Madre disattenta verso i figli, la rabbia del marito sfocia in stalking: condannato

Definitiva la pena stabilita in appello cinque mesi di reclusione. Nessun dubbio sulle condotte dell’uomo verso la consorte. Inutile il richiamo alla conflittualità tra la coppia per la scarsa cura dei figli.

Poco attenta alla cura dei figli. Questa l’obiezione che un uomo muove alla moglie. Inevitabile la tensione tra i coniugi, ma ciò non può certo rendere meno grave lo stalking messo in atto dall’uomo nei confronti della consorte. Cassazione, sentenza n. 38736, sezione Quinta Penale, depositata il 3 agosto 2017 Dolo . Nessun dubbio per i giudici, sia in Tribunale che in Corte d’appello l’uomo è ritenuto colpevole di atti persecutori ai danni della moglie . Logica la sua condanna a cinque mesi di reclusione . Questa decisione viene resa definitiva dai magistrati della Cassazione. Respinte, difatti, le obiezioni proposte dal legale dell’uomo, e centrate sul fatto che le condotte vessatorie fossero conseguenza del comportamento tenuto dalla donna nei confronti dei figli della coppia. Per i giudici del ‘Palazzaccio’ non ci sono dubbi sulla situazione di conflittualità derivante dalla asserita carenza della moglie nella cura dei figli , ma questo dato non può portare ad escludere il dolo nei comportamenti vessatori e persecutori, perpetrati per anni, a danno della consorte .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 23 maggio - 3 agosto 2017, n. 38736 Presidente Settembre – Relatore Riccardi Ritenuto in fatto 1. Co. An. St. Gi. ricorre per cassazione avverso la sentenza emessa il 23/09/2016 con la quale la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano, lo ha condannato alla pena di cinque mesi di reclusione in relazione al reato di atti persecutori ai danni della moglie Va. Cl., deducendo due motivi di ricorso. 1.1. Vizio di motivazione in relazione all'elemento soggettivo del reato di atti persecutori, non avendo la sentenza motivato in ordine alle specifiche doglianze proposte con l'atto di appello, concernenti i motivi delle condotte, poste in essere a causa dei comportamenti della persona offesa nei confronti dei figli. 1.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego della non menzione, poiché le pene inflitte, pur cumulate con quella oggetto della sentenza, sarebbero state inferiori al limite di due anni. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il primo motivo è manifestamente infondato. Invero, nel delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di evento, l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015, A, Rv. 265230 il delitto di atti persecutori è reato abituale di evento, per la cui sussistenza, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, è sufficiente il dolo generico, il quale è integrato dalla volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice Sez. 5, n. 20993 del 27/11/2012, dep. 2013, Fe., Rv. 255436 . Tanto premesso, la situazione di conflittualità derivante dalla asserita carenza della moglie nella cura dei figli, dedotta dal ricorrente quale causa di esclusione del dolo, quand'anche rappresentasse la reale matrice psichica delle condotte, è stata correttamente ritenuta irrilevante, in quanto non sarebbe elemento in grado di escludere la coscienza e volontà del fatto, delle condotte vessatorie e persecutorie perpetrate nel corso di anni, trattandosi del mero movente dell'azione, della causa psichica della condotta umana, dello stimolo che ha indotto l'autore ad agire, facendo scattare la volontà al riguardo, è pacifico che il movente dell'azione, pur potendo contribuire all'accertamento del dolo, costituendo una potenziale circostanza inferenziale, non coincide con la coscienza e volontà del fatto, della quale può rappresentare, invece, il presupposto Sez. 1, n. 466 del 11/11/1993, dep. 1994, Ha., Rv. 196106 Il movente è la causa psichica della condotta umana e costituisce lo stimolo che ha indotto l'individuo ad agire esso va distinto dal dolo, che è l'elemento costitutivo del reato e riguarda la sfera della rappresentazione e volizione dell'evento in una fattispecie analoga, Sez. 3, n. 14742 del 11/02/2016, P, Rv. 266634 Lo stato di nervosismo e di risentimento non esclude l'elemento psicologico del reato di maltrattamenti in famiglia, costituendo, al contrario, uno dei possibili moventi dell'ipotesi delittuosa Sez. 6, n. 5541 del 02/04/1996, To., Rv. 204874 Ai fini della sussistenza del delitto di maltrattamenti in famiglia il movente non esclude il dolo, alla cui nozione è estraneo, ma lo evidenzia, rivelando la comunanza del nesso psicologico fra i ripetuti e numerosi atti lesivi Sez. 6, n. 8557 del 20/06/1987, Go., Rv. 176441 . 3. Il secondo motivo è manifestamente infondato. Premesso che l'obbligo di motivazione, nella sentenza di appello, del diniego del beneficio della non menzione ricorre solo laddove, con i motivi di impugnazione, siano state dedotte circostanze specifiche che, in base all'art. 133 cod. pen., legittimino la concessione del beneficio stesso Sez. 3, n. 3431 del 04/07/2012, dep. 2013, Ma., Rv. 254681 , la concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale è rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice sulla base di una valutazione delle circostanze di cui all'art. 133 cod. pen., senza che sia necessaria una specifica e dettagliata esposizione delle ragioni della decisione Sez. 2, n. 1 del 15/11/2016, dep. 2017, Ca., Rv. 268971 . Tanto premesso, nel caso in esame la sentenza impugnata appare immune da censure, avendo congruamente motivato il diniego del beneficio della non menzione sulla base dei due precedenti penali dai quali risulta già gravato l'imputato, in tal senso formulando, con apprezzamento di fatto immune da censure ed insindacabile in sede di legittimità, un giudizio negativo, sulla base dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen., ostativo, al di là dei limiti oggettivi di pena, alla concessione del beneficio. 4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 2.000,00 infatti, l'art. 616 cod. proc. pen. non distingue tra le varie cause di inammissibilità, con la conseguenza che la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria in esso prevista deve essere inflitta sia nel caso di inammissibilità dichiarata ex art. 606 cod. proc. pen., comma 3, sia nelle ipotesi di inammissibilità pronunciata ex art. 591 cod. proc. pen. . P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.