In democrazia, a maggiori poteri corrispondono maggiori responsabilità…anche per il diritto di critica

La Cassazione ribadisce il principio secondo il quale nell’esercizio del diritto di critica si debba concedere un maggior spazio al diritto di critica giudiziaria, in virtù dell’importanza che l’organo giudiziario ricompre nel nostro ordinamento

Così ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 37226/17, depositata il 26 luglio. Il caso. La Corte d’Appello confermava la condanna dell’imputato per il reato di diffamazione a mezzo stampa commesso nel corso di un’intervista rilasciata ad un quotidiano, con affermazioni riguardati un procuratore della Repubblica. Avverso tale pronuncia il soccombente ricorreva in Cassazione lamentando il mancato riconoscimento della causa di giustificazione del diritto di critica, essendosi il ricorrente, basato su testimonianze e documenti. Il diritto di critica. La Cassazione ritiene fondata la doglianza sollevata dal ricorrente affermando che la scriminante del diritto di critica ha una portata più ampia di quella riservata al diritto di cronaca, ciò perché nell’esercizio del diritto di critica si richiede necessariamente che la parte esprima delle proprie opinioni, che in quanto tali, non potranno pretendersi obiettive. Certamente l’esercizio di tale diritto deve essere esercitato entro alcuni limiti rigorosi quali quello della continenza espressiva, veridicità dei fatti posti a fondamento della critica e dell’interesse pubblico alla conoscenza di quest’ultimi. Nel caso di specie la Cassazione ritiene che la Corte territoriale non abbia fatto buon uso dei già consolidati principi in materia non avendo considerato che le affermazione svolte dal ricorrente non dovevano ritenersi un ingiustificato attacco personale, in quanto così facendo si negherebbe il diritto di critica giudiziaria che dovrebbe al contrario godere di maggior spazio sull’assunto per cui in democrazia a maggiori poteri, corrispondono maggiori responsabilità e l’assoggettamento al controllo da parte dei cittadini, esercitabile anche e proprio attraverso il diritto di critica . Per questi motivi la Cassazione annulla la sentenza impugnata e rinvia a nuovo esame sul punto.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 11 – 26 luglio 2017, n. 37226 Presidente Palla – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la condanna di P.A. per il reato di diffamazione a mezzo stampa commesso ai danni di C.A. nel corso di una intervista rilasciata al omissis . 2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore articolando due motivi. 2.1 Con il primo deduce errata applicazione della legge penale e vizi della motivazione in merito al mancato riconoscimento dell’esimente della provocazione, rilevando come la Corte territoriale abbia sostanzialmente travisato il relativo motivo d’appello, con il quale non si identificava il fatto ingiusto in grado di giustificare la reazione offensiva nella stessa indagine condotta nei confronti di appartenenti alla Massoneria negli novanta del secolo scorso dalla persona offesa nella sua qualità di Procuratore della Repubblica di , bensì negli apprezzamenti concernenti tale indagine contenuti nella missiva inviata dal C. nel 2010 ad un quotidiano. Missiva che la sentenza ha di fatto trascurato di considerare e che invece è idonea a spiegare la reazione dell’imputato, peraltro posta in essere nell’immediatezza della stessa. 2.2 Analoghi vizi vengono dedotti con il secondo motivo in merito al denegato riconoscimento della causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di critica. In tal senso si lamenta che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare le testimonianze a discarico e gli atti relativi all’archiviazione della sunnominata inchiesta, dal cui complesso emerge il nucleo di verità dei fatti sui quali si è innestata la critica svolta dall’imputato nei confronti della persona offesa. Il giudice dell’appello avrebbe poi erroneamente assunto che il ricorrente, nel gravame di merito, avesse attribuito al successore del C. alla guida della Procura di i giudizi negativi sulla conduzione dell’inchiesta, invece formulati dall’imputato sulla base delle conclusioni rassegnate nella richiesta di archiviazione dal pubblico ministero romano che la ereditò. Quanto invece ai malfunzionamenti generati in seno all’ufficio giudiziario calabrese dall’assorbimento nell’indagine di cui si tratta di cospicue risorse, le affermazioni contestate all’imputato troverebbero - contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza impugnata - preciso riscontro proprio nelle dichiarazioni rilasciate alla stampa dal dott. Co. all’atto della sua assunzione della guida della Procura di . Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei limiti che di seguito verranno esposti. 2. Invero infondato è il primo motivo. È infatti irrilevante stabilire se la Corte territoriale abbia o meno travisato il motivo d’appello con il quale si reclamava il riconoscimento dell’esimente della provocazione, posto che, anche qualora debba ritenersi questa rappresentata dalla missiva inviata dalla persona offesa al quotidiano, il comportamento reattivo dell’imputato sarebbe intervenuto comunque ad una distanza di tempo un paio di mesi incompatibile con l’ambito di operatività dell’istituto evocato. Non di meno la mera e legittima rievocazione dell’indagine nella suddetta missiva non integra gli estremi del fatto ingiusto in senso oggettivo presupposto necessario per la configurabilità della menzionata esimente. 3. Ad opposte conclusioni deve pervenirsi con riguardo alle censure proposte con il secondo motivo di impugnazione. Censure che colgono nel segno in merito al governo da parte della Corte territoriale dei principi relativi alla scriminante dell’esercizio del diritto di critica. 3.1 È principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per cui la scriminante del diritto di critica, pur trovando comune matrice nella tutela costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero, abbia una portata più ampia di quella del diritto di cronaca. E ciò in quanto l’esercizio del diritto di critica non si concretizza nella mera narrazione di fatti, bensì nell’espressione di un giudizio e, più in generale, di un’opinione. Opinione che, in quanto tale, non può quindi pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica non può che essere fondata su un’interpretazione necessariamente soggettiva dei fatti, posto che la realtà può essere percepita in modo differente e che due narrazioni dello stesso fatto possono perciò stesso rivelare divergenze anche marcate ex multis Sez. 5, n. 7662 del 31 gennaio 2007, Iannuzzi e altri, Rv. 236524 . Perché il diritto di critica assuma valenza scriminante è peraltro necessario, secondo la stessa giurisprudenza, che venga esercitato entro precisi limiti, individuati essenzialmente in quelli della continenza espressiva e della veridicità dei fatti posti a fondamento della critica, nonché dell’interesse pubblico alla conoscenza di questi ultimi, qualora il diritto venga esercitato per il tramite dei mezzi di informazione. 3.2 Con riguardo al requisito della continenza espressiva e della correttezza del linguaggio, si ammette che la critica assuma anche toni forti ed aspri, ma l’offesa che trascende in attacchi personali, diretti a colpire su un piano individuale la sfera morale del soggetto criticato e non le sue azioni od opinioni, viene considerata - come ricordato anche dalla sentenza impugnata - incompatibile con il legittimo esercizio del diritto. In tal senso è affermazione oramai tralaticia nella giurisprudenza di questa Corte quella per cui il limite della continenza nel diritto di critica deve ritenersi superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato ex multis Sez. 5, n. 15060 del 23 febbraio 2011, Dessì e altro, Rv. 250174 . In tal senso si è peraltro avvertito come tale limite non possa ritenersi superato per il solo fatto dell’utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio critico negativo di cui deve tenersi conto anche alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato Sez. 5, n. 37397 del 24 giugno 2016, C., Rv. 267866 . Più in generale si è precisato che il diritto di critica si concretizza in un giudizio valutativo che postula l’esistenza del fatto assunto ad oggetto o spunto del discorso critico ed una forma espositiva non ingiustificatamente sovrabbondante rispetto al concetto da esprimere, e, conseguentemente, esclude la punibilità di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purché tali modalità espressive siano proporzionate e funzionali all’opinione o alla protesta, in considerazione degli interessi e dei valori che si ritengono compromessi Sez. 1, n. 36045 del 13 giugno 2014, P.M. in proc. Surano, Rv. 261122 . 