Dopo qualche ora dalla minaccia, la (premeditata) aggressione

Perché si possa ritenere configurata la circostanza aggravante della premeditazione devono sussistere, quali elementi costitutivi, un apprezzabile intervallo temporale tra il proposito criminoso e l’attuazione di esso, e la ferma risoluzione criminosa perdurante nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 33250/17 depositata il 7 luglio. Il caso. L’imputato ricorre per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza con cui la Corte d’Appello di Messina confermava la condanna per il reato di tentato omicidio aggravato. In particolare, fra i motivi del ricorso, vi è quello relativo alla ritenuta sussistenza dell’aggravante della premeditazione, per la quale la Corte territoriale avrebbe dovuto dimostrare che la decisione di attuare la condotta fosse stata presa in un lasso di tempo rilevante anteriore alla stessa. Tale circostanza, sostiene l’imputato, non poteva desumersi dalla sola presenza dell’arma e della sua idoneità a commettere il fatto. Premeditazione. La Corte ritiene che il motivo di ricorso, volto a contestare la configurabilità della circostanza aggravante della premeditazione, sia infondato. A tale proposito, gli Ermellini rilevano i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità circa gli elementi costitutivi di detta aggravante. In particolare, questi sono identificabili nell’ apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso e nella ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzioni di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine . L’aggravante della premeditazione potrà escludersi soltanto quando l’occasionalità del momento di consumazione del reato appaia preponderante, tale cioè da neutralizzare la sintomaticità della causale e della scelta del tempo, del luogo e dei mezzi di esecuzione . Nella fattispecie, la Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione di tali principi laddove ha evidenziato come l’aggressione fosse avvenuta qualche tempo dopo che l’imputato, raggiunta la vittima sul luogo di lavoro, l’aveva minacciata, aggredendola, infatti, la sera, terminato l’orario di lavoro. Pertanto, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 2 febbraio – 7 luglio 2017, n. 33250 Presidente Bruno – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Messina, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Patti, in data 17.10.2014, aveva condannato B.G. alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni derivanti da reato, in relazione ai reati di tentato omicidio aggravato in danno di C.G.A. e di porto in luogo pubblico senza giustificato motivo di arma, rideterminava in senso più favorevole al reo il trattamento sanzionatorio, previa riqualificazione del fatto ex artt. 582, 585, in relazione all’art. 577, c.p., confermando nel resto la sentenza impugnata. 2. Avverso tale sentenza, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, avv. Alvaro Riolo, del Foro di Patti, lamentando 1 vizio di motivazione per avere il giudice di appello ritenuto sussistente il dolo eventuale di procurare la morte, a seguito di valutazione della idoneità del coltello utilizzato dall’imputato per colpire la vittima, in presenza di elementi oggettivi che escludono ogni intenzione in tal senso del ricorrente, nonché l’idoneità del coltello stesso e dell’azione criminosa ad attingere la vittima ad organi vitali rappresentati dalle trascrizioni delle fonoregistrazioni dalle deposizioni dei testi T. e S. dal contenuto delle consulenze tecniche a firma di questi ultimi dalle sommarie informazioni testimoniali della persona offesa 2 vizio di motivazione sulla richiesta di applicazione della riduzione dell’entità della pena in ragione di un terzo, in conseguenza della richiesta di applicazione pena non accolta in forza del dissenso immotivato ovvero infondato del p.m., questione che la corte territoriale non affrontava sull’erroneo presupposto che fosse un diritto del p.m. non aderire al patteggiamento prospettato dalla difesa 3 vizio di motivazione sulla sussistenza dell’aggravante di motivi abbietti, in quanto, da un lato, tale circostanza è stata ritenuta sussistente avendo la corte territoriale valutato la condotta dell’imputato come reazione al rifiuto della persona offesa di accedere alle sue richieste sessuali, accreditando la versione dei fatti da quest’ultima fornita, laddove la stessa persona offesa non si è dimostrata attendibile nell’avere inizialmente negato di avere avuto una relazione sentimentale con il B. , di cui aveva ammesso l’esistenza in dibattimento, dall’altro, una volta qualificato il fatto in termini meno gravi rispetto all’originaria contestazione, la corte territoriale avrebbe dovuto operare una nuova valutazione sulla proporzione delle condotte rispetto ai motivi, non essendo sufficiente il richiamo alla motivazione di primo grado 4 vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante della premeditazione, in relazione alla quale la corte territoriale avrebbe dovuto dimostrare che l’idea di attuare la condotta fosse stata presa in un lasso rilevante di tempo anteriore alla stessa, circostanza che non può desumersi dalla presenza del coltello, in considerazione dell’idoneità dell’arma di cui si è già detto 5 motivazione generica ed apparente in ordine alle ragioni che hanno indotto la corte territoriale ad infliggere una pena così elevata cinque anni e cinque mesi di reclusione , pur in presenza di una riqualificazione in termini meno gravi della condotta del reo. 3. Il ricorso non può essere accolto per le seguenti ragioni. 4. Inammissibile appare il primo motivo di ricorso, in quanto con esso vengono rappresentati rilievi che si pongono come una mera, nonché generica, rivalutazione del compendio probatorio, non consentita in questa sede, stante la preclusione, per il giudice di legittimità, di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289 . Né va taciuto, sempre sotto il profilo della genericità del suddetto motivo, che esso appare incentrato sui profili del dolo dell’omicidio e della idoneità dell’azione a causare la morte della vittima, laddove, come si è detto, l’originaria ipotesi delittuosa è stata derubricata nel reato di lesioni personali volontarie aggravate. Il ricorrente, con riferimento agli atti di cui lamenta un’adeguata considerazione da parte del giudice di appello, ha violato, inoltre, il principio della cd. autosufficienza del ricorso, secondo cui anche in sede penale, allorché venga lamentata l’omessa o travisata valutazione di specifici atti processuali, è onere del ricorrente suffragare la validità del proprio assunto mediante la completa allegazione ovvero la trascrizione dell’integrale contenuto di tali atti, dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimità il loro esame diretto, salvo che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso cfr. Cass., sez. I, 17/01/2011, n. 5833, G. , circostanza non sussistente, in tutta evidenza, nel caso in esame. 5. Infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, in quanto, come si evince dalla lettura del verbale dell’udienza del 17.10.2014 innanzi al giudice di primo grado e dei motivi di appello, la richiesta di patteggiamento, formulata in sede di udienza preliminare, riguardava un fatto lesioni dolose non coincidente con quello ritenuto dalla corte territoriale in termini di lesioni volontarie aggravate dall’uso di un’arma, sicché, in presenza di una diversa valutazione sul fatto e sulla qualificazione giuridica da attribuire ad esso da parte della corte territoriale, non è ravvisabile nel caso in esame una violazione del disposto dell’art. 448, c.p.p., da cui scaturisce il principio secondo cui anche in sede di impugnazione deve essere comunque riconosciuto all’imputato che ne abbia fatto richiesta ex art. 444, comma primo, c.p.p., anche al di fuori del dissenso ingiustificato del pubblico ministero, il diritto alla riduzione di pena, quando il giudice riconosca che la richiesta era fondata sia in relazione alla qualifica del reato che alla pena da applicare cfr. Cass., sez. VI, 2.6.1992, n. 9353, rv. 191696 . 6. Con riferimento al terzo motivo di ricorso se ne deve rilevare la genericità e la natura meramente fattuale, nella parte in cui con esso si deduce una pretesa inaffidabilità della persona offesa profilo, quello della credibilità della C. e dell’attendibilità delle sue dichiarazioni, che, peraltro, ha formato oggetto di specifica valutazione da parte della corte territoriale, che ha evidenziato, inoltre, pur non essendo necessario, stante la non applicabilità alle dichiarazioni della persona offesa, della regola di giudizio di cui all’art. 192, co. 3, c.p.p., come tali dichiarazioni trovino oggettivo riscontro nella deposizione del teste oculare L. . Infondato è, invece, il rilievo in tema di motivi abbietti, la cui sussistenza non è certo esclusa dalla diversa qualificazione giuridica del fatto operata dalla corte territoriale, posto che la suddetta circostanza aggravante, non attenendo alle modalità oggettive dell’azione o al tipo di offesa arrecata, ma al movente dell’azione stessa, quindi alla dimensione soggettiva del reo, ex art. 70, c.p.p., dovendosi intendere per motivo abietto quello che è espressione di un sentimento spregevole cfr., ex plurimis, Cass., sez. I, 22.6.2011, n. 30291, rv. 250882 , resta del tutto indifferente alle vicende incidenti sull’elemento oggettivo del fatto-reato cui inerisce. Orbene, premesso che il motivo dell’azione criminosa va individuato nella reazione dell’imputato al rifiuto della persona offesa di assecondarlo sessualmente, non appare revocabile in dubbio che tale movente abbia il crisma dell’abiezione, cioè della spregevolezza, essendo ignobile e rivelatore di un grado tale di perversità nell’agente da destare un profondo senso di ripugnanza in ogni persona di media moralità cfr. Cass., sez. I, 23.11.2005, n. 5448, rv. 235093 , la condotta di chi, come il B. . colpisce ripetutamente con un coltello una donna per vendicarsi del rifiuto di quest’ultima di assecondarne le richieste di soddisfare le proprie pulsioni sessuali. 7. Infondato deve ritenersi anche il motivo di ricorso volto a contestare la configurabilità della circostanza aggravante della premeditazione, motivo che, peraltro, appare articolato attraverso rilievi di natura tipicamente fattuale. Anche sotto questo profilo la motivazione del giudice di appello, come integrata da quella del giudice di primo grado, che con la prima forma un prodotto unico, avendo entrambi i giudici di merito seguito un uniforme e coerente percorso argomentativo, è ineccepibile, laddove evidenzia come l’aggressione si sia verificata qualche tempo dopo che l’imputato, raggiunta la vittima sul luogo di lavoro, dopo avere ricevuto l’ennesimo rifiuto, a cui si era accompagnato l’avvertimento della C. che in futuro si sarebbe rivolta ai Carabinieri, l’aveva minacciata con l’espressione secondo cui prima che arrivassero i Carabinieri, sarebbe arrivato lui . E, precisamente, due ore più tardi, dopo che la persona offesa, finito l’orario di lavoro, rientrata a casa, si era cambiata, per poi uscire in strada, dove era stata aggredita dall’imputato, armato di coltello. Proprio il lasso di tempo intercorso tra la minaccia formulata presso il luogo di lavoro e l’aggressione dimostrano come, rispetto alla sua attuazione, l’insorgenza del proposito criminoso non sia stata dovuta ad una preponderante occasionalità, ma ad un piano premeditato, che ha richiesto per la sua elaborazione un apprezzabile lasso temporale rispetto all’esecuzione. Ciò conformemente ai principi elaborati in subiecta materia dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui gli elementi costitutivi della circostanza aggravante della premeditazione, sono un apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso elemento di natura cronologica e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzioni di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine elemento di natura ideologica , dovendosi escludere la suddetta aggravante solo quando l’occasionalità del momento di consumazione del reato appaia preponderante, tale cioè da neutralizzare la sintomaticità della causale e della scelta del tempo, del luogo e dei mezzi di esecuzione cfr., ex plurimis Cass., sez. U., 18.12.2008, n. 2439, rv. 242705 Cass., sez. V, 9.4.2013, n. 34016, rv. 256528 . 8. Inammissibile per manifesta infondatezza e perché con esso vengono formulati rilievi sulla entità del trattamento sanzionatorio non consentiti in sede di legittimità, appare, infine l’ultimo motivo di ricorso, posto che il giudice di secondo grado ha motivato la sua decisione sul punto, facendo riferimento alla gravità dei fatti ed alla negativa personalità del reo, desunta dall’esistenza a suo carico di due precedenti penali specifici per lesioni personali, facendo, pertanto, corretto uso dei parametri di cui all’art. 133, c.p 9. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso del B. va, dunque, rigettato, con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.