L’ordine di demolizione dell’immobile abusivo non ha natura di sanzione penale

La Cassazione statuisce in tema di demolizione di immobili abusivi

Così ha deciso la Corte con la sentenza n. 33321/17, depositata il 10 luglio. Il caso. L’imputato ricorreva in Cassazione avverso l’ingiunzione di demolizione di un immobile abusivo emessa dalla Procura generale locale. Il ricorrente lamentava l’avvenuta prescrizione dell’ordine di demolizione, negata dalla Corte d’Appello, in contrasto con la giurisprudenza della CEDU. La prescrizione dell’ordine di demolizione. La Corte, in relazione all’avvenuta prescrizione dell’ordine di demolizione lamentata dal ricorrente, ricorda che il provvedimento in esame costituisce l’espressione di un potere sanzionatorio autonomo del Giudice penale che assume un carattere, quindi, accessorio rispetto alla condanna principale, per cui, tale ordine deve essere soggetto ad esecuzione secondo le norme ordinarie del codice di procedura penale, avendo natura di provvedimento giurisdizionale. La giurisprudenza europea. La Corte richiama, inoltre, la già consolidata giurisprudenza secondo la quale, l’ordine di demolizione e di sequestro eseguito dopo la cessione a terzi del manufatto abusivo sia compatibile con le norme CEDU. Anche secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo è da ritenersi, infatti, che la demolizione, a differenza della confisca, non può considerarsi una pena neppure ai sensi dell’art. 7 CEDU, perché essa tende alla riparazione effettiva di un danno e non è rivolta nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge è, quindi, da considerarsi conforme alle norme CEDU un ordine di demolizione delle opere abusive incompatibili con le disposizioni degli strumenti urbanistici. La Cassazione richiama anche quanto affermato nella sentenza Varvara della Corte EDU 29/10/2013 , alla luce della lettura che ne ha dato la Corte Costituzionale con la pronuncia n. 49/2015, ritenendo che le sentenze della Corte europea non vadano interpretate ricorrendo all’apparato concettuale e linguistico del proprio diritto interno, dal momento che la Corte utilizza spesso termini con significati autonomi, che quindi, se interpretati alla luce del significato nazionale potrebbero portare ad incomprensioni. Per cui la Corte, nel caso di specie, conclude che l’ordine di demolizione dell’immobile abusivo, impartito dal Giudice penale ai sensi dell’art. 31, comma 9, dpr n. 380/01, non ha affatto natura di sanzione penale nel senso individuato dalla normativa CEDU. Infatti, l’intervento del Giudice penale si colloca a chiusura di una complessa procedura amministrativa finalizzata al ripristino dell’originario assetto del territorio alterato dall’intervento edilizio abusivo, nell’ambito del quale viene considerato il solo oggetto del provvedimento . Per questo motivo la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 giugno – 10 luglio 2017, n. 33321 Presidente Fiale – Relatore Mengoni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 23/11/2016, la Corte di appello di Napoli rigettava l’istanza proposta da C.M. avverso l’ingiunzione di demolizione emessa dalla locale Procura generale con riferimento alla sentenza 5/1/1999 della stessa Corte di merito a giudizio del Collegio, gli argomenti di cui alla domanda risultavano infondati. 2. Propone ricorso per cassazione la C. , a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi - violazione degli artt. 20-31, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, 605 cod. proc. pen La Corte di appello non avrebbe accertato che l’ordine di demolizione in oggetto sarebbe tamquam non esset, poiché non confermato nella citata sentenza del 5/1/1999, che - in dispositivo - aveva ribadito, quanto alla prima pronuncia, le sole statuizioni civili, non anche quella in esame e senza che possa aver rilievo, al riguardo, un generico richiamo alla sentenza del Tribunale, contenuto nella motivazione - violazione delle medesime norme del d.P.R. n. 380 del 2001, con riguardo all’art. 173 cod. pen La Corte avrebbe negato la prescrittibilità dell’ordine di demolizione in contrasto