Misure cautelari, ovvero dell’irrilevanza della legge penale

È legittimo il riferimento a tavole sinottiche, riepilogative degli esiti investigativi, da parte del Giudice delle libertà, purché consti l’avvenuto scrutinio degli elementi a fondamento della prospettazione accusatoria ed il richiamo a siffatti schemi sia unicamente funzionale alla individuazione del tempus commmissi deliciti.

Le videoriprese costituiscono materiale probatorio legittimamente posto a fondamento della richiesta di adozione di provvedimento cautelare esse sono perfettamente ostensibili posto che il difensore ha il diritto, riconosciutogli dalla giurisprudenza di legittimità, di chiedere ed ottenere dal PM copia dei supporti magnetici o informatici delle registrazioni di dette videoriprese. La prova dei fatti rappresentati nelle stesse non deriva dal riassunto effettuato negli atti di polizia giudiziaria ma dal contenuto stesso delle registrazioni documentate nei relativi supporti, irrilevante dovendosi ritenere la circostanza che la relativa disciplina non sia rinvenibile negli artt. 266 e seguenti c.p.p Il caso. La vicenda di cui si è occupata la Cassazione con la pronuncia in commento n. 32942/17 depositata il 6 luglio , è iscrivibile nel novero di quelle condotte che la vulgata ha ormai definito quali quelle poste in atto dei furbetti del cartellino”. Dunque, in sé, la vicenda, almeno sotto il profilo strettamente fattuale non rappresenta ne è in grado di offrire, grandi spunti di commento. La Corte di Cassazione se ne occupa in relazione a gravame frapposto avvero la sentenza del Tribunale del riesame, confermativa del provvedimento assunto dal GIP, con la quale all’indagato veniva applicata la misura degli arresti domiciliari. Fin qui, dunque niente di particolare ma. L’uso delle tavole sinottiche. Gli Ermellini colgono l’occasione, in ciò stimolati dal ricorso della difesa, che mi apre di poter definire arguto, per chiarire come sia legittimo che l’accusa ricapitoli, o meglio, compendi gli esiti delle proprie indagini in tavole sinottiche. Sul punto credo che non si possano nutrire dubbi. La pubblica accusa ha il diritto di comportarsi, nella fase delle indagini, anche con riferimento alle modalità con cui intende prospettarne ai terzi gli esiti o le evidenze come meglio crede. Meno pacifico è invece che a dette tavole sinottiche” possa riferirsi, espressamente e per relationem anche il Giudice, terzo e garante del fondamentale diritto di libertà, purché consti l’avvenuto scrutinio degli elementi a fondamento della tesi accusatoria ed il richiamo a siffatti schemi sia unicamente funzionale alla sola individuazione dei giorni e delle ore delle singole condotte illecite. Ora l’affermazione appare densa di significati e ricadute. Per necessaria brevità ci limitiamo a sollevare alcuni dubbi di carattere interpretativo. Quali sono gli indici da cui desumere che sia intervenuto lo scrutinio degli elementi a fondamento della tesi accusatoria se la motivazione può fare riferimento a tabelle sinottiche in cui sono indicate ora e data delle condotte illecite? Nelle condotte inerenti i reati di evento il semplice richiamo alle tabelle sinottiche, dai quali può evincersi unicamente ora e data della condotta, non rischi di rendere del tutto privo di ogni vera incidenza ed efficacia l’attività di controllo che dovrebbe svolgere il GIP? A me, in tutta franchezza, pare che il rischio di dar corso a condotte del tutto liberate da ogni parametro oggettivo di riferimento sia non solo concreto ma anche attuale e piuttosto pericoloso per i potenziali effetti che ne potrebbero derivare. La prova dei fatti In un diritto penale del fatto, come quello italiano, la prova dei fatti è fondamentale. Non paia un’osservazione fuori luogo, poiché, anche ciò che è, o dovrebbe essere ovvio, a volte va ribadito affinché possa costituire valido strumento, quasi che fosse una bussola, ai fini muoversi nel mare magnum, e sempre meno nostrum, costituito dalla giurisprudenza. La prova dei fatti non deriva dal riassunto effettuato dalla polizia giudiziari ma dal contenuto stesso delle registrazioni. Anche in questo caso l’affermazione contenuta nella sentenza pare essere pacifica e per vero condivisibile. Occorrerebbe però ricordare che le registrazioni colgono solo una parte di ciò che è effettivamente occorso e, quindi, magari specificare che esse debbono essere considerate elementi di prova al pari di altri elementi e non già., apoditticamente, prova inconfutabile. Ma siamo in fase cautelare e, quindi, il dibattimento consentirà, come è a tutti noto, alla difesa di poter contestarne non il contenuto e perché no? ma almeno l’effettiva portata e valenza probatoria. Ciò posto però quel che più d’altro ha attratto la mia attenzione e deve in qualche modo essere segnalato quale ulteriore segnale del lento ma credo ormai inarrestabile cammino che sta portando il nostro Paese a subire un vero e proprio procedimento di decodificazione in favore dell’affermarsi di una giurisprudenza non soltanto interpretativa della norma ma sostitutiva di essa, è l’inciso irrilevante dovendosi ritenere la circostanza che la relativa disciplina non sia rinvenibile negli artt. 266 e seguenti del codice di procedura penale . Tremano, vene, polsi, gambe ed anche tutte le fondamenta del Sistema Giuridico Italiano il nostro Giudice, quello che conoscevamo sottoposto alla Legge, ovvero di essa mero interprete, la reputa irrilevante. Non è poco, anzi è molto, forse troppo. Chissà se l’aggettivo scelto, quel pesante irrilevante, è figlio di una trascuratezza linguistica o di una precisa e perfetta conoscenza dell’italico idioma. Davvero non so cosa sia meglio sperare.