Dipendente vessata dalla compagna dell’albergatore: condanna per maltrattamenti

Decisiva la constatazione che la donna, da fidanzata del proprietario della struttura, esercitava di fatto la propria autorità. Ella va considerata come una vera e propria datrice di lavoro.

Il compagno proprietario di un albergo. Lei operativa, di fatto, nella gestione della struttura. Consequenziale la sua condanna per i soprusi compiuti ai danni di una dipendente. Per i giudici si può parlare, senza dubbio, di maltrattamenti Cassazione, , sez. VI Penale, sentenza n. 39338/17, depositata il 22 agosto . Autorità. A inchiodare la donna è il suo ruolo sostanziale di datrice di lavoro , ruolo dovuto al fatto che ella gestiva, in sostanza, l’albergo di proprietà dell’allora fidanzato. Su questo fronte i giudici, prima in Tribunale, poi in Appello e infine in Cassazione, richiamano il fatto che era stata la donna ad assumere la lavoratrice e a impartirle gli ordini per lo svolgimento delle sue mansioni nell’albergo in cui al contempo abitava . Emerge in modo chiaro, quindi, secondo i giudici, la condizione di sottoposizione della dipendente all’autorità della compagna del proprietario, in un contesto di parafamiliarità, ossia di prossimità permanente, di abitudini di vita proprie e comuni alle comunità familiari, con modalità tipiche del rapporto familiare, caratterizzate da discrezionalità e informalità . Logico, quindi, considerare i soprusi compiuti dalla donna sulla lavoratrice come maltrattamenti parafamiliari. Soprusi ripetuti nel tempo e culminati nell’ordine dato dalla donna di asportare i beni della lavoratrice, senza la sua autorizzazione, dalla camera che lei occupava e di accatastarli in garage , dove, per giunta, non furono più rinvenuti quelli di maggiore valore .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 giugno – 22 agosto 2017, n. 39338 Presidente Ippolito – Relatore Costanzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza n. 3168/2016 la Corte di appello di Bologna ha confermato la condanna inflitta dal Tribunale di Bologna a Ma. Sa. per i reati in concorso con M. P., deceduto di maltrattamenti, violazione di domicilio e appropriazione indebita ai danni di Dh. Gl Con dichiarazione dell'8/06/2016, depositata in udienza il 10/06/2016 Ma. Sa. ha dichiarato di rinunciare alla prescrizione. 2. Nel ricorso di Sa. si chiede l'annullamento della sentenza per violazione di legge e vizio di motivazione circa a la sussistenza dei reati di violazione di domicilio artt. 110 e 614 cod. pen. e appropriazione indebita artt. 110. 646 cod. pen. , perché la condanna è stata fondata sulle dichiarazioni della persona offesa e dell'allora fidanzato oggi marito contenenti inverosimiglianze e contraddizioni e sull'assunto, giuridicamente erroneo, di una sua responsabilità perché gestrice di fatto dell'albergo nel quale la persona offesa lavorava e alloggiava b la sussistenza del reato di maltrattamenti art. 572 cod. pen. , per avere considerato la ricorrente datrice di lavoro di fatto della Gl. solo a causa del suo legame sentimentale con il proprietario dell'albergo e in una posizione di supremazia rispetto alla Gl. nella organizzazione dell'impresa c la determinazione della pena non nel minimo edittale, il diniego delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena. Considerato in diritto 1. Il primo motivo e il secondo motivo di ricorso risultano manifestamente infondati perché concernono la ricostruzione e la valutazione del materiale probatorio, profili del giudizio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito fatto salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, spettano al giudice di merito il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Rv. 262575 Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Rv. 250362 . Nel caso in esame, la Corte di appello ha fornito una congrua e adeguata motivazione basata su pertinenti massime di esperienza applicate senza incorrere in fallacie logiche. Sulla base delle dichiarazioni testimoniali, con valutazioni convergenti con quelle del Tribunale, ha fondato la responsabilità dell'imputata per il reato ex art. 572 cod. pen., dalla pluralità delle condotte vessatorie descritte nel capo di imputazione e, quanto al ruolo direttivo svolto dalla ricorrente, dall'essere stata lei a assumere la persona offesa e a impartirle gli ordini per lo svolgimento del lavoro nell'albergo in cui al contempo abitava pur nella comune consapevolezza della presenza anche di M. P., convivente del Sa. e formale titolare dell'impresa , in una condizione di sottoposizione della Gl. all'autorità della Sa. in un contesto di parafamiliarità, ossia di prossimità permanente, di abitudini di vita proprie e comuni alle comunità familiari, con modalità, tipiche del rapporto familiare, caratterizzate da discrezionalità e informalità Sez. 6, n. 13088 del 05/03/2014, Rv. 259591 Sez. 6, n. 24642 del 19/03/2014, Rv. 260063 Sez. 6, n. 24057 del 11/04/2014, Rv. 260066 per i reati ex artt. 614 e 646 cod. pen., dall'essere acclarato - anche in assenza di una diversa versione dell'imputata - che fu la Sa. a disporre che i beni della Gl. fossero, senza sua autorizzazione, asportati dalla camera che occupava e accatastati in garage dove non furono più rinvenuti quelli di maggiore valore pag. 6 della sentenza di primo grado e pag. 5 di quella di secondo grado . 3. Manifestamente infondate sono anche le deduzioni sviluppate nel terzo motivo di ricorso la Corte ha confermato la determinazione della pena in misura superiore al minimo edittale motivata dal Tribunale per la particolare intensità del dolo e la durata delle condotte , il disconoscimento delle circostanze attenuanti generiche - già escluse dal Tribunale in considerazione delle modalità dei fatti, tutt'altro che episodici e occasionali - per non avere rilevato elementi di valutazione favorevoli. Ha confermato il diniego della sospensione condizionale della pena motivato dal tribunale con la gravità delle condotte reiterate in un arco temporale tutt'altro che circoscritto . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1500 in favore della cassa delle ammende.