Chiariti i rapporti tra il delitto di emissione di f.o.i. e di distruzione o occultamento della documentazione contabile

Il reato dell’art. 10 d.lgs. n. 74/2000 si configura anche per la ditta emittente le fatture per operazioni inesistenti, poiché le fatture per operazioni inesistenti servono a ricostruire la movimentazioni fiscale sia della ditta emittente, sia della ditta che le utilizza, e quindi la lesione del bene giuridico della trasparenza fiscale è integrata in tutti i casi in cui la distruzione o l’occultamento della documentazione contabile dell’impresa non consenta o renda difficoltosa la ricostruzione delle operazioni, anche relativamente alle fatture per operazioni inesistenti in quanto l’accertamento della inesistenza delle operazioni può avvenire quasi esclusivamente con l’analisi della documentazione e poi con i riscontri in fatto .

La Cassazione con la medesima pronuncia sent. n. 36049/2017, depositata il 21 luglio scorso ha statuito l’ulteriore principio di diritto I reati previsti dagli artt. 8 e 10 d.lgs. n. 74/2000, emissione di fatture per operazioni inesistenti e occultamento o distruzione di documenti contabili, sono distinti e possono concorrere, senza che l’occultamento o la distruzione di documenti contabili assorba il diverso reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, poiché tra le due ipotesi non sussiste nessun rapporto di specialità art. 15 c.p. , in considerazione della diversità dell’elemento oggettivo . Il caso di specie. La Terza Sezione della Cassazione giunge alla affermazione di due importanti principi in diritto dalla disamina di una vicenda, in fatto, invero semplice. Nel corso di una verifica fiscale incrociata viene individuata la postazione di lavoro di un dipendente di una ditta dotata di personal computer all’interno del quale viene rinvenuto un file con una serie di fatture. Successivi accertamenti consentono di acclarare che l’emittente non aveva alcuna documentazione contabile di dette fatture che, peraltro, erano relative ad operazioni inesistenti. A suo carico ne consegue la contestazione sia del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, che del delitto di distruzione o occultamento della documentazione contabile. La condanna in primo grado per entrambe le fattispecie viene annullata dalla Corte d’Appello di Palermo limitatamente alla fattispecie di cui all’art. 8, rispetto alla quale risulta maturato il decorso del termine prescrizionale, mentre viene confermata per la violazione dell’art. 10 d.lgs. 74/2000. Avverso la sentenza di condanna ricorre per cassazione l’imputato che deduce, da un lato, come le operazioni inesistenti non possano costituire l’oggetto materiale della condotta di cui all’art. 10 e, comunque, in via subordinata l’insussistenza del possibile concorso fra la norma di cui al predetto art. 10 con quella di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74/2000. La prima questione sul tappeto. Non banale appare la prima questione in diritto prospettata dal ricorrente. Si duole, infatti, l’imputato della circostanza che la Corte d’Appello abbia ritenuto astrattamente possibile che oggetto della condotta di occultamento e distruzione della documentazione contabile – integrante la violazione dell’art. 10 d.lgs. n. 74/2000 - possano essere anche fatture per operazioni inesistenti. La questione viene risolta in modo tanto deciso quanto forse un po' sbrigativo dalla Suprema Corte, che evidenzia come il bene giuridico tutelato dalla fattispecie di cui all’art. 10 sia quello della trasparenza fiscale, che appare leso anche nel caso in cui i documenti distrutti od occultati siano relativi a fatture per operazioni inesistenti. Qualche perplessità suscita il fatto che nessuna attenzione venga rivolta dagli Ermellini alla verifica della sussistenza del dolo specifico di evasione richiesto dalla fattispecie astratta nel caso concreto. Sicuramente degno di pregio l’argomento speso dalla Suprema Corte, ossia che di sovente l’accertamento dell’inesistenza delle operazioni avviene attraverso l’analisi della documentazione e con i successivi riscontri in fatto, ma sorge spontaneo il dubbio, in chi scrive, della conciliabilità di detto assunto con il principio nemo tenetur se detegere . La questione, dunque, meriterebbe forse un maggior approfondimento, rispetto a quanto fatto dalla pronuncia in esame. Il problema del concorso di norme. Con altro motivo deduceva il ricorrente il problema della possibilità del concorso del delitto di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74/2000 con quello di cui all’art. 8 medesimo decreto, chiedendo che la questione venisse rimessa alle Sezioni Unite. Sul punto rileva la Corte che trattasi di due norme che non necessariamente, ma solo eventualmente possono concorrere, in quanto è evidente che le condotte che ne integrano elemento costitutivo possono essere distinte ovvero coesistere, come