Sfogo su Facebook contro le chiacchiere di paese, nessuna diffamazione

Sotto accusa un uomo che ha espresso on line tristezza per le reazioni della comunità locale alla morte di una persona da lui stimata. Riflettori puntati sul chiacchiericcio dei paesani. Esclusa l’ipotesi che le frasi pubblicate sul social network fossero rivolte alle familiari del morto.

Sfogo on line per la morte dello zio. Nel mirino, almeno in apparenza, i familiari più stretti, che hanno scelto il funerale privato. Impossibile, però, parlare di diffamazione, mancando l’indicazione precisa delle persone cui erano rivolte le parole pubblicate su Facebook, destinate, in realtà, alla comunità locale Cassazione, sentenza n. 39763, sezione V Penale, depositata oggi . Fastidio. Caustica la frase condivisa sul noto social network. Inequivocabili le parole utilizzate da un uomo e pubblicate sul proprio profilo personale Un grande ciao allo zio che se ne è andato nel silenzio più assordante. Grazie a persone disturbate mentalmente non si può morire con dignità”. A dare il ‘la’ alla battaglia legale sono le parenti strette della persona morta. Le tre donne si sono sentite chiamate in causa in maniera denigratoria dal messaggio visibile su Facebook, e consequenziale è l’apertura del processo. Per i giudici, sia in Tribunale che in Corte d’appello, all’uomo, che ha condiviso quelle discutibili parole on line, non è contestabile il delitto di diffamazione . Questa visione è condivisa ora dai magistrati della Cassazione. Respinte le obiezioni proposte dalle 3 donne, obiezioni poggiate sull’osservazione che l’intento diffamatorio può essere perseguito anche attraverso subdole allusioni , non essendo necessaria l’indicazione nominativa della persona diffamata . Per i giudici del ‘Palazzaccio’, però, va tenuto presente che per il delitto di diffamazione la persona cui è diretta l’offesa deve essere determinata . In sostanza, non è necessario che essa sia menzionata nominativamente, ma occorre che sia indicata in modo tale da poter essere agevolmente e con certezza individuata . E In questa vicenda l’uomo ha spiegato di aver voluto esprimere il proprio fastidio e la propria tristezza perché lo zio se ne era andato in silenzio a causa della mancata pubblicazione dei manifesti del funerale , un silenzio assordante a causa del chiacchiericcio derivatone in paese. Quindi lo sfogo on line era rivolto, ha aggiunto, alle persone che nella comunità locale avevano prodotto chiacchiere e dicerie assolutamente negative nei confronti della persona deceduta e da lui molto stimata .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 29 maggio – 31 agosto 2017, numero 39763 Presidente Lapalorcia – Relatore Scotti Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 19/2/2016 la Corte di appello di Palermo, ha confermato la sentenza del Tribunale di Agrigento, appellata dalle parti civili Ma. Cu., Iv. Ca. e Anumero Ca., che aveva assolto l'imputato Gi. Ba. Inumero dal delitto di diffamazione ex articolo 595 cod.penumero per insussistenza del fatto. All'imputato era stato contestato di aver pubblicato sul proprio sito Facebook un messaggio offensivo della reputazione delle parti civili, parenti strette di Gi. Ca., deceduto il 17/5/2011, del seguente tenore Un grande ciao allo zio Pi. Ca. che se ne è andato nel silenzio più assordante, grazie a persone disturbate mentalmente non si può morire con dignità. Riflettiamo gente 2. Ha proposto ricorso ai fini civili nell'interesse delle parti civili Ma. Cu., Iv. Ca. e Anumero Ca., il difensore di fiducia, avv. Gi. La., svolgendo due motivi. 2.1. Con il primo motivo, proposto ex articolo 606, comma 1, lett. e , cod.proc.penumero il ricorrente denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ravvisata insussistenza della condotta delittuosa contestata all'imputato. La Corte di appello aveva ritenuto che le frasi contestate non contenessero alcun riferimento personale alle appellanti, ora ricorrenti, senza tener conto delle complessive risultanze processuali e ascrivendo credito alle assurde propalazioni difensive dell'Inumero . E' ben noto - proseguono le ricorrenti - che l'intento diffamatorio può essere perseguito anche attraverso subdole allusioni e che non è necessaria per la configurazione del reato l'indicazione nominativa del diffamato. Nella specie la frase indubbiamente offensiva contenuta nel messaggio Facebook era obiettivamente riferibile alle strette parenti del defunto, che, contravvenendo a una tradizione radicata nel piccolo paese di San Biagio Platani, avevano deciso di far celebrare le esequie del loro marito e padre Gi. Ca. in forma strettamente privata, suscitando non poche polemiche, tanto più che si erano sparse in paese delle voci di mancate cure al defunto durante la malattia da parte dei familiari. La riferibilità soggettiva della frase offensiva era emersa anche in sede dibattimentale, tenuto conto delle ulteriori plurime condotte offensive tenute dall'Inumero , riferite dalle testi Iv. e Anumero Ca. all'udienza del 20/6/2012. 