Sindaco fa carte false per un centro di accoglienza per rifugiati e finisce agli arresti domiciliari

Il giudizio di prognosi sfavorevole sul pericolo di reiterazione dei delitti della stessa specie di quelli per i quali si procede non è impedito dalla circostanza che l’incolpato sia stato sospeso dall’ufficio o dalla funzione nell’esercizio della quale ha compiuto la condotta criminosa.

Il caso. L’indagato, classe ’38 e Sindaco di un Comune lucano, è accusato di plurimi reati, tra loro collegati condotta fraudolenta ai danni dello stato, falso ideologico, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e corruzione. In particolare, secondo l’accusa, l’imputato, nella domanda di ammissione al contributo per la costituzione e gestione di un centro d’accoglienza per richiedenti protezione internazionale, centro da allestire nel territorio da lui amministrato, avrebbe indicato una serie di lavoratori dipendenti, dotati delle competenze professionali necessarie e, in realtà, mai impiegati presso il centro, al fine di ottenere l’erogazione del contributo. Inoltre, l’imputato era accusato di avere falsamente attestato la conformità alle normative urbanistiche e di sicurezza della struttura destinata ad accogliere i richiedenti asilo. Completa il quadro l’accusa di aver eluso gli obblighi stabiliti dal Codice degli appalti nell’affidamento nel servizio di assistenza integrata ai richiedenti asilo e, infine, di aver pattuito con la cooperativa affidataria, quale prezzo” dell’affidamento del servizio di accoglienza, l’assunzione di alcune persone prive delle necessarie qualifiche e vicine” al Sindaco. Arresti domiciliari in sostituzione del divieto di dimora. A fronte della richiesta di applicare una misura cautelare, il giudice per le indagini preliminari inizialmente riteneva adeguata la misura del divieto di dimora. Su appello del pubblico ministero, il Tribunale sostituiva la misura cautelare applicando quella più gravosa degli arresti domiciliari. Il Sindaco proponeva ricorso per cassazione per l’annullamento dell’ordinanza. La sospensione dalla carica. Con decreto prefettizio il Sindaco era stato sospeso dalla carica ai sensi del d.lgs. n. 255/2012 al suo posto era stato nominato un commissario prefettizio. Sussistenza e persistenza delle esigenze cautelari. La Suprema Corte, rigettando il ricorso, evidenzia che il Tribunale aveva motivato la sussistenza delle esigenze cautelari che giustificavano l’aggravamento della misura cautelare disposta. Prognosi di pericolosità. Il Tribunale valorizzava le anomalie macroscopiche del procedimento e le modalità delle condotte delinquenziali riferibili all’imputato che, tra l’altro, tenne all’oscuro il funzionario comunale responsabile della domanda di contributo per evitare che intralciasse l’attività illecita , elementi dai quali emergeva la caratura criminale del soggetto. Persistente capacità di influenzare l’andamento dell’amministrazione. Benché allontanato dalla sede comunale, non potendo più accedere agli uffici comunali per esercitare le sue funzioni, secondo il Tribunale sussisteva il rischio che l’imputato potesse usufruire dell’opera di funzionari comunali compiacenti per manipolare le ulteriori gare pubbliche che saranno bandite. Conferme successive. Due dati successivi alla misura cautelare genetica corroborano la prognosi di pericolosità del soggetto in seguito all’ordinanza che disponeva il divieto di dimora, infatti, l’imputato si avvalse di una persona di fiducia per prendere visione della posta istituzionale del Comune inoltre, il figlio, senza averne titolo, convocò il personale del centro di accoglienza. Insomma, i giudici sembrano affermare la necessità di privare l’indagato della libertà di movimento idonea a gestire quei contatti e a realizzare le condotte di cui è gravemente indiziato. La sospensione dalla carica non allevia le esigenze cautelari. Presupposto del decreto prefettizio di sospensione dalla carica era il fatto che al Sindaco fosse stata applicata la misura cautelare coercitiva, vale a dire gli arresti domiciliari si tratta, infatti, di una sospensione di diritto”. In forza di un meccanismo circolare, osserva la Corte di cassazione, se venisse meno la misura cautelare applicata e, prima ancora, logicamente, se venissero meno le esigenze cautelari a fondamento della stessa , verrebbe travolto il provvedimento di sospensione che, secondo l’imputato, farebbe venir meno l’esigenza cautelare del pericolo della reiterazione delittuosa. Neppure la sospensione del Consiglio comunale recide i rapporti con l’amministrazione. Anche la sospensione del Consiglio comunale ad opera di altro decreto prefettizio e conseguente attribuzione interinale dei poteri spettanti all’organo politico al commissario prefettizio è