Vendite porta a porta, sanzionato per evasione

Decisivi i dettagli dell’autorizzazione concessa dal magistrato di sorveglianza a svolgere un’attività lavorativa. Inequivocabili le fasce orarie e l’obbligo di non allontanarsi dal luogo di lavoro.

Niente vendite porta a porta per la persona costretta agli arresti domiciliari eppure autorizzata a svolgere un’attività lavorativa. I limiti fissati dal magistrato di sorveglianza sono difatti inequivocabili. Di conseguenza, farsi beccare fuori casa – anche se per ragioni legate al proprio impiego – in una fascia oraria non consentita comporta una condanna per evasione” Corte di Cassazione, sentenza n. 40539/17, sez. VI Penale, depositata oggi . In strada. Definitiva la condanna pronunciata in Appello e confermata ora in Cassazione dodici mesi di reclusione a un uomo che, detenuto agli arresti domiciliari e autorizzato a lasciare l’abitazione per lo svolgimento di attività lavorativa dalle ore 9 alle ore 17, dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle ore 14, il sabato , veniva trovato lungo la pubblica via alle ore 19.45 . Irrilevante il fatto che l’uomo fosse in strada per impegni connessi al proprio impiego, cioè svolgere vendite porta a porta . Per i Giudici, difatti, non poteva essere equivocata la risposta del magistrato di sorveglianza alla richiesta di una misura alternativa ai domiciliari , cioè l’ affidamento in prova , richiesta motivata dall’uomo con il cambio di mansioni e connessa impossibilità di predeterminare gli orari di lavoro . In particolare, viene evidenziato che il magistrato di sorveglianza ha confermato l’autorizzazione a svolgere attività lavorativa , ribadendo le fasce orarie precedentemente fissate e l’obbligo di non allontanarsi dal luogo di lavoro . Per i Giudici della Cassazione è evidente pure l’incompatibilità con la possibilità di effettuare vendite porta a porta . Anche per questo, il comportamento tenuto dall’uomo può essere catalogato come evasione in piena regola.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 19 luglio – 6 settembre 2017, n. 40539 Presidente Paoloni – Relatore Giordano Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. La Corte di appello di Milano, in accoglimento dell'appello proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello, ha condannato Da. Ca., con la diminuente del rito abbreviato, alla pena di anni uno di reclusione per il reato di cui all'art. 385 cod. pen. perché, essendo detenuto agli arresti domiciliari misura cautelare nel frattempo divenuta detenzione domiciliare a seguito del passaggio in giudicato della sentenza alla quale ineriva e autorizzato a lasciare l'abitazione, per lo svolgimento di attività lavorativa dalle ore 9 00 alle ore 17 00 dal lunedì al venerdì e dalle 9 00 alle 14 00 nella giornata di sabato, veniva trovato lungo la pubblica via il g. 7 luglio 2014 alle ore 19 45. 2. Con ricorso sottoscritto personalmente, Da. Ca. enuncia due motivi di censura. Con il primo deduce vizio di violazione di legge, in relazione agli art. 24, comma 2, 32, 111 Cost. e 420 ter, comma 5, cod. proc. pen. nonché vizio di motivazione, per il mancato accoglimento, della richiesta di rinvio dell'udienza dell'11 luglio 2016, in presenza di legittimo impedimento, per motivi di salute del difensore di fiducia, che, con fax depositato il precedente 9 luglio 2016, aveva allegato certificato medico dal quale si evinceva la presenza di un patologia lombo sciatalgia, con marcata impotenza funzionale, e prognosi di giorni quindici che comportava l'assoluta impossibilità a comparire. Con il secondo motivo deduce vizio di violazione di legge e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico del reato. La Corte di appello ha ignorato ovvero travisato, leggendo gli atti processuali solo in chiave accusatoria, gli elementi di fatto e, in particolare, la richiesta diretta al magistrato di sorveglianza con la quale il Ca. chiedeva la concessione in via di urgenza dell'affidamento in prova rendendo edotto il magistrato del cambio di mansioni con una tempistica che gli rendeva impossibile la predeterminazione degli orari di lavoro la risposta del magistrato che, rigettava l'istanza, non ravvisando alcun pregiudizio dal protrarsi degli arresti domiciliari atteso che il condannato può essere autorizzato a svolgere attività lavorativa la documentazione datata 9 giugno 2014 del datore di lavoro nella quale si attestava che il Ca. aveva prestato attività lavorativa dalle ore 9 00 alle ore 19 00 circa, nel periodo in esame. Secondo il ricorrente l'espressione del magistrato di sorveglianza può essere autorizzato a svolgere attività lavorativa, lo aveva autorizzato allo svolgimento di attività lavorativa o, almeno, era stata, in buona fede, in tal senso interpretata dal ricorrente. 3. Il ricorso è inammissibile. 