nel caso in esame, a seconda delle diverse modalità di commissione dei reati. La premessa appena compiuta consente agli Ermellini di affermare che fra le due norme non sussiste alcun rapporto di specialità ai sensi dell’art. 15 c.p., proprio in quanto diverso è l’elemento oggettivo delle due fattispecie e pertanto trattasi di due reati distinti che ben possono concorrere. Viene, dunque, escluso che l’occultamento o la distruzione di documentazione contabile possa assorbire il delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti ed affermata pertanto la possibilità della applicazione concorrente delle due norme. Anche sul punto, tuttavia, la soluzione fornita dagli Ermellini lascia qualche perplessità. La Corte, infatti, neppure si pone il problema di verificare l’operatività della clausola di riserva contenuta nello stesso art. 10, secondo cui il reato sussiste solo laddove il fatto non costituisca più grave reato . La questione non appare meramente accademica, anche perché, al tempo dei fatti oggetti di giudizio, la fattispecie di cui all’art. 10 era punita con la reclusione da sei mesi a cinque anni – pena applicabile ai sensi dell’articolo 2 c.p. al caso di specie - e dunque con trattamento sanzionatorio sicuramente meno grave rispetto a quello di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74/2000, punito con la pena della reclusione da un anno e 6 mesi a 6 anni.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 febbraio – 21 luglio 2017, n. 36049 Presidente Cavallo – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. La Corte d’Appello di Palermo con sentenza del 1 luglio 2016, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Palermo 27 febbraio 2015 assolveva V.G. dai reati sub E, dell’imputazione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato - art. 10 ter, d.lgs. 74/2000 - e dal capo C dell’imputazione per prescrizione - art. 8, d.lgs. 74/2000 -, e rideterminava la pena per il residuo reato in anni 1 e mesi 7 di reclusione, art. 10 d.lgs. 74 del 2000. Accertato in omissis , data del verbale di constatazione. 2. L’imputato propone ricorso per Cassazione, personalmente, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c. p. p. 2.1. Violazione di legge, articoli 192, comma 2, cod. proc. pen. e 10 d.lgs. 74 del 2000. La sentenza impugnata ha ritenuto che la sussistenza della condotta del reato di cui all’articolo 10, d.lgs. 747/000 emerga pienamente dalle dichiarazioni del teste T. , luogotenente della Guardia di Finanza dichiarazioni relative alla verifica fiscale incrociata eseguita in data 23 marzo 2010. Nel corso della verifica della ditta individuale di Ti.An. era rinvenuta una postazione di lavoro, con p.c., in uso ad un dipendente, e in un file c’erano le fatture ritenute emesse dalla ditta del ricorrente. La sentenza afferma che le fatture furono riconosciute dal ricorrente, ma in effetti non tutte le fatture sono state riconosciute dall’imputato. Il ricorrente, inoltre, non è nemmeno in grado di redigere le fatture al computer tanto è che ha sempre utilizzato il blocco fatture, da compilare a mano. Tale circostanza è stata confermata anche dal teste S. . Inoltre nel caso in esame l’asserito occultamento delle scritture contabili nel periodo di riferimento, non integra una condotta idonea a non consentire di determinare il risultato economico dell’operazione connessa alla documentazione occultata o distrutta, ciò in considerazione del fatto che dette fatture, proprio secondo la ricostruzione del Tribunale e accolta dalla Corte d’appello si riferirebbero ad operazioni inesistenti, pertanto intrinsecamente non concorrono a ricostruire il volume di affari e dei redditi dell’impresa. Inoltre è opportuno rimettere alle Sezioni Unite della Corte la questione sulla possibile sussistenza di un concorso tra il reato di cui all’articolo 8, e quello dell’articolo 10, d.lgs. 74/2000. Risulta peraltro errato anche il riferimento alla data di consumazione del reato, quella del 23 marzo 2010, relativa al giorno di redazione del processo verbale di constatazione, processo che conclude le operazioni di verifica invece il tempo del commesso reato deve individuarsi nel giorno di inizio della verifica fiscale, e cioè il 23 luglio 2009. 2.2. Violazione di legge, art. 2 e 133 del cod. pen La riforma dei reati tributari, ad opera del d.lgs. 158 del 2015, ha comportato un aumento della pena per il reato in oggetto, da sei mesi a cinque anni a un anno e sei mesi a sei anni . L’aumento di pena non deve applicarsi al ricorrente per aver commesso il fatto in data anteriore alla riforma, articolo 2 cod. pen La pena applicata dalla corte d’appello appare eccessiva relativamente ai criteri di determinazione della pena di cui all’articolo 133 cod. pen Ha chiesto, quindi, l’annullamento della decisione impugnata. Considerato in diritto 3. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza del motivo e per la sua genericità. In tema di reati tributari, il delitto di cui all’art. 10 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, tutelando il bene giuridico della trasparenza fiscale, è integrato in tutti i casi in cui la distruzione o l’occultamento della documentazione contabile dell’impresa non consenta o renda difficoltosa la ricostruzione delle operazioni, rimanendo escluso solo quando il risultato economico delle stesse possa essere accertato in base ad altra documentazione conservata dall’imprenditore e senza necessità di reperire aliunde elementi di prova. Sez. 3, n. 20748 del 16/03/2016 - dep. 19/05/2016, Capobianco, Rv. 26702801 . Nel nostro caso la documentazione non è stata reperita, e l’emissione delle fatture risultava dalla verifica del computer della ditta utilizzatrice delle fatture. La sentenza impugnata sul punto è adeguatamente motivata, immune da contraddizioni e manifeste illogicità e rileva come le due ditte erano sostanzialmente contigue, ubicate nello stesso immobile il riconoscimento integrale o anche solo parziale delle fatture, risulta non determinante per la decisione. 3.1. Il problema posto dal ricorrente della configurabilità, in astratto, del reato di occultamento ex art. 10 d.lgs. 74 del 2000 comporti dall’emittente delle fatture per operazioni inesistenti, deve risolversi con la sicura affermazione della responsabilità, poiché le fatture per operazioni inesistenti servono a ricostruire la movimentazione fiscale sia della ditta emittente e sia della ditta che le utilizza, e quindi il bene giuridico, della trasparenza fiscale, è leso in tutti i casi in cui la distruzione o l’occultamento della documentazione contabile dell’impresa non consenta o renda difficoltosa la ricostruzione delle operazioni, anche relativamente alle fatture per operazioni inesistenti in quanto l’accertamento dell’inesistenza delle operazioni può avvenire quasi esclusivamente con l’analisi della documentazione e poi con i riscontri in fatto . Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto Il reato dell’art. 10 d.lgs. 74 del 2000 si configura anche per la ditta emittente le fatture per operazioni inesistenti, poiché le fatture per operazioni inesistenti servono a ricostruire la movimentazione fiscale sia della ditta emittente e sia della ditta che le utilizza, e quindi la lesione del bene giuridico della trasparenza fiscale, è integrata in tutti i casi in cui la distruzione o l’occultamento della documentazione contabile dell’impresa non consenta o renda difficoltosa la ricostruzione delle operazioni, anche relativamente alle fatture per operazioni inesistenti in quanto l’accertamento dell’inesistenza delle operazioni può avvenire quasi esclusivamente con l’analisi della documentazione e poi con i riscontri in fatto . 4. Anche l’altra questione posta con il ricorso risulta manifestamente infondata, nonché generica la possibilità del concorso tra le due ipotesi previste dall’art. 8 e dall’art. 10 del d.lgs. 74 del 2000, e la rimessione della relativa questione alle Sezioni Unite. La questione, invero, non è stata oggetto di motivo di appello, ma trattandosi di questione di diritto la stessa deve comunque sinteticamente affrontarsi. Le condotte dell’art. 8 e dell’art. 10 sono ben distinte e non necessariamente chi emette fatture per operazioni inesistenti commette anche il diverso reato di cui all’art. 10 del d.lgs. 74 del 2000. Ne consegue che i due reati,essendo diverse le condotte possono concorrere, non essendoci nessuna incompatibilità tra le due condotte, che possono essere distinte o coesistere, a seconda delle modalità di commissione dei reati. Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto I reati previsti dagli art. 8 e 10 del d.lgs. 74 del 2000, emissione di fatture per operazioni inesistenti e occultamento o distruzione di documenti contabili, sono distinti e possono concorrere, senza che l’occultamento o la distruzione di documenti contabili assorba il diverso reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, poiché tra le due ipotesi non sussiste nessun rapporto di specialità art. 15 cod. pen. , in considerazione della diversità dell’elemento oggettivo . 5. Anche l’ulteriore motivo sul trattamento sanzionatorio è manifestamente infondato. Il ricorrente ritiene sia stata applicata la norma modificata, con l’aumento di pena d.lgs. 158 del 2015 , ma questo non risulta dalla sentenza impugnata poiché la pena rientra nei limiti edittali della previgente disciplina. Infatti la Corte di appello motiva adeguatamente il trattamento sanzionatorio in relazione alla gravità del reato, desunta dal considerevole danno cagionato all’erario, ed alla significativa capacità a delinquere dell’imputato, desunta dai suoi precedenti penali. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex art. 616 cod. proc. pen P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.