La natura collettiva del bene ambientale ne giustifica una tutela anticipata

La Cassazione ripercorre la normativa in tema di emissioni e tutela ambientale

con la sentenza n. 34517/17 depositata il 14 luglio. Il caso. Il GUP condannava l’imputato alla pena di 600 euro di ammenda per il reato di cui all’art. 279, comma 2, d.lgs. n. 152/06, per aver violato le prescrizioni che imponevano di comunicare la data di riavvio dell’impianto di sansificio, di cui era amministratore unico. Avverso tale pronuncia l’imputato proponeva Appello, ma essendo l’impugnazione inammissibile in Appello, veniva convertita in ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 568, comma 5, c.p.c Il ricorrente lamentava che la sola fuoriuscita di fumi dal camino dell’azienda non fosse indicativa del fatto che l’impianto fosse nuovamente in esercizio. Le emissioni atmosferiche. La Corte nel decidere sulla questione in esame ripercorre il quadro normativo in materia ambientale, affermando che l’art. 279, comma 2, d.lgs. n. 152/06 debba essere letto in posizione di continuità rispetto alla disciplina in materia di inquinamento atmosferico di cui all’art. 24, comma 4, d.p.r. n. 203/88. La ratio del legislatore, nelle sopracitate norme, è quella, da una parte, di assicurare il rispetto dei valori limite di emissione e di qualità dell’aria e, dall’altra, di permettere alle autorità preposte un’efficace tutela dell’ambiente e della salute che l’espletamento di determinate attività può porre in pericolo. Così facendo si raggiunge una tutela anticipata del bene ambientale giustificata dalla natura collettiva dell’interesse in esame, tale tutela si realizza, infatti, con il presidio della sanzione penale, non soltanto rispetto alle condotte direttamente offensive del bene in questione, ma anche rispetto ai dispositivi di controllo amministrativo, finalizzati al monitoraggio, al contenimento ed alla regolamentazione delle situazioni potenzialmente causative di fenomeni inquinanti . In tale ottica l’obbligo di comunicazione della data di ripristino e di riavvio degli impianti, nel caso di specie, era evidentemente volto a consentirne il controllo delle condizioni di operatività dell’impianto e quindi al raggiungimento di finalità di prevenzione e contenimento dell’inquinamento. Per questi motivi la Cassazione dichiara il ricorso inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 marzo – 14 luglio 2017, n. 34517 Presidente Amoroso – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Vibo Valentia in data 4/11/2014, E.E.M. era stata condannata alla pena di 600,00 Euro di ammenda in quanto riconosciuta colpevole del reato di cui all’art. 279, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, accertato il 22/03/2012, per avere, nella qualità di amministratore unico della Sabolio S.r.l., nell’esercizio di un impianto adibito a sansificio, violato le prescrizioni impartite dall’Arpacal di OMISSIS con la nota del 9/03/2012, che imponevano di comunicare, prima di procedervi, la data di riavvio degli impianti. 2. Con ordinanza emessa in data 5/07/2016 la Corte d’appello di Catanzaro trasmise gli atti a questa Suprema Corte in quanto la pronuncia di primo grado, avendo condannato l’imputata alla sola pena dell’ammenda, doveva ritenersi inappellabile, giusta l’art. 593, comma 3, cod. proc. pen L’impugnazione, inammissibile come appello, deve però essere convertita in ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen Secondo l’impugnante, la sentenza gravata avrebbe illogicamente dedotto l’avvenuta ripresa dell’attività del sansificio dalla fuoriuscita di fumo dal camino della caldaia. E tuttavia, tale circostanza non sarebbe stata indicativa del fatto che l’impianto fosse nuovamente in esercizio condizione, questa, necessaria per eseguire le attività di verifica delle emissioni in atmosfera, cui le prescrizioni dell’Arpacal erano preordinate. 4. Con memoria in data 8/03/2017, la difesa ha sottolineato che se è vero che le prescrizioni di cui all’art. 279, comma 2 del d.lgs. n. 152 del 2006, possono imporre adempimenti prodromici alla messa in esercizio dell’impianto, tuttavia è in ogni caso necessario che quest’ultima abbia avuto effettivamente luogo affinché la loro inosservanza possa essere sanzionata penalmente. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato. 2. L’art. 279, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella sua attuale formulazione, stabilisce che chi, nell’esercizio di uno stabilimento, viola i valori limite di emissione o le prescrizioni stabiliti dall’autorizzazione . o le prescrizioni altrimenti imposte dall’autorità competente ai sensi del presente titolo è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino a 1.032 Euro . Tale disposizione incriminatrice si colloca in posizione di continuità rispetto alla previgente disciplina in materia di inquinamento atmosferico, che all’art. 24, comma 4 del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 sanzionava penalmente colui il quale, nell’esercizio di un nuovo impianto, non osservava le prescrizioni dell’autorizzazione o quelle imposte dalla autorità competente nell’ambito dei poteri ad essa spettanti v. Sez. 3, n. 18774 del 18/05/2010 Sez. 3, n. 4536 del 29/01/2008 Sez. 3, n. 47081 del 19/12/2007 . Attraverso la fattispecie contestata, il legislatore intende per un verso assicurare il rispetto dei valori limite di emissione e di qualità dell’aria e, per altro verso, consentire alle autorità preposte, attraverso il rilascio del titolo abilitativo e