Lo Zombie con la pensione: truffa o indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato?

L'indebita percezione dei ratei della pensione di pertinenza di una persona deceduta integra gli estremi del delitto di truffa nei casi in cui la condotta del soggetto attivo incida sulle attività di verifica e di valutazione dell'ente erogatore, mentre rientra nel fuoco applicativo del delitto di indebita percezione di erogazioni laddove queste ultime discendano dalla mera presa d'atto della attestazione del richiedente.

Così ha deciso la Suprema Corte di Cassazione, sezione Seconda Penale, con la sentenza n. 40260 depositata il 5 settembre 2017. La vita è eterna! Persino chi non crede in un futuro nell'aldilà dovrà ricredersi. E per farlo non avrà nemmeno bisogno di abbracciare un qualsiasi credo religioso potrà tranquillamente guardare gli estratti conto della pensione del defunto protagonista della sentenza in commento. Caso quantomai frequente, un pover'uomo, cessata la sua esperienza terrena, ha continuato a gravare sulle casse dell'INPS. Qualcuno, nell'aldiquà, percepiva la sua pensione e ne incassava regolarmente i ratei, presentandosi come delegato e dichiarando l'esistenza in vita del fu-pensionato. Processato per truffa e falso, il percettore veniva condannato sia in primo che in secondo grado dalla Corte di Appello partenopea. Dopo la conferma della prima condanna, il ricorso per cassazione è dichiarato inammissibile. Un problema di qualificazione del fatto. Uno dei motivi per i quali il ricorrente si duole della decisione condannatoria è proprio quello relativo alla individuazione della fattispecie di reato che si presta a regolare il caso concreto oggetto di giudizio. Secondo la difesa dell'imputato, non essendovi state condotte fraudolente, la norma penale di riferimento sarebbe dovuta essere quella che punisce l'indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, e non quella che reprime la truffa. La Cassazione, con poche ma chiare argomentazioni, pur non negando la astratta correttezza della tesi formulata dal ricorrente, conferma in pieno la scelta dei giudici di merito. La percezione della pensione di un defunto, in buona sostanza, può essere punita sia come truffa, sia come indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato. La differenza qualificativa dipende, spiegano gli Ermellini, da ciò su cui incide la condotta del soggetto attivo se quest'ultima interferisce con l'attività di verifica dell'ente erogatore si realizza l'induzione dello stesso in errore e la norma penale di riferimento è quella che punisce la truffa. Se, invece, l'erogazione dipende dalla mera presa d'atto dell'esistenza di un presupposto formale, indipendentemente dall'omissione della comunicazione del decesso del pensionato, ovvero dalla presentazione di false dichiarazioni o dall'uso di atti falsi, allora dovrà chiamarsi in causa la norma che punisce l'indebita percezione delle erogazioni pubbliche. Un breve riassunto dei limiti alla critica della motivazione. Esaurita la trattazione della doglianza relativa alla qualificazione giuridica del fatto, la Cassazione passa ad esaminare le altre censure, incentrate su pretesi vizi della motivazione d'appello. Niente da fare nemmeno su questo versante i motivi vengono dichiarati manifestamente infondati. Non c'è nulla di nuovo nelle righe che gli Ermellini dedicano alla confutazione delle questioni sollevate dal ricorrente, ma ci soffermiamo un attimo su questo argomento per l'importanza se non altro strategica! che il medesimo riveste nell'ambito delle tecniche di attacco” alle sentenze di merito. È noto che la stragrande maggioranza dei ricorsi per cassazione contiene censure più o meno complesse al percorso motivazionale seguito dal Giudice di merito. È altrettanto noto che la giurisprudenza della Suprema Corte si è fatta ormai monolitica nell’affermare alcuni principi-guida in materia di vizi della motivazione. Dopo aver ribadito che la motivazione deve essere effettiva, non manifestamente illogica né contraddittoria o incompatibile con altri atti del processo, la Suprema Corte ricorda che saranno giudicate inammissibili tutte le censure riguardanti la persuasività, l'inadeguatezza o la sciatteria della motivazione, comprese le critiche con cui si evidenza la illogicità non manifesta” della stessa. Ecco perché, nella stesura del ricorso, occorre prestare molta attenzione a rispettare questi parametri superare l'ostacolo dell'inammissibilità è – con i parametri di giudizio sopra riassunti – praticamente già una mezza vittoria!