3.3 Di tali consolidati principi - come eccepito dal ricorrente - la Corte territoriale non ha fatto buon governo nella misura in cui ha ritenuto in maniera apodittica costituire gratuita aggressione ad hominem le valutazioni effettuate dall’imputato nel corso dell’intervista rilasciata a Il omissis sulla conduzione delle indagini relative alla c.d. massoneria deviata da parte del dott. C. negli anni novanta del secolo scorso nella sua qualità di procuratore della Repubblica presso il Tribunale di . 3.4 Non è in discussione l’asprezza del contenuto dei giudizi espressi, bensì il fatto che questi, attraverso la critica sulla infondatezza e inutilità della suddetta indagine, debbano automaticamente tradursi in un ingiustificato attacco personale, mettendo gratuitamente in discussione la buona fede e la professionalità del magistrato inquirente. Un tale automatismo, che sostanzialmente è presupposto dai giudici territoriali, si risolve infatti nella stessa negazione del diritto di critica giudiziaria, cui deve invece riconoscersi ampia latitudine, posto che in democrazia, a maggiori poteri quali sono quelli riconosciuti al magistrato , corrispondono maggiori responsabilità e l’assoggettamento al controllo da parte dei cittadini, esercitabile anche e proprio attraverso il diritto di critica Sez. 5, n. 11662 del 6 febbraio 2007, Iannuzzi ed altri, Rv. 236362 . 3.5 Né le espressioni su cui si è maggiormente concentrata la sentenza nel tentativo di giustificare le proprie conclusioni è entrato nelle case senza alcun permesso e ha perseguitato - al di là delle contestazioni difensive sull’esatta riproduzione giornalistica di quanto effettivamente dichiarato dall’imputato - sono idonee a tal fine, in quanto estrapolate dal contesto di un discorso teso a confutare non la legittimità formale dell’indagine, bensì quella sostanziale sulla base di una valutazione a posteriori del suo esito. 3.6 Esito che è un fatto incontestabile e che, se proporzionato alla portata dell’indagine di cui si tratta ed al clamore destato all’epoca, costituisce una valida piattaforma per l’impianto del legittimo esercizio della critica, tanto più se proveniente da un soggetto che gli effetti della stessa ha dovuto subire e che dunque si ritiene - a torto o a ragione, questo è irrilevante - ingiustamente danneggiato dal proprio coinvolgimento nella medesima o da quello dell’associazione che rappresenta o rappresentava al tempo. Ed in tal senso la Corte territoriale ha travisato i riferimenti fatti con il gravame di merito alla richiesta di archiviazione presentata dalla Procura di Roma ed al provvedimento con il quale il giudice delle indagini preliminari l’ha accolta, di cui deve essere colta e valutata l’idoneità a fondare l’opinione del ricorrente non già sull’illegittimità formale degli atti d’indagine, invero nemmeno prospettata, quanto sulla sua prospettata inconsistenza. 3.7 La Corte territoriale ha poi ritenuto - pervero in via residuale, giacché il difetto di continenza ha costituito la prima ratio di decisione - nemmeno veritieri i fatti da cui l’imputato avrebbe tratto spunto. Quanto ai provvedimenti giudiziari già si è detto quale sia stato il limite logico dell’approccio seguito dai giudici del merito. Con riguardo invece all’affermazione relativa alla prescrizione dei reati, è indubbio che con i motivi d’appello il ricorrente abbia voluto fare riferimento alle dichiarazioni rilasciate alla stampa dal successore della persona offesa al momento del suo insediamento ed alle lamentele da questi sommessamente avanzate in merito all’elevato numero di pendenze rilevate nell’ufficio. È sì vero che il dott. Co. non ha evocato la prescrizione di procedimenti, ma l’uso del termine da parte dell’imputato deve ancora una volta essere considerato nel contesto complessivo del discorso ed alla luce dell’articolo di stampa che tali dichiarazioni ha riportato nella sua globalità considerato, valutandone la sua idoneità a costituire dunque una base fattuale idonea a giustificare i commenti critici dell’imputato, il che non risulta aver fatto la Corte territoriale. 4. Alla luce delle rilevate lacune motivazionali la sentenza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catanzaro per nuovo esame ai fini del quale il giudice del rinvio si atterrà ai principi formulati in precedenza. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’esercizio del diritto di critica con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Catanzaro. Rigetta nel resto il ricorso.