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 23 giugno – 6 luglio 2017, n. 32942 Presidente Fiandanese – Relatore De Santis Ritenuto in fatto 1.Con ordinanza emessa in data 11/2/2017 il Gip del Tribunale di Napoli applicava ad A.P. la misura degli arresti domiciliari con autorizzazione al lavoro in relazione ai reati di cui agli artt. 640 cpv cod.pen. e 55 quinquies D.lgs 165/01 contestati ai capi 11,12,41,42,43,44,45,46 della rubrica provvisoria per aver effettuato reiterate false obliterazioni in entrata e in uscita dei badge di colleghi di lavoro allo scopo di coprirne le assenze ingiustificate. Con l’impugnata ordinanza il Tribunale del Riesame annullava parzialmente il provvedimento genetico in relazione ai capi 11,12,41,42,45 e 46 e, confermata la gravità indiziaria in relazione ai capi 43,44, sostituiva la misura degli arresti domiciliari con quella dell’obbligo di presentazione quotidiana alla P.g 2. Ha proposto ricorso per Cassazione l’indagato a mezzo del difensore, deducendo 2.1 la nullità dell’ordinanza genetica e di quella di riesame per violazione degli artt. 292 n. 2 lett. b e c cod.proc.pen. per effetto della mancata esposizione del fatto e degli indizi sui quali si fonda la misura nonché la mancanza e manifesta contraddittorietà della motivazione nella parte in cui si ritiene sufficiente il richiamo recettizio all’informativa di reato sebbene la stessa, come denunziato dalla difesa, fosse carente degli elementi di fatto dai quali desumere i gravi indizi. La difesa lamenta che il Tribunale cautelare ha ritenuto congrua la motivazione dell’ordinanza genetica in relazione ai capi 43/44, sebbene la stessa attribuisca al prevenuto plurime condotte di illecito utilizzo del cartellino marcatempo della dipendente I.S. senza indicazione di elementi individualizzanti e sulla scorta del mero richiamo alla tabelle riassuntive redatte dalla P.g., dalle quali è dato desumere l’assenza dal servizio di taluni dipendenti nonostante la timbratura dei loro cartellini ma non si ricava chi avesse timbrato in loro favore. L’ordinanza impugnata, a fronte delle doglianze difensive che sostenevano l’insufficienza dei dati riepilogativi esposti dalla P.g. in assenza di fotogrammi e videoriprese dalle quali desumere la condotta concorsuale dell’indagato, ha sostenuto l’adeguatezza dei dati in questione in quanto supportati dall’attestazione degli operanti di aver visionato i filmati e rilevato che alcuni dipendenti sistematicamente timbravano i cartellini marcatempo di colleghi assenti. Aggiunge la difesa che, poiché l’A. legittimamente procedeva alla timbratura del proprio badge negli stessi giorni e nelle stesse ore delle contestate timbrature illecite in favore della I. , sarebbe stato necessario individuare gli elementi alla base dell’attribuzione delle timbrature illecite, avendo lo stesso Tribunale ritenuto che la legittima presenza nei pressi del dispositivo marcatempo dell’A. , provata dal prospetto mensile delle sue presenze, indeboliva il quadro probatorio in relazione ai capi 11/12 e 41/42, incorrendo pertanto in contraddittorietà motivazionale nel distinguere condotte supportate dal medesimo materiale investigativo. Inoltre, secondo la difesa, il provvedimento impugnato, al pari dell’ordinanza genetica, si pone in contrasto con i principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di motivazione per relationem ed elude l’obbligo di giustificare la decisione, ricorrendo ad una generica e indifferenziata valutazione per gruppi di persone e gruppi di reato, senza procedere ad un esame analitico degli elementi di fatto individualizzanti dai quali desumere la gravità indiziaria per i singoli soggetti e per le singole condotte a ciascuno ascritte. Considerato in diritto 3. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza delle doglianze formulate. L’ordinanza impugnata ha dato conto con ampia e persuasiva motivazione, esente da contraddittorietà e illogicità manifeste, delle ragioni a fondamento della reiezione del gravame difensivo. Invero, la piattaforma indiziaria valorizzata dal Gip nel provvedimento genetico e rivisitata dal Tribunale cautelare alla luce del gravame difensivo fa perno sulle videoriprese eseguite nei pressi degli apparati marcatempo distinti dai nn. 2 e 4, posti al piano terra della struttura ospedaliera omissis , che consentivano agli operanti di rilevare i dipendenti che in entrata