Basterà la grave forma di autismo del figlio per la concessione degli arresti domiciliari?

Nonostante la delicata situazione del figlio di 4 anni, il Tribunale non molla e non gli concede gli arresti domiciliari. Sarà la Cassazione a fornire uno spunto di riflessione sulle esigenze dell’imputato momentaneamente detenuto con l’accusa, oltre che di estorsione, anche di partecipazione ad associazione mafiosa.

Così gli Ermellini nella sentenza n. 36873/17 depositata il 25 luglio. Il caso. L’imputato, accusato dei reati di partecipazione ad associazione mafiosa ed estorsione aggravata, ricorre per cassazione avverso il provvedimento che confermava il rigetto dell’istanza di sostituzione della misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari. In particolare, l’imputato deduce la violazione dell’art. 275, comma 4, c.p.p. in relazione al fatto che i Giudici hanno ritenuto non dimostrata l’assoluta impossibilità della madre di prestare assistenza al figlio di 4 anni, sicché hanno escluso la sussistenza delle esigenze cautelari eccezionali. Esigenze del minore in tenera età. Secondo gli Ermellini il ricorso è meritevole di accoglimento poiché sembra che il Tribunale non abbia considerato la particolarità del caso. Al bambino, infatti, era stata diagnosticata una forma grave di autismo per la quale occorreva il mantenimento di un rapporto con entrambi i genitori. Pertanto, il Collegio sostiene che la tesi della non dimostrata impossibilità della madre di potersi occupare del minore è del tutto irrilevante. In tal senso, gli stessi Giudici hanno affermato l’assoluta prevalenza delle esigenze psicofisiche dei soggetti in tenera età e, dunque, la motivazione offerta dal Tribunale in riferimento alla provata sussistenza delle eccezionali esigenze cautelari deve ritenersi debole e non sufficiente. Per questi motivi, la Cassazione annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 11 maggio – 25 luglio 2017, n. 36873 Presidente Conti – Relatore Fidelbo Ritenuto in fatto 1. Con la decisione in epigrafe indicata il Tribunale di Lecce ha rigettato l’appello ex art. 310 cod. proc. pen. proposto da P.R. , imputato dei reati di partecipazione ad associazione mafiosa ed estorsione aggravata ai sensi dell’art. 7 d.l. n. 152 del 1991, avverso l’ordinanza con cui la Corte d’appello di Lecce aveva respinto l’istanza di sostituzione della misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari. La richiesta di sostituzione della misura carceraria era stata formulata esclusivamente in ragione delle condizioni del figlio A. , di età inferiore a quattro anni, affetto da disturbo dello spettro autistico grave, patologia in relazione alla quale era stato consigliato un trattamento riabilitativo terapeutico intensivo, con coinvolgimento di entrambi i genitori. Il Tribunale ha, innanzitutto, ritenuto la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza che, ai sensi dell’art. 275, comma 4, cod. proc. pen., giustificano il mantenimento della custodia in carcere anche in presenza di figli minori di sei anni che necessitano di assistenza. Inoltre, i giudici hanno rilevato che nel caso in esame la difesa non ha dimostrato la assoluta impossibilità della madre di prestare assistenza al figlio A. . Più precisamente, hanno spiegato che sulla base del programma terapeutico predisposto dai medici che hanno in cura il minore la presenza contemporanea di entrambi nel corso del trattamento riabilitativo risulta essere una condizione auspicabile, ma non imprescindibile, sicché anche da questo punto di vista deve escludersi che ricorra una condizione di impossibilità oggettiva e assoluta della madre, con la conseguenza che deve escludersi la dedotta violazione dell’art. 275, comma 4, cod. proc. pen 2. Nell’interesse dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione il suo difensore di fiducia, deducendo la violazione dell’art. 275, comma 4, cod. proc. pen. e l’illogicità della motivazione. In particolare, il ricorrente innanzitutto contesta la motivazione nel punto in cui esclude che non sia stata dimostrata la assoluta impossibilità della madre di prestare assistenza al minore e assume che il superiore interesse del minore, che nel caso in esame è collegato al mantenimento di un rapporto con entrambi i genitori in funzione di un programma terapeutico che prevede il necessario - e non solo auspicabile - coinvolgimento di entrambe le figure genitoriali, non può considerarsi recessivo rispetto ad esigenze di cautela sociale, che trovano rilevanza solo in relazione al reato associativo, peraltro contestato per un arco cronologico chiuso e risalente nel tempo, che avrebbero dovuto far escludere la sussistenza delle esigenze cautelari eccezionali. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati. 1.2. Nella sua decisione il Tribunale non sembra aver preso in considerazione la particolarità del caso, in cui, sulla base di un programma terapeutico medico, è stato ritenuto necessario per il figlio minore del ricorrente, affetto da disturbo dello spettro autistico grave, il mantenimento di un rapporto con entrambi i genitori, sicché la motivazione con cui si è ritenuto che non sia stata offerta la dimostrazione di una situazione di impossibilità oggettiva della madre di potersi occupare del minore appare irrilevante, se, come affermano gli stessi giudici, con l’art. 275, comma 4 cod. proc. pen., il legislatore ha dato assoluta prevalenza alle esigenze psicofisiche dei soggetti in tenera età. La disposizione citata prevede una deroga rispetto alla tutela degli interessi del minore, rappresentata dalla presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Ebbene, proprio rispetto a questa situazione il Tribunale ha offerto una motivazione debole, che non consente di ritenere provata la sussistenza delle eccezionali esigenza cautelari infatti i giudici si sono limitati a riferire del ruolo che P. avrebbe avuto nell’ambito del sodalizio mafioso e della parentela della moglie dell’indagato con un capo clan, tale Salvatore Padovano, ma nessuna seria motivazione risulta essere stata offerta in ordine al grado delle esigenze cautelari, che in questo modo, sono state solo affermate, ma non dimostrate. 2. Il dedotto vizio di motivazione giustifica l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Lecce per nuovo esame. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Lecce, Sezione per le impugnazioni in materia cautelare. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen