Scontro in ciclabile con un furgone parcheggiato… per cosa risponde l’autista?

La Cassazione ha qui l’occasione di ripercorrere la disciplina relativa alla responsabilità civile da reato ex art. 185 c.p

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza 34382/17 depositata il 13 luglio. Il caso. La Corte d’Appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale di Lodi, dichiarava colpevole l’imputato per il reato di cui all’art. 189, commi 6 e 7 d.lgs. n. 285/1992 recante Comportamento in caso di incidente e, in particolare, per non aver l’imputato contemperato gli obblighi di fermarsi e di prestare assistenza alla persona offesa. Infatti, parcheggiato il furgone in contromano sulla pista ciclabile, l’imputato si allontanava subito dopo che il ciclista, nel percorrere la strada, perdeva l’equilibrio e cadeva, ripotando lesioni personali. Avverso il provvedimento reso dalla Corte territoriale, l’imputato propone ricorso in Cassazione deducendo la mancata prova della dinamica dell’incidente, non essendovi la certezza che si sia effettivamente verificato un urto tra la persona offesa e il furgone dell’imputato. Non solo, l’imputato sostiene di essersi fermato ad interloquire con la vittima e di aver verificato che non necessitava di assistenza. Lesioni personali colpose. Gli Ermellini rilevano la disciplina della responsabilità civile da reato prevista all’art. 185 c.p. laddove prevede l’obbligo per l’autore del reato e le persone che, a norma delle leggi civili devono rispondere del fatto di lui, a risarcire il danno patrimoniale o non patrimoniale, cagionato dal reato stesso . Il danno a cui si riferisce tale articolo deve essere eziologicamente riferito all’azione od omissione del soggetto attivo e tale rapporto di causalità può sussistere anche quando il fatto reato, pur non avendo cagionato direttamente il danno, abbia tuttavia determinato uno stato tale di cose che senza di esse il danno non si sarebbe verificato . Nella fattispecie, le lesioni personali patite dalla vittima in seguito all’incidente non possono considerarsi conseguenza dei reati ascritti all’imputato, essendosi questi verificatisi in epoca successiva, ma piuttosto sono riconducibili al reato di cui all’art. 590 c.p. recante Lesioni personali colpose , per il quale, però, non è stata esercitata l’azione penale.

Corte Costituzionale, sez. IV Penale, sentenza 30 maggio – 13 luglio 2017, numero 34382 Presidente Blaiotta – Relatore Costantini Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Lodi, in data 04 dicembre 2013, dichiarava L.G. responsabile dei reati di cui agli artt. 189 commi 6 e 7 del d.lgs. 30 aprile 1992, numero 285 e lo condannava alla pena ritenuta di giustizia nonché al risarcimento del danno nei confronti della parte civile costituita, J.N.M., che liquidava in Euro 5000,00. La dinamica del sinistro veniva ricostruita nei seguenti termini la persona offesa, nel percorrere una pista ciclabile sulla quale si trovava parcheggiato contro mano il furgone dell’imputato, impegnato in operazioni di scarico merce, perdeva l’equilibrio e cadeva riportando lesioni personali. L’imputato si fermava solo pochi istanti a parlare con il J. per poi allontanarsi senza farsi identificare e fornire i dati del veicolo. Così ricostruito l’episodio, la Corte di appello, ribaltando la precedente sentenza di assoluzione, dichiarava l’imputato colpevole dei reati ascrittigli. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il L. , a mezzo del proprio difensore, esplicitando i seguenti motivi - violazione di legge in ordine alla ammissione della costituzione di parte civile e ad ogni consequenziale pronuncia risarcitoria in quanto l’atto di costituzione sarebbe privo di causa petendi e petitum in ordine al reato oggetto del giudizio, avendo la parte civile chiesto ed ottenuto la liquidazione dei danni per il diverso reato di cui all’art. 590 cod. penumero , non contestato. - travisamento della prova sul fatto deduce il ricorrente che non vi è prova circa la dinamica del sinistro non essendovi la certezza che si sia effettivamente verificato un urto tra il J. e il portellone del furgone o il pacco sorretto dal L. . Inoltre, trovandosi il veicolo fermo, in quanto parcheggiato sulla pista ciclabile, non avrebbe potuto trovare applicazione la disciplina relativa alla circolazione stradale. Infine, del tutto erroneamente la Corte avrebbe ritenuto integrato il reato di fuga atteso che l’imputato si era allontanato dal luogo del sinistro solo dopo aver interloquito con il J. ed aver verificato che non necessitava di assistenza. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è fondato e deve essere accolto. Si denuncia la illegittimità della decisione di ammettere la costituzione in giudizio della parte civile e conseguentemente di condannare il ricorrente al risarcimento dei danni lamentati. Si rileva, infatti, che, malgrado l’opposizione avanzata dalla difesa in ordine alla assoluta carenza di legittimazione di J.N.M. , il giudice di prima istanza aveva ammesso la costituzione di parte civile e successivamente, la Corte di appello, a seguito del ribaltamento del verdetto assolutorio, aveva condannato il ricorrente anche al risarcimento dei danni subiti dalla persona offesa per effetto delle lesioni patite, nonostante tali danni non potessero considerarsi diretta conseguenza dei reati contestati ma fossero, invece, eziologicamente riconducibili al diverso reato di lesioni personali per il quale non si era proceduto per difetto di querela. 2. Occorre preliminarmente osservare che il fondamento sostanziale di tutte le regole che disciplinano la responsabilità civile da reato si rinviene nella disposizione di cui all’art. 185 cod. penumero che prevede l’obbligo per l’autore del reato e le persone che, a norma delle leggi civili devono rispondere del fatto di lui, a risarcire il danno patrimoniale o non patrimoniale, cagionato dal reato stesso. Come già rilevato da questa Corte, l’affermazione della penale responsabilità comporta, infatti, per l’imputato la responsabilità civile per il danno ex delicto che, pur non identificandosi con l’evento, ne deve essere sua conseguenza necessaria. Sez. 3, numero 1301 del 09/11/2016, Manna, Rv. 269414 . Il danno, dunque, pur non identificandosi con l’evento stesso ne è conseguenza necessaria per esplicita previsione del legislatore il quale individua e classifica i reati e quindi le condotte criminose proprio in relazione alla lesione del bene-interesse che la norma intende proteggere la vita, l’incolumità, la libertà personale, l’onore ecc. e che, conseguentemente, da per leso ogni volta che il reato si manifesti Sez. 5, numero 43363 del 21/10/2010, Mameli, Rv. 248952 . Si è affermato, altresì, sul tema che il danno cui si riferisce l’art. 185 c.p. deve essere eziologicamente riferito all’azione od omissione del soggetto attivo e tale rapporto di causalità può sussistere anche quando il fatto reato, pur non avendo cagionato direttamente il danno, abbia tuttavia determinato uno stato tale di cose che senza di esse il danno non si sarebbe verificato Sez. 6, numero 11295 del 02/12/2014 Vignati, Rv. 263170 . Anche applicando tale principio non può però sostenersi che le lesioni personali patite dal J. , in occasione dell’incidente, siano conseguenza dei reati ascritti all’imputato essendosi questi ultimi verificati in epoca successiva a tali danni, riconducibili invece al diverso reato di cui all’art. 590 cod. penumero , per il quale non risulta esercitata l’azione penale nei confronti del L. . Invero, per quanto riguarda i beni giuridici tutelati dai reati in questione, occorre considerare che, mentre la disposizione di cui all’art. 189, comma 6, cod. strada, è finalizzata a garantire l’identificazione dei soggetti coinvolti nell’investimento e la ricostruzione delle modalità del sinistro, la previsione di cui all’art. 189, comma 7, cod. strada, ispirata ad un principio di solidarietà, è volta a garantire che le persone ferite non rimangano prive della necessaria assistenza Sez. 4, numero 3783 del 10/10/2014, dep. 2015, Balboni, Rv. 261945 Sez. 4, numero 6306 del 15/01/2008, Grosso Rv. 239038 . Può, dunque, sicuramente ritenersi che tale ultimo reato, in particolare, possa esporre la persona offesa ad un danno morale sotto il profilo delle sofferenze e difficoltà collegate all’essere stata lasciata sulla strada priva del dovuto soccorso o ad un danno alla persona che sia costituito dall’eventuale aggravamento delle lesioni e dei processi patologici conseguiti al sinistro e ricollegabile al ritardo nella prestazione delle cure necessarie. Poste tali premesse, deve ritenersi che correttamente il giudice di primo grado ha ammesso la costituzione di parte civile del J. in quanto titolare della pretesa giuridica azionata inerente non solo alle lesioni conseguenti al sinistro stradale ma estesa a tutte le conseguenze comunque derivate dall’omessa fermata e dall’omesso soccorso, anche in termini di danno morale, per il che l’assunto secondo cui il danno esposto dalle parti civili sarebbe stato riconducibile alle sole lesioni personali era destituito di fondamento. Viceversa, la Corte di appello, con motivazione del tutto erronea, nel condannare l’imputato al risarcimento del danno, ha proceduto alla relativa liquidazione considerando esclusivamente l’entità delle lesioni riportate in occasione dell’incidente, ritenendole, del tutto incongruamente, diretta conseguenza della condotta posta in essere . Ne consegue che, sotto questo aspetto, la decisione del giudice di merito si presenta logicamente e giuridicamente viziata e quindi meritevole di censura. Se ne impone pertanto l’annullamento limitatamente alle statuizioni civili con rinvio al giudice civile per l’accertamento della pretesa risarcitoria e la liquidazione di ulteriori danni di natura diversa eventualmente patiti dalla parte civile. 3. Sono invece infondati gli ulteriori motivi di ricorso afferenti l’affermazione di penale responsabilità del ricorrente. 4. La Corte di appello, riesaminando il materiale probatorio già valutato dal giudice di prime cure ha ritenuto la responsabilità del L. , in totale riforma della precedente decisione di assoluzione. Nell’effettuare tale operazione il giudice del gravame ha conferito, riguardo alle parti non condivise della prima sentenza, una convincente motivazione atta a sostenere le ragioni delle difformi conclusioni assunte, in conformità con il principio ormai consolidato per cui in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi la decisione di condanna del giudice di primo grado, nella specie pervenendo a una sentenza di assoluzione, non può limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione impugnata, genericamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, essendo, invece, necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni tra le altre Sez. 6, numero 1253 del 28/11/2013, Ricotta, Rv. 258005 Sez. 2, numero 50643 del 18/11/2014, Rv. 261327 . Invero, la ricostruzione della dinamica del sinistro appare coincidente nelle due pronunce atteso che anche il giudice di secondo grado ha considerato che, secondo quanto emerso dall’istruttoria dibattimentale, il J. poteva essere caduto o perché colpito dal portellone del furgone come riferito dalla stessa persona offesa o perché urtato dallo stesso imputato intento a scaricare dei cartoni al lato della pista ciclabile come invece affermato dal teste B. le cui s.i.t. erano state acquisite al fascicolo del dibattimento per irreperibilità del teste . La Corte ha però, correttamente, considerato come in ogni caso dovesse ritenersi sussistente il nesso causale tra l’evento lesivo e la condotta imprudente dell’imputato che, dopo aver ostruito con il proprio veicolo parte della pista ciclabile, aveva altresì proceduto allo scarico della merce effettuando tali operazioni sul retro del furgone che si trovava parcheggiato contromano, così sottraendosi alla vista del ciclista. La Corte di merito ha dunque, ricostruito l’episodio valutandolo negli stessi termini del giudice di primo grado ma facendo corretta applicazione del principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità per cui in tema di causalità, la dipendenza di un evento da una determinata condotta deve essere affermata anche quando le prove raccolte non chiariscano ogni passaggio della concatenazione causale e possano essere configurate sequenze alternative di produzione dell’evento, purché ciascuna tra esse sia riconducibile all’agente e possa essere esclusa l’incidenza di meccanismi eziologici indipendenti Sez. 4, numero 22147 del 11/02/2016, Morini, Rv. 266858 Sez. 4, numero 14358 del 06/02/2002, Righi, Rv. 222247 Sez. 4, numero 988 del 11/07/2002, Macola, Rv. 227002 . Ne deriva che la Corte territoriale, con ragionamento esente da critiche, ha affermato la penale responsabilità del L. per i reati contestatigli, ritenendo che l’incidente fosse ricollegabile al suo comportamento, così come prescritto dall’art. 189 C. d. S 5. Contrariamente, poi, a quanto sostenuto dalla difesa, la fattispecie in esame è del tutto inquadrabile nella disciplina relativa alla circolazione stradale avendo la giurisprudenza più volte affermato che l’atto di circolazione, presupposto per l’applicazione delle relative norme, sussiste quando i veicoli si muovono sulla strada ovvero sostano o si fermano durante il percorso, senza che abbia rilevanza il motivo che spinge alla circolazione né se questa sia momentanea o abbia carattere duraturo ovvero costituisca fatto isolato o ripetuto Sez. 4, numero 3242 del 09/02/1996, Andreveno, Rv. 204183 . Tale principio è stato poi ulteriormente specificato anche in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza, essendosi affermato in più occasioni che anche la fermata costituisce comunque una fase della circolazione talché è del tutto irrilevante, ai fini della contestazione del reato di guida in stato di ebbrezza, se il veicolo condotto dall’imputato risultato positivo all’alcoltest fosse, al momento dell’effettuazione del controllo, fermo ovvero in moto Sez. 4, numero 45514 del 07/03/2013, Pin, Rv. 257695 Sez. 4, numero 37631 del 25/09/2007, Savoia, Rv. 237882 . Nel caso che occupa, il L. , in violazione delle norme del codice della strada, aveva parcheggiato il veicolo contromano, ostruendo parte della carreggiata ciclabile ed ivi procedendo ad operazioni di scarico merce, creando in tal modo una situazione di intralcio e pericolo per la circolazione stradale. Deve infatti ribadirsi che in materia di responsabilità da sinistri stradali, il conducente del veicolo lasciato in sosta ha l’obbligo di assicurarsi, con opportune cautele, che per le condizioni del luogo in cui esso si trova, non possa derivare pericolo per l’incolumità delle persone Sez. 4, numero 7315 del 27/02/1984, Daga, Rv. 165621 . 