con la giurisprudenza della CEDU, anche alla luce del doppio binario amministrativo/penale, proprio della materia, che impone di considerare l’ordine di demolizione disposto dal giudice come sanzione sostanzialmente penale - mancanza e contraddittorietà della motivazione. L’ordinanza non si sarebbe pronunciata quanto alla doglianza relativa al lunghissimo periodo - 20 anni - decorso tra la sentenza di appello e l’ingiunzione a demolire durante il quale, per un verso, lo Stato non avrebbe mostrato alcun interesse alla rimozione del bene e, per altro verso, sarebbe sorto nella ricorrente un legittimo affidamento alla conservazione dell’opera. Si chiede, pertanto, l’annullamento senza rinvio del provvedimento. 3. Con requisitoria scritta del 2/3/2017, il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso, condividendosi gli argomenti di cui all’ordinanza. Considerato in diritto Preliminarmente si osserva che la presente motivazione è redatta in forma semplificata, ai sensi del decreto n. 68 del 28/4/2016 del Primo Presidente di questa Corte. 3. Il ricorso risulta manifestamente infondato. Con riguardo alla prima doglianza, si osserva che le considerazioni espresse dalla Corte di merito sul punto appaiono del tutto adeguate ed insuscettibili di qualsivoglia censura l’ordinanza impugnata, in particolare, ha sottolineato che dalla lettura della sentenza di appello del 5/1/1999 emergeva che la prima decisione era stata riformata con riguardo ai reati sub c ed e , perché estinti per prescrizione, con conferma della pronuncia nel resto, compreso quindi l’ordine di demolizione già impartito. Tale dato, peraltro, trovava conferma anche nel dispositivo letto in udienza, nel quale la rimozione stessa dell’abuso non veniva esclusa, sì da ritenersi per implicito confermata. E senza che, sul punto, rilevi l’asserzione di cui al ricorso - peraltro meramente dedotta, in assenza di allegazioni - in forza della quale tale conferma risulterebbe, in realtà, dalla sola motivazione, non emergendone traccia in dispositivo se non espressamente contraddetta in esso, infatti, la stessa parte motiva risulterebbe comunque sufficiente a ribadire l’ordine medesimo. 4. In ordine, poi, all’eccepita prescrizione della disposizione in esame, occorre innanzitutto rilevare che tale provvedimento assume carattere accessorio rispetto alla condanna principale e costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio, non residuale o sostitutivo ma autonomo rispetto a quelli dell’autorità amministrativa, attribuito dalla legge al Giudice penale per tutte, Sez. U, n. 15 del 1976/1996, Monterisi, Rv. 205336, a mente della quale l’ordine di demolizione adottato dal Giudice ai sensi dell’art. 7 legge 28 febbraio 1985, n. 47, al pari delle altre statuizioni contenute nella sentenza definitiva, è soggetto all’esecuzione nelle forme previste da codice di procedura penale, avendo natura di provvedimento giurisdizionale, ancorché applicativo di sanzione amministrativa. Di seguito, tra le altre, Sez. 3, n. 81 dell’11/11/2009, Dalia, Rv. 245892 . E con la precisazione - decisiva nell’ottica della terza doglianza, nonché delle considerazioni svolte dal Procuratore generale - per cui l’ordine emesso dal Giudice non costituisce giammai bis in idem rispetto a quello eventualmente disposto dall’autorità amministrativa, operando i due su distinti livelli e necessitando di un doveroso coordinamento, all’evidenza, soltanto in sede esecutiva quel che, pertanto, non obbligava il Giudice di Napoli a pronunciarsi sul punto, attesa la manifesta infondatezza della questione. 