l’imposizione di specifiche prescrizioni e di obblighi di comunicazione, un controllo adeguato finalizzato ad una efficace tutela dell’ambiente e della salute che l’espletamento di determinate attività può, anche potenzialmente, porre in pericolo così Sez. 3, n. 24334 del 13/05/2014, dep. 10/06/2014, Boni e altro, in motivazione . In questo modo, l’ordinamento realizza un meccanismo di tutela anticipata del bene ambientale, pienamente giustificata dalla natura collettiva di un interesse di preminente rilievo tutela realizzata attraverso il presidio della sanzione penale non soltanto rispetto alle condotte direttamente offensive del bene in questione, ma anche rispetto ai dispositivi di controllo amministrativo, finalizzati al monitoraggio, al contenimento ed alla regolamentazione delle situazioni potenzialmente causative di fenomeni inquinanti. Tali dispositivi si connotano per l’attribuzione, in capo all’amministrazione deputata alla protezione del bene ambientale e al controllo sulle attività umane che sul medesimo impattano, di poteri discrezionali che si caratterizzano per la possibilità di articolare in maniera assai ampia le prescrizioni da imporre ai destinatari, ín modo da poter adeguare le necessità della tutela alla varietà delle situazioni eventualmente incidenti sull’ambiente e alle caratteristiche, anche tecnicamente complesse, delle strutture, produttive e non, che operano in tali contesti. A tal fine, peraltro, l’art. 278 del D.Lgs. n. 152 del 2006, prevede un potere di ordinanza in capo alle autorità preposte al controllo in caso di inosservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione, ferma restando l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 279, e delle misure cautelari disposte dall’autorità giudiziaria , stabilendo che sia nel caso in cui si manifestino o comunque si determinino situazioni di pericolo per la salute o per l’ambiente, sia nel caso di mere irregolarità, l’autorità preposta possa esercitare la diffida, assegnando un termine entro il quale eliminarle. Ovviamente, l’ampiezza delle prescrizioni, sia quelle dell’autorizzazione che quelle altrimenti imposte , non può sconfinare nell’arbitrio, sicché ove la prescrizione non sia in alcun modo ricollegabile alle esigenze di precauzione e di controllo sottese all’investitura del potere autorizzazione in capo all’amministrazione pubblica, il provvedimento sarà affetto da eccesso di potere così, con riferimento al citato art. 24, comma 4, D.P.R. n. 203 del 1988, Sez. 3, n. 4514, 3/02/2006 nonché, relativamente a fatti rientranti nell’attuale disciplina, Sez. 3, n. 29967 del 27/07/2011 . 2.1. Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha dato atto del fatto che con nota del 9/03/2012, l’Arpacal aveva prescritto all’amministratore unico della Sabolio S.r.l., individuata nell’odierna imputata, di comunicare a quel medesimo ufficio, la data di ripristino e di riavvio degli impianti nonché di adeguamento tecnico richiesto in esito ad una precedente ispezione. Ciò all’evidente fine di consentire il controllo delle condizioni di operatività dell’impianto e, conseguentemente, il raggiungimento di quelle finalità di prevenzione e contenimento dell’inquinamento che la normativa di settore si prefigge. Nondimeno, secondo quanto riferito dal teste M. , capitano del NOE di OMISSIS , in data 22, 27 e 28 marzo 2012, egli aveva avuto modo di notare, mentre transitava casualmente nelle vicinanze del sansificio, la fuoriuscita di fumo dal camino della caldaia per la produzione di vapore. E da ciò il primo giudice, con ragionamento logicamente ineccepibile, ha tratto il convincimento dell’integrazione della fattispecie contestata, sul presupposto che la descritta circostanza di fatto fosse univocamente indicativa del riavvio dell’impianto, senza che esso fosse stato preceduto da qualunque preavviso. Sui punto, la difesa deduce, in chiave critica, che la prescrizione avrebbe avuto ad oggetto non già l’avvio dell’impianto, quanto piuttosto quello del ciclo produttivo. Tale interpretazione, oltre a riguardare, all’evidenza, un profilo di mero fatto, è peraltro nitidamente in contrasto con il chiaro tenore letterale della richiamata nota dell’autorità amministrativa, che faceva genericamente rinvio al ripristino e al rinvio degli impianti tanto più che, come riconosciuto dalla stessa ricorrente, le prescrizioni dell’organo addetto al controllo possono riguardare anche attività concernenti adempimenti prodromici alla messa in esercizio dell’impianto, secondo l’indirizzo accolto da questa Corte Sez. 3, n. 29967 del 9/06/2011, dep. 27/07/2011, Z., Rv. 251018 , coerentemente con la natura di reato formale e di pericolo propria della fattispecie contestata Sez. 3, n. 24334 del 13/05/2014, dep. 10/06/2014, Boni e altro, Rv. 259670 . Né può condividersi il rilievo difensivo ín relazione alla paventata dilatazione dei poteri dell’amministrazione, destinataria di una sorta di delega in bianco e potendo, dunque, la stessa imporre prescrizioni in ipotesi anche irragionevoli e vessatorie. Si è, infatti, già osservato che il giudice penale conserva la possibilità di verificare la ragionevolezza delle disposizioni impartite dall’organo preposto rispetto alle esigenze di precauzione e di controllo che giustificano l’attribuzione del potere autorizzazione in capo alla stessa amministrazione. 3. Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 2.000,00 Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000 duemila in favore della Cassa delle Ammende.