2.2. Con il secondo motivo, proposto ex articolo 606, comma 1, lett. b , cod.proc.penumero il ricorrente denuncia violazione della legge penale in materia di risarcimento dei danni non patrimoniali articolo 2059 e 1226 cod.civ. la prova del danno morale conseguente alla lesione della reputazione può esser presuntiva, previa valutazione degli indici di gravità della fattispecie oggettiva portata diffamatoria risalto attribuito alla notizia grado di diffusione leggibilità a distanza di tempo on line . Considerato in diritto 1. Con il primo motivo le ricorrenti denunciano vizi motivazionali nella decisione con cui la Corte territoriale ha escluso la sussistenza del delitto di diffamazione in ragione della non riferibilità a soggetti determinati, e in particolare alle parti civili, della frase, indubbiamente offensiva, inserita dall'imputato Gi. Ba. Inumero nel suo messaggio Facebook Un grande ciao allo zio Pi. Ca. che se ne è andato nel silenzio più assordante, grazie a persone disturbate mentalmente non si può morire con dignità. Riflettiamo gente . 1.1. Secondo le ricorrenti, l'intento diffamatorio può essere perseguito anche attraverso subdole allusioni e non è necessaria per la configurazione del reato l'indicazione nominativa del diffamato la Corte di appello aveva ritenuto che le frasi contestate non contenessero alcun riferimento personale nei confronti delle strette parenti del defunto Gi. Ca., senza tener conto delle complessive risultanze processuali e ascrivendo credito alle assurde propalazioni difensive dell'Inumero . Invece la frase sopracitata, secondo le ricorrenti, era obiettivamente riferibile alla moglie e alle figlie del defunto, purché si tenesse conto del complessivo contesto circostanziale esse, infatti, contravvenendo a una tradizione radicata nel piccolo paese di San Biagio Platani, avevano deciso di far celebrare le esequie del loro marito e padre Gi. Ca. in forma strettamente privata, e ciò aveva suscitato molte polemiche, tanto più che in paese si erano sparse voci di mancate cure al defunto durante la malattia da parte dei familiari. 1.2. Per la sussistenza del delitto di diffamazione la persona cui è diretta l'offesa deve essere determinata non è necessario che essa sia menzionata nominativamente ma occorre che sia indicata in modo tale da poter essere agevolmente e con certezza individuata. La diffamazione, infatti, postula la propalazione o la diffusione di notizie lesive della reputazione di un soggetto determinato, o almeno sicuramente e inequivocabilmente identificabile pertanto il reato di diffamazione non sussiste quando l'atteggiamento descritto e che si ritiene diffamatorio sia riferibile non ad un determinato soggetto, ma ad una generica pluralità di soggetti, non identificabili ne individuabili specificamente. Sez. 6, numero 466 del 24/04/1972, Za., Rv. 122022 . Tale risalente principio è stato confermato da un consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, da cui non v'è ragione di scostarsi l'individuazione del destinatario dell'offesa deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione dell'offesa, sulla base di un criterio oggettivo, non essendo consentito il ricorso ad intuizioni o soggettive congetture di soggetti che ritengano di potere essere destinatari dell'offesa Sez. 5, numero 11747 del 05/12/2008 - dep. 2009, Ferrara e altro, Rv. 243329 . Pertanto l'individuazione del soggetto passivo deve avvenire attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e portata dell'offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili, i quali devono, unitamente agli altri elementi che la vicenda offre, essere valutati complessivamente, così che possa desumersi, con ragionevole certezza, l'inequivoca individuazione dell'offeso, sia in via processuale che come fatto preprocessuale, cioè come piena e immediata consapevolezza dell'identità del destinatario che abbia avuto chiunque abbia letto l'articolo diffamatorio. Sez. 5, numero 33442 del 08/07/2008, De Bo. e altri, Rv. 241548 Sez. 5, numero 15643 del 11/03/2005, Sc. ed altro, Rv. 232135 . 1.3. La concreta possibilità di identificazione del destinatario dell'offesa attraverso la complessiva valutazione della natura e portata dell'offesa, delle circostanze oggettive e soggettive, dei riferimenti personali e temporali postula un giudizio di fatto, insuscettibile di sindacato in sede di legittimità, se supportato da motivazione non contraddittoria e non inficiata da elementi di manifesta illogicità. 