell’imputazione, nella quale è stato fatto preciso riferimento all’operata sottrazione, con destrezza, di due borse appartenenti a persone diverse e che le proprietarie detenevano entrambe nell’occorso all’interno dello stabilimento balneare omissis . Condivisibilmente, pertanto, è stato ritenuto che, al di là del fatto che nell’editto accusatorio non sia stato menzionato l’art 81 cpv. cod. pen., ciò nondimeno l’imputato è stato chiaramente chiamato a rispondere di due distinte sottrazioni operate ai danni di due distinte persone offese, ossia di una pluralità di fatti di reato di cui il medesimo peraltro, non può non essersi reso conto già all’atto stesso della loro deliberazione e perpetrazione, posto, che i beni di cui si è impossessato sono stati estratti da due differenti borse da donna che erano state lasciate momentaneamente incustodite dalle partecipanti ad una festa di compleanno in corso di svolgimento presso il sopra citato stabilimento balneare. È di tutta evidenza, infatti -come si legge nel provvedimento impugnato-che in un simile contesto fattuale dette borse che sono state separatamente frugate dal K. e riscontrate contenere ciascuna un portafoglio ed altri effetti personali delle rispettive proprietarie non potevano che appartenere a differenti persone e che il soggetto agente, nel momento in cui ha deciso di impossessarsi di alcuni dei beni ovviamente di valore contenuti prima in una e poi nell’altra di esse, ha posto in essere distinte condotte fattuali, sorrette da un autonomo processo volitivo ed indirizzate verso un soggetto passivo evidentemente diverso, con conseguente integrazione di distinti reati. La sentenza si colloca correttamente nell’alveo del dictum di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di furto, l’agente che sottrae una pluralità di cose detenute da più soggetti, realizza una pluralità di reati, quando opera in un contesto spaziale che giuridicamente non può ricondursi ad un unico detentore così Sez. 5, n. 41141 del 19/5/2014, Pop ed altro, Rv. 261204 che, in applicazione del principio, ha ritenuto corretta la decisione impugnata che aveva ravvisato più reati di furto in relazione alla sottrazione di più motori fuoribordo consumata presso un porticciolo . Ricorda, infatti, la Corte marchigiana che, posto che se è vero che nel paradigma dell’art. 624 cod. pen. la pluralità dei beni, ancorché appartenenti formalmente a persone diverse, ma sottratti in un medesimo contesto spaziale riconducibile ad un unico detentore, non può che condurre alla conclusione dell’unicità del reato, dal momento che la norma incriminatrice resta indifferente alla titolarità formale delle cose mobile di cui ci si sia impossessati, è altrettanto vero che quando, tuttavia, come nella specie, la sottrazione avvenga in un contesto spaziale, che giuridicamente non può ricondursi ad un unico detentore, tale essendo la situazione che si verifica quando beni ordinariamente detenuti da soggetti diversi sono collocati in un medesimo spazio, si impone la conclusione della pluralità di reati. Tale principio va applicato, ad esempio, in ipotesi di più vetture simultaneamente rubate dallo stesso parcheggio. Corretta pertanto appare la conclusione -da cui deriva anche l’infondatezza del motivo sul punto oggi riproposto che, alla stregua di quanto evidenziato, non possa assumersi esservi stato alcuno scollamento trai fatti contestati e quelli ritenuti in sentenza. In tal senso corretto appare il richiamo al dictum delle Sezioni Unite di questa Corte di legittimità di cui alta sentenza 36551/2010, secondo cui in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, per cui l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione. Nel caso di specie, oltre a farsi chiaro riferimento a distinte condotte sottrattive nell’imputazione, viene rilevato nel provvedimento impugnato che la pluralità di persone offese risultava chiaramente dalle diverse denunce sporte in relazione ai beni loro differentemente sottratti, per cui l’imputato è stato da subito posto nella condizione di comprendere di essere chiamato a rispondere di più reati. 3. Fondato è il secondo motivo di ricorso. Con la recente pronuncia n. 34090 del 27.4.2017, Quarticelli, non ancora mass., le Sezioni Unite di questa Corte di legittimità hanno, infatti, affermato il principio che la circostanza aggravante della destrezza di cui all’art. 62.5, primo comma, n. 4, cod. pen., richiede un comportamento dell’agente, posto in essere prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, caratterizzato da particolare abilità, astuzia o avvedutezza, idoneo a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza sul bene stesso sicché non sussiste detta aggravante nell’ipotesi di furto commesso da chi si limiti ad approfittare di situazioni, dallo stesso non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore dalla cosa . Secondo il dictum delle SSUU Quarticelli, che il Collegio condivide, dunque, è furto con destrezza, caratterizzato da una risposta punitiva gravosa, che sanziona più seriamente le condizioni di minorata difesa delle cose di fronte all’abilità dell’agente, quello qualificato da una condotta spoliativa attuata con particolare ingegno, astuzia e scaltrezza e dunque, per ravvisare l’aggravante, è necessario che l’agire non si limiti alla mera sottrazione del bene, pur facilitata dall’altrui disattenzione o dalla momentanea assenza, ma riveli connotati di capacità ed efficienza offensiva che incrementino le possibilità di portarlo a compimento ed offendano più seriamente il patrimonio. Se il furto si realizza a fronte della distrazione del detentore, o dell’abbandono incustodito del bene, anche se per un breve lasso di tempo, che non siano preordinati e cagionati dall’autore, né accompagnati da altre modalità insidiose e abili che ne divergono l’attenzione dalla cosa, il fatto manifesta la sola ordinaria modalità furtiva, inidonea a ledere più intensamente e gravemente il bene tutelato ed è privo dell’ulteriore disvalore preteso per realizzare la circostanza aggravante e per giustificare punizione più seria. Merita dunque condivisione -secondo le SSUU Quarticelli l’orientamento che propugna una nozione più restrittiva di destrezza perché assegnare valore qualificante alla sola prontezza nell’avvalersi della situazione favorevole comunque creatasi significherebbe valorizzare la componente soggettiva del reato e la pericolosità individuale, ponendo in secondo piano la materialità del fatto come concretamente offensivo del bene giuridico, in contrasto col principio di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., che, menzionando il fatto commesso, esclude che il reato possa essere considerato in termini di sola rimproverabilità soggettiva e con la stessa natura oggettiva della circostanza. Il punto della destrezza andrà dunque rivalutato, alla luce del sopra indicato principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, dal giudice del rinvio che, qualora non ritenga sussistente l’aggravante in questione, sarà chiamato a verificare anche la sussistenza delle condizioni di procedibilità di ciascun reato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente l’aggravante della destrezza ed alla connessa questione della procedibilità dei reati, con rinvio alla Corte di Appello di Perugia. Rigetta il ricorso nel resto.