6. Parimenti infondati sono anche i motivi di ricorso relativi alla asserita insussistenza dei reati contestati essendo certo che l’imputato si era trattenuto sul posto per diversi minuti e si era allontanato solo dopo aver interloquito con la persona offesa. Sul punto, osserva il Collegio che, in relazione al c.d. reato di fuga , la pronuncia impugnata è del tutto in linea con il costante insegnamento del giudice di legittimità, a mente del quale, in tema di circolazione stradale, integra il reato di cui all’art. 189, commi primo e sesto, C.d.S. cosiddetto reato di fuga , la condotta di colui che - in occasione di un incidente ricollegabile al suo comportamento da cui sia derivato un danno alle persone - effettui sul luogo del sinistro una sosta momentanea nella specie per pochi istanti , senza consentire la propria identificazione, né quella del veicolo. Il dovere di fermarsi sul posto dell’incidente deve durare per tutto il tempo necessario all’espletamento delle prime indagini rivolte ai fini dell’identificazione del conducente stesso e del veicolo condotto, perché, ove si ritenesse che la durata della prescritta fermata possa essere anche talmente breve da non consentire né l’identificazione del conducente, né quella del veicolo, né lo svolgimento di un qualsiasi accertamento sulle modalità dell’incidente e sulle responsabilità nella causazione del medesimo, la norma stessa sarebbe priva di ratio e di una qualsiasi utilità pratica Sez. 4, numero 20235 del 25/01/2006, Mischiatti, Rv. 234581 Sez. 4, numero 9128 del 02/02/2012, Boffa, Rv. 252734 Sez. 4, numero 34621 del 27/05/2003, Campisi, Rv. 225622 . Nel caso di specie, essendosi accertato che l’imputato si era allontanato immediatamente dopo il sinistro, limitandosi a scambiare poche parole con la persona offesa, senza fornire le proprie generalità e senza accertarsi se avesse bisogno di aiuto, risultano rispettati i principi richiamati. 7. Ad analoghe conclusioni si deve pervenire anche relativamente al reato di omessa assistenza. Come è noto, si configura il reato di cui all’art. 189, comma 6 C.d.S. che punisce l’utente della strada che, in caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all’obbligo di fermarsi, quando l’autore viene consapevolmente meno all’obbligo di fermarsi in relazione all’evento dell’incidente, ove questo sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, e va apprezzato come eventualmente sussistente avendo riguardo alle circostanze fattuali del caso laddove queste, ben percepite dall’agente, siano univocamente indicative di un incidente idoneo ad arrecare danno alle persone Sez. 4, numero 16982 del 12/03/2013, Borselli, Rv. 255429 Sez. 4, numero 5510 del 12/12/2012, Meta, Rv. 254667 . Quanto all’elemento soggettivo esso può essere integrato anche dal dolo eventuale, ossia dalla consapevolezza del verificarsi di un incidente riconducibile al proprio comportamento che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, senza che debba riscontrarsi l’esistenza di un effettivo danno alle persone Sez. 4, numero 14610 del 30/01/2014, Rossini, Rv. 259216 Sez. 4, numero 16982 del 12/03/2013, Borselli, Rv. 255429 Sez. 4, numero 17220 del 06/03/2012, Turcan, Rv. 252374 . Costituisce, inoltre, ius receptum il principio per cui il reato in esame richiede che sia effettivo il bisogno dell’investito, sicché non è configurabile nel caso di assenza di lesioni, o di morte o allorché altri abbia già provveduto e non risulti più necessario né utile o efficace, l’ulteriore intervento dell’obbligato tuttavia, tali circostanze non possono essere ritenute ex post , dovendo l’investitore essersene reso conto in base ad obiettiva constatazione prima dell’allontanamento. Sez. 4, numero 39088 del 03/05/2016, Maracine, Rv. 267601 Sez. 4, numero 5416 del 25/11/1999, Sitia, Rv. 216465 . Tanto premesso, nel caso di specie deve escludersi che il ricorrente abbia avuto la possibilità di constatare obiettivamente l’assenza di lesioni avendo egli, come precisato nella sentenza impugnata, abbandonato subito il luogo dell’incidente mentre il J. si trovava ancora in terra. Il L. è dunque consapevolmente venuto meno all’obbligo di fermarsi in relazione dell’incidente cagionato presentandosi esso concretamente idoneo a produrre eventi lesivi. 8. Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente la liquidazione del danno in favore della parte civile, con rinvio davanti al giudice civile competente per valore in grado di appello.