5. Questa disciplina, peraltro, non si pone in contrasto con la normativa convenzionale richiamata nel ricorso. Questa Corte, infatti, ha già avuto modo di affermare Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Delorier, cit. Sez. 3, n. 41498 del 7/6/2016, Moscato + altri la compatibilità dell’ordine di demolizione e del sequestro eseguiti dopo la cessione a terzi del manufatto abusivo con le norme CEDU, come interpretate dalla Corte Europea con sentenza 20 gennaio 2009, nel caso Sud Fondi c/ Italia Sez. 3, n. 48925 del 22/10/2009, Viesti e altri, Rv. 245918. Nello stesso senso, Sez. 3, n. 47281 del 21/10/2009, Arrigoni, Rv. 245403 . Si è in quell’occasione precisato che proprio considerando le argomentazioni sviluppate dalla Corte di Strasburgo poteva ricavarsi che la demolizione, a differenza della confisca, non può considerarsi una pena nemmeno ai sensi dell’art. 7 della CEDU, perché essa tende alla riparazione effettiva di un danno e non è rivolta nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge . Si osservava, inoltre, che la sentenza nel mentre ha ritenuto ingiustificata rispetto allo scopo perseguito dalla norma, ossia mettere i terreni interessati in una situazione di conformità rispetto alle disposizioni urbanistiche, la confisca anche di terreni non edificati in assenza di qualsiasi risarcimento, ha invece espressamente ritenuto giustificato e conforme anche alle norme CEDU un ordine di demolizione delle opere abusive incompatibili con le disposizioni degli strumenti urbanistici eventualmente accompagnato da una dichiarazione di inefficacia dei titoli abilitativi illegittimi. Sembra quindi confermato che la invocata sentenza della Corte di Strasburgo non solo non ha escluso un sequestro o un ordine di demolizione dell’opera contrastante con le norme urbanistiche nei confronti di chiunque ne sia in possesso, anche qualora si tratti di terzo acquirente estraneo al reato, ma ha addirittura implicitamente ritenuto che una tale sanzione ripristinatoria può considerarsi giustificata rispetto allo scopo perseguito dalle norme interne di assicurare una ordinata programmazione e gestione degli interventi edilizi e non contrastante con le norme CEDU richiamate dai ricorrenti . Tali considerazioni vanno qui ribadite, ricordando anche come autorevole dottrina abbia recentemente ricordato, nel commentare la sentenza Varvara Corte EDU Varvara c. Italia, del 29/10/2013 e la lettura datane dalla Corte 9 Costituzionale sent. 49/2015 , che le sentenze della Corte Europea non vanno interpretate ricorrendo all’apparato concettuale e linguistico proprio del diritto interno, in quanto la Corte, quando non utilizza termini che richiamano espressamente il significato che essi hanno nel diritto nazionale, utilizza nozioni definite autonome , rilevando anche come un diverso approccio potrebbe portare a incomprensioni o distorsioni foriere di gravi conseguenze. 6. Alla luce delle considerazioni sopra svolte deve dunque pervenirsi alla conclusione che l’ordine di demolizione dell’immobile abusivo impartito dal giudice penale ai sensi dell’art. 31, comma 9 d.P.R. 380 del 2001, diversamente da quanto sostenuto nel presente gravame, non ha affatto natura di sanzione penale nel senso individuato dalla normativa CEDU, ostandovi non soltanto la qualificazione giuridica attribuitagli attraverso l’analisi giurisprudenziale, dianzi ricordata, ma anche il fatto che la demolizione imposta dal giudice, come si è più volte rilevato in precedenza, non ha finalità punitive. L’intervento del giudice penale si colloca, come pure si è detto, a chiusura di una complessa procedura amministrativa finalizzata al ripristino delle originario assetto del territorio alterato dall’intervento edilizio abusivo, nell’ambito del quale viene considerato il solo oggetto del provvedimento l’immobile da abbattere , prescindendo del tutto dall’individuazione di responsabilità soggettive, tanto che la demolizione si effettua anche in caso di alienazione del manufatto abusivo a terzi estranei al reato, i quali potranno poi far valere in altra sede le proprie ragioni. L’intervento del giudice penale, inoltre, non è neppure scontato, dato che egli provvede ad impartire l’ordine di demolizione se la stessa ancora non sia stata altrimenti eseguita . 7. Da ultimo, quanto alla dedotta omessa motivazione, osserva il Collegio che la stessa ha ad oggetto un profilo palesemente irrilevante ed ex se inammissibile, non avendo alcun rilievo nella vicenda che occupa la misura anche ampia - del tempo decorso tra la prescrizione in esame e l’ingiunzione ad essa relativa. 8. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.