ritenuta irrilevante. Rileva la Corte che si tratta di un provvedimento con efficacia provvisoria ed effetti temporalmente circoscritti inoltre, poiché collegato a valutazioni di soggetti diversi dall’autorità giudiziaria, non determina la definitiva recisione dei rapporti tra Sindaco e apparato amministrativo tale da poter far venir meno, in astratto, la misura cautelare degli arresti domiciliari per il primo cittadino”. Solo gli arresti domiciliari sono adeguati. Attualizzando quel giudizio di adeguatezza che costituisce il metro di valutazione della legittimità della misura cautelare, i giudici ritengono che solo gli arresti domiciliari siano adeguati, non ritenendo sufficiente la sospensione dalla carica che, come visto, verrebbe travolta dalla scelta di disporre una misura cautelare non coercitiva. Quanto affermato dai giudici costituisce applicazione del principio interpretativo secondo cui, nei reati contro la pubblica amministrazione, il giudizio di prognosi sfavorevole sul pericolo di reiterazione dei delitti della stessa specie di quelli per i quali si procede non è impedito dalla circostanza che l’incolpato sia stato sospeso dall’ufficio o dalla funzione nell’esercizio della quale ha compiuto la condotta criminosa. Il giudice deve indicare in modo puntuale e logico le circostanze di fatto che rendono probabile che l’indagato possa continuare a realizzare condotte criminose analoghe mentre è insufficiente rinviare alla temporaneità della misura disciplinare. Tale obbligo è stato osservato nel caso di specie, pertanto, nulla è rimproverabile al giudice cautelare. L’assenza del difensore all’udienza camerale. L’altro motivo a cui la difesa ha affidato il ricorso riguardava un preteso vizio procedurale all’udienza camerale fissata per decidere dell’appello proposto dal pubblico ministero, il difensore dell’imputato non era presente avendo aderito all’astensione degli avvocati dalle udienze proclamato per quella data. Il Tribunale aveva proceduto ugualmente sul presupposto che nell’udienza camerale non vi sono parti necessarie. L’astensione non è legittimo impedimento. La Suprema Corte osserva che l’astensione del difensore non rientra nell’istituto del legittimo impedimento costituisce invece espressione dell’esercizio di un diritto di libertà che deve essere attuato osservando le prescrizioni formali e sostanziali indicate dalle fonti regolatrici. Non è possibile astenersi nelle udienze relative a misure cautelari personali. Il codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati è fonte secondaria con effetti erga omnes vincolante anche il giudice . Tale codice esclude la possibilità di astensione dalle udienze relative a misure cautelari personali senza distinzioni. Nella fattispecie oggetto dell’udienza era l’aggravamento della misura cautelare e, applicando le norme di riferimento, correttamente il Tribunale ha ritenuto non sussistessero i presupposti per l’astensione del difensore e per il rinvio dell’udienza.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 14 giugno – 20 luglio 2017, n. 35937 Presidente Carcano – Relatore Costanzo Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 4/04/2017, il Tribunale di Potenza, accogliendo l’appello del Pubblico ministero, in sostituzione del divieto di dimora disposto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Potenza, ha applicato a M.G. gli arresti domiciliari, sospendendo l’ordinanza ex art. 310, comma 3, cod. proc. pen M. , quale Sindaco del Comune di Muro Lucano, è accusato di condotta fraudolenta ai danni dello Stato ex artt. 61 n. 9, 110, e 640 bis cod. pen., per avere indicato - nella domanda di ammissione al contributo per la costituzione e gestione di un centro di accoglienza per richiedenti e titolari di protezione internazionale ex lege n. 189 del 30 luglio del 2002 da allestire nel territorio -una serie di lavoratori dipendenti, dotati delle necessarie competenze professionali, in realtà mai impiegati presso il centro, al fine di ottenere l’erogazione del contributo capo A falso ideologico ex artt. 81, comma 2, e 479 cod. pen. per aver falsamente attestato la conformità della struttura destinata ad accogliere i richiedenti asilo alle normative urbanistiche e di sicurezza capo B turbata libertà del procedimento di scelta del contraente ex artt. 110 e 353-bis cod. pen., per aver eluso gli obblighi stabiliti dal Codice degli appalti d.lgs. 163/2006 nell’affidamento del servizio di assistenza integrata ai richiedenti asilo capo C corruzione ex artt. 110, 319, 319 bis, 321 cod. pen. per aver pattuito, come contropartita dell’affidamento del servizio di accoglienza, l’assunzione da parte della cooperativa affidataria di una serie di soggetti, privi delle necessarie qualifiche e a lui legati capo D . 