1.4. Nella specie, la conforme decisione assolutoria dei giudici del merito si è basata sulla spiegazione del messaggio fornita dall'Inumero in sede di esame, ampiamente riferita nella sentenza di primo grado, illustrata e commentata tale spiegazione, proposta dall'imputato e accettata dal Giudice, non ha affatto ignorato il complesso storico e circostanziale descritto in modo sostanzialmente congruente sia dalle parti civili, sia dall'imputato e cioè la figura morale e la rilevanza del ruolo del defunto Pi. Ca. nel piccolo paese la tradizione locale in ordine alla pubblicità e agli orari dei funerali la decisione della moglie e delle figlie di far svolgere le esequie di mattino e non di pomeriggio, senza la preventiva abituale pubblicazione degli annunci le critiche che si erano diffuse in paese per tale decisione le chiacchiere calunniose, del tutto infondate come accertato attraverso le deposizioni del medico curante dott. Bi. Pa. e di una conoscente di lunga data, Ro. Vo., circa le scarse cure ed attenzioni riservate dalla famiglia a Pi. Ca. durante la malattia, che si erano diffuse in paese e la cui origine è rimasta del tutto oscura. L'Inumero ha ammesso di aver voluto significare il proprio fastidio e la propria tristezza perché che Pi. Ca. se ne era andato in silenzio a causa della mancata pubblicazione dei manifesti del funerale assordante a causa del chiacchiericcio critico sparso in paese , ma ha indicato nei propalatori di critiche e chiacchiere, lesive della dignità dello scomparso, il bersaglio dell'offesa a cui egli aveva mirato, che non doveva essere assolutamente individuato nei famigliari stretti del Ca Tale dichiarazione è stata ritenuta credibile in difetto di qualsiasi preciso riferimento alle querelanti nella frase incriminata, completamente oscura nella sua valenza oggettiva e nella sua direzione soggettiva. Inoltre, proprio l'accertata esistenza di chiacchiere paesane, dicerie, e futili commenti ha contribuito ad accreditare la spiegazione offerta dall'imputato con riferimento alla sua intenzione di reagire contro il vulnus in tal modo inferto alla figura del defunto, da lui molto stimato. Tale valutazione non presenta vizi logici, per giunta manifesti, che ne consentano la censura da parte della Corte di Cassazione. 1.5. Secondo le ricorrenti, la riferibilità soggettiva della frase offensiva era emersa anche in sede dibattimentale, tenuto conto delle ulteriori plurime condotte offensive tenute dall'Inumero , riferite dalle testi Iv. e Anumero Ca. all'udienza del 20/6/2012. Tali circostanze appaiono del tutto irrilevanti e inidonee a scardinare la tenuta logica dell'apparato motivazionale, visto che attengono a episodi successivi la cui origine, a tutto concedere e a voler ritenere credibili le asserzioni delle parti civili dichiaranti, può essere vista come un effetto del deterioramento dei rapporti cagionato dalla vicenda penale e non già come la conferma della pregressa intenzione diffamatoria dell'Inumero . 2. Con il secondo motivo le ricorrenti si rivolgono contro la concorrente ratio decidendi esposta dalla sentenza della Corte di appello di Palermo per denunciare violazione della legge penale in materia di risarcimento dei danni non patrimoniali articolo 2059 e 1226 cod.civ. poiché la prova del danno morale conseguente alla lesione della reputazione può esser presuntiva, previa valutazione degli indici di gravità della fattispecie oggettiva portata diffamatoria risalto attribuito alla notizia grado di diffusione leggibilità a distanza di tempo on line . Anche a prescindere dall'assorbimento della censura in ragione del rigetto del primo motivo di ricorso rivolto contro la concorrente ratio decidendi inerente la non identificabilità delle persone offese, il motivo è a-specifico perché la Corte territoriale, quanto al danno non patrimoniale, ha preteso dalle richiedenti non solo la prova ma anche l'allegazione del danno-conseguenza lamentato, peraltro in puntuale sintonia con la giurisprudenza civilistica di legittimità successiva alle celebri sentenze gemelle dell'11/11/2008 delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione numero 26972-26975/2008. Ancora recentemente la Corte di Cassazione in tema di risarcimento del danno non patrimoniale di diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, ivi compreso quello all'immagine, ha ribadito che il pregiudizio, non costituendo un mero danno-evento, e cioè in re ipsa, deve essere oggetto di allegazione e di prova, anche tramite presunzioni semplici. Sez. 3 civile numero 20643 del 13/10/2016, Rv. 642923 - 02 . 3. I ricorsi vanno quindi dichiarati inammissibili ne consegue la condanna di ciascuna ricorrente ai sensi dell'articolo 616 cod.proc.penumero al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 2.000,00= in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere il ricorrente in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte cost. 13/6/2000 numero 186 . P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascuna ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00= a favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 29/5/2017