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 14 luglio – 4 settembre 2017, n. 40260 Presidente Diotallevi – Relatore Recchione Ritenuto in fatto 1.La Corte di appello di Napoli confermava la condanna dell’imputato per le condotte di truffa e falso ex art. 483 cod. pen. successive all’ottobre 2007. Si contestava all’imputato di avere dichiarato falsamente all’INPS l’esistenza in vita di P.U. e di avere incassato, in qualità di delegato, i ratei della sua pensione. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato che deduceva 2.1. vizio di legge e di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del fatto che avrebbe dovuto essere inquadrato nella fattispecie prevista dall’art. 316 ter cod. pen., tenuto conto che non sarebbe state poste in essere condotte fraudolente 2.2. vizio di legge e di motivazione in relazione alla inesistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 640 cod. pen. segnatamente mancherebbe l’elemento dell’ingiusto profitto 2.3. vizio di motivazione non sarebbe stati considerati gli elementi di prova a favore della difesa, ed in particolare, il rallentamento nella comunicazione dei decessi addebitabile al malfunzionamento delle reti telematiche pubbliche non sarebbe stata, inoltre, verificata l’autenticità delle firme del P. , né l’effettivo pagamento della pensione 2.4. vizio di motivazione l’affermazione di responsabilità sarebbe fondata su elementi di prova insufficienti in particolare non sarebbero stati escussi i funzionari dell’INPS e non sarebbe rilevante, contrariamente a quanto ritenuto, il fatto che il P. non avesse presentato denuncia in ordine ad eventuali denunce di abuso dei dati personali. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 1.1. Il primo motivo di ricorso che deduce l’illegittimità della qualificazione giuridica del fatto contestato è manifestamente infondato. Il collegio non ignora, ma anzi condivide, la giurisprudenza secondo cui integra la fattispecie criminosa di cui all’art. 316 ter cod. pen. e non quella di truffa aggravata l’indebita percezione della pensione di pertinenza di una persona deceduta, conseguita dal cointestatario del medesimo conto corrente su cui confluivano i ratei della pensione, che ometta di comunicare all’Ente previdenziale il decesso del pensionato Cass. sez. 2 n. 48820 del 23/10/2013, Rv. 257430 . Si tratta di una giurisprudenza che, oltre a trattare un caso diverso da quello in esame, in quanto caratterizzato da una condotta puramente omissiva dell’agente, si pone in soluzione di continuità con un percorso giurisprudenziale, condiviso dal collegio, che riconosce l’induzione in errore necessaria per il riconoscimento della truffa solo nei casi in cui la condotta dell’agente incida sull’attività di verifica e valutazione affidata all’ente erogatore e non quando questo si limiti alla mera presa d’atto , di fatto non valutativa dell’esistenza dei documenti che attestano l’esistenza delle condizioni dell’erogazione Cass. sez. 2 n. 49642 del 17/10/2014, Rv. 261000 . Circa la diagnosi differenziale tra la truffa ed il reato previsto dall’art. 316-ter cod. pen. il collegio ribadisce che tale ultima fattispecie punisce condotte caratterizzate, oltre che dal silenzio antidoveroso, anche da false dichiarazioni o dall’uso di atti o documenti falsi, quando l’erogazione pubblica non discende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti, ma solo dalla presa d’atto della esistenza della formale attestazione del richiedente, venendo così meno l’induzione in errore Cass. sez. un., n. 7537 del 16/12/2010, dep. 2011, Rv. 249104 Cass. sez. 2, 46064 del 19/10/2012, Rv. 254354 Cass. sez. 2, n. 6915 del 25/1/2011, Rv. 249470 . Nel caso di specie, dalla sentenza impugnata emergeva che l’imputato in qualità di delegato alla riscossione dell’avente diritto alla pensione, e come tale si sottoponeva ad identificazione in occasione di ogni erogazione e dichiarava falsamente l’esistenza in vita del genitore. La dichiarazione in positivo circa l’esistenza in vita della persona che aveva diritto alla pensione incidevano su una attività accertativa e di controllo affidata in tale ambito all’Ente previdenziale al quale, infatti, venivano periodicamente comunicati d’ufficio i decessi . La falsificazione di tale certificazione è dunque idonea ad integrare l’attività fraudolenta tipica della truffa in quanto insiste sui presupposti dell’erogazione che sono sottoposti ad attività accertativa e non meramente ricognitiva, esulando dall’area delle mere prese d’atto che legittimano l’inquadramento della condotta nella più lieve fattispecie prevista dall’art. 316 ter cod. pen 1.2. Gli altri tre motivi di ricorso sono manifestamente infondati in quanto si limitavano alla generica contestazione della legittimità del riconoscimento delle prove reato contestato e si risolvevano nella proposta di una lettura alternativa delle stesse non ammissibile in sede di legittimità né gli elementi dedotti dal ricorrente individuano fratture logiche manifeste e decisive del compendio motivazionale integrato emergente dalle due sentenze conformi di merito. Il collegio in materia di vizio di motivazione ribadisce infatti che il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest’ultima a sia effettiva , ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata b non sia manifestamente illogica , perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica c non sia internamente contraddittoria , ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute d non risulti logicamente incompatibile con altri atti del processo indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico Cass. sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Rv. 251516 segnatamente non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante , su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo per cui sono inammissibili tutte le doglianze che attaccano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento Cass. sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965 . Inoltre il collegio ritiene che il giudice di appello non è tenuto a prendere in considerazione ogni argomentazione proposta dalle parti, essendo sufficiente che egli indichi le ragioni che sorreggono la decisione adottata, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo né l’ipotizzabilità di una diversa valutazione delle medesime risultanze processuali costituisce vizio di motivazione, valutabile in sede di legittimità Cass. Sez. 5, sent. n. 7588 del 06/05/1999, dep. 11/06/1999, Rv. 213630 . Ne caso di specie con motivazione, esente da vizi, i giudici dì merito rilevavano che dall’esame testimoniale dell’impiegato dell’Inps era emerso che l’imputato aveva riscosso indebitamente la pensione del padre defunto dichiarando la sua permanenza in vita per un periodo di circa cinque anni pag. 3 della sentenza impugnata . si tratta di motivazione che è esente da qualsiasi censura rilevabile in questa sede, essendo evidente che all’attività fraudolenta posta in essere dall’imputato e dimostrata attraverso la valorizzazione della testimonianza dell’impiegato dell’INPS conseguiva un ingiusto profitto. 2.Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro 1500,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1500.00 a favore della Cassa delle ammende.