2. Nel ricorso di M. si chiede l’annullamento dell’ordinanza, deducendo a violazione degli artt. 97 e 178 cod. proc. pen. per non avere differito l’udienza camerale, nonostante l’adesione del difensore alla astensione degli avvocati dalle udienze, sul presupposto che nell’udienza camerale non vi sono parti necessarie b violazione dell’art. 274 cod. proc. pen. per l’assenza di esigenze cautelari attuali - necessario presupposto per il mantenimento della misura cautelare e, a fortiori, dell’aggravamento disposto - perché M. come pure il consiglio comunale è stato sospeso dalla carica di sindaco ed è stato nominato un commissario prefettizio, così venendo meno il pericolo di recidiva, tanto più se si considera l’incensuratezza dell’indagato sino alla attuale età di quasi 80 anni. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato. L’astensione del difensore dalle udienze non è riconducibile nell’ambito dell’istituto del legittimo impedimento, perché è espressione dell’esercizio di un diritto di libertà, il cui corretto esercizio, attuato in ottemperanza a tutte le prescrizioni formali e sostanziali indicate dalle pluralità delle fonti regolatrici, impone il rinvio anche delle udienze camerali a partecipazione non necessaria. Sez. 5, n. 4819 del 17/11/2015, dep. 2016, Rv. 265928 Sez. 6, n. 47285 del 12/11/2015, Rv. 265487 . Tuttavia, l’art. 4 del Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, che è fonte secondaria con effetto erga omnes e vincolante anche il giudice Sez. U, n. 40187 del 27/03/2014, Rv. 259926 , esclude in maniera inequivocabile la possibilità di astensione dalle udienze afferenti a misure cautelari personali, senza ulteriori distinzioni Sez. U, n. 26711 del 30/05/2013 Rv. 255346 . Nella fattispecie, poiché oggetto dell’udienza era la richiesta di aggravio della misura cautelare divieto di dimora disposta dal Giudice per le indagini preliminari, il Tribunale ha correttamente ritenuto che non sussistessero i presupposti per l’astensione del difensore e per il rinvio della trattazione. 2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato. Il Tribunale ha congruamente motivato la sussistenza di esigenze cautelari giustificanti la più grave misura degli arresti domiciliari, non solo alla luce della caratura criminale dell’indagato , emersa dalle macroscopiche anomalie del procedimento e dalle modalità delle condotte delinquenziali riferite al M. il quale giunse finanche a tenere all’oscuro il funzionario responsabile della domanda di ammissione al contributo per evitare che intralciasse l’attività illecita , ma anche dal rischio che il M. , pur non potendo più accedere agli uffici comunali per esercitare le sue funzioni, utilizzi l’opera di funzionari compiacenti del Comune di Muro Lucano per manipolare le ulteriori gare pubbliche che saranno bandite . Questa prognosi di pericolosità, legata alla persistente capacità del M. di influenzare l’andamento dell’amministrazione, risulta corroborata, secondo il Tribunale pagg. 15-16 dell’ordinanza impugnata , da due dati ben circostanziati il M. , successivamente all’applicazione del divieto di dimora, si avvalse di persona di fiducia per leggere la posta istituzionale del Comune e suo figlio convocò, pur non avendone titolo, il personale del Centro di accoglienza. Le suindicate esigenze cautelari non vengono inficiate dal fatto che il M. sia stato sospeso ex art. 11 d.lgs. 31 dicembre 2012 n. 235 dalla carica di sindaco con decreto prefettizio del 10/2/2017 che peraltro non risulta essere stato prodotto al Tribunale del riesame . L’unico presupposto di tale provvedimento è stato proprio il fatto che al sindaco di Muro Lucano fosse stato applicata una misura coercitiva, trattandosi di sospensione di diritto. Non è quindi possibile affermare che siano cessate le esigenze cautelari che giustificano la misura applicata giacché il venir meno di quest’ultima travolgerebbe, con un meccanismo circolare, proprio quel provvedimento di sospensione che secondo il ricorrente ha fatto cessare il pericolo di recidiva. Parimenti irrilevante è l’intervento del decreto prefettizio del 14/3/2017 di sospensione del consiglio comunale e di attribuzione provvisoria dei poteri spettanti agli organi politici dell’ente ad un commissario prefettizio si tratta di un provvedimento amministrativo con efficacia interinale ex art. 141, comma 7, d.lgs. 15 gennaio 2000 n. 267, i suoi effetti temporalmente circoscritti e il suo essere collegato a valutazioni di soggetti diversi dall’Autorità giudiziaria non determinano quella definitiva recisione dei rapporti tra il Sindaco e l’apparato amministrativo che, per l’ordinanza impugnata, potrebbero escludere la necessità di una misura cautelare. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.