4. Non è inficiata dal dedotto vizio di violazione di legge la decisione del giudice, all'udienza dell'11 luglio 2016, di rigettare la richiesta di rinvio per impedimento, per motivi di salute, dell'unico difensore di fiducia dell'imputato, documentata da un certificato medico rilasciato due giorni prima dell'udienza e attestante una patologia quale la lombosciatalgia ed una marcata impotenza funzionale nella deambulazione. In presenza di una patologia fronteggiabile, secondo le nozioni di comune esperienza, con farmaci antinfiammatori in grado di ridurre o addirittura annullare le allegate difficoltà di deambulazione che ne costituiscono l'effetto, il lasso temporale trascorso tra la diagnosi e il momento nel quale andava valutato l'impedimento è stato ritenuto, con motivazione adeguata, per nulla illogica e arbitraria, elemento che non denotava la fondatezza, serietà e gravità dell'impedimento che, anche per malattia, è rilevante in quanto denoti l'impossibilità di comparire in giudizio, se non a prezzo di un grave e non altrimenti evitabile rischio per la salute, rischio che, nel caso, è stato del tutto genericamente allegato nel proposto ricorso e ricondotto ad una situazione di disagio e sofferenza personale, senza alcun riferimento a situazioni personali ovvero patologie del difensore seriamente evocative di un rischio al quale si sarebbe trovato esposto ove avesse presenziato all'udienza. 2. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito, con riguardo alle dichiarazioni rese dal coimputato ma con principio suscettibile di applicazione anche al caso nel quale la prova rinvenga da fonte di natura documentale, che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione, fondato su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici tassativamente indicati dall'art. 606, comma 1, lett. e cod. proc. pen., riguardanti la motivazione del giudice di merito in ordine alla ricostruzione del fatto Sez. 6, Sentenza n. 43963 del 30/09/2013, Basile, Rv. 258153 ne discende la manifesta infondatezza del motivo con il quale il ricorrente ha denunciato il vizio di violazione di legge - con riguardo agli art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma primo, lett. e , cod. proc. pen.- per censurare l'omessa o erronea valutazione del contenuto del provvedimento del magistrato di sorveglianza del 9 maggio 2014 con il quale il magistrato, investito della richiesta urgente di affidamento in prova, la respingeva. 4. Non meno infondati sono, altresì, i denunciati vizi di motivazione, prospettati sotto il profilo alternativo della mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, vizi che il Collegio può esaminare allorquando, nell'ambito dei poteri riconosciuti al sindacato di legittimità, non propongano censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito cfr. Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997 le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Nel momento del controllo della motivazione, inoltre, non è compito del giudice di legittimità stabilire se la decisione di merito proponga o meno la migliore ricostruzione dei fatti né che debba condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, atteso che l'art. 606, comma 1, lett e cod. proc. pen. non consente alla Corte di cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove. 5. Alla luce di tali parametri risulta evidente che con il secondo motivo di ricorso sono state sollevate questioni relative alla valutazione della gravità indiziaria degli elementi raccolti e alla ricostruzione in fatto, già esaminate dalla Corte milanese che ha puntualmente analizzato la tesi difensiva dell'imputato, pervenendo alla condanna attraverso una disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. 5. In particolare nella sentenza impugnata la Corte di merito ha dato atto del contenuto della richiesta del Ca. al magistrato di sorveglianza con la quale il ricorrente non chiedeva, permanendo la misura degli arresti domiciliari, l'autorizzazione allo svolgimento di attività lavorativa in orario e luogo diverso da quello assentito con il provvedimento del 2 maggio 2014 che tra l'altro gli poneva l'obbligo di non allontanarsi dal luogo di svolgimento dell'attività lavorativa e, dunque, una prescrizione incompatibile con la possibilità di effettuare vendite c.d. porta a porta ma l'urgente applicazione della misura alternativa dell'affidamento in prova ai servizi sociali, con la conseguenza che il provvedimento di rigetto dell'istanza e le valutazioni espresse dal magistrato nell'ordinanza del 9 maggio 2014 non erano suscettibili di essere equivocate, men che mai in buona fede, circa la perdurante vigenza della misura degli arresti domiciliari e connesse prescrizioni impostegli con il provvedimento del 2 maggio 2014. Si rivelano, dunque, manifestamente infondati i richiami, ai principi che informano la valutazione del sillogismo accusatorio ai fini della ritenuta sussistenza, in capo al ricorrente, dell'elemento psicologico del reato di evasione, necessario e sufficiente essendo, ai fini della integrazione dell'elemento psicologico del reato in esame, il solo dolo generico, che consiste nella mera consapevolezza di allontanamento senza previa autorizzazione ex multis, Sez. 6, n. 16673 del 13/04/2010, Parlato, Rv. 24705101 . 6. All'inammissibilità dell'impugnazione segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che si considera conforme a giustizia fissare in Euro 2.000,00 duemila . P. Q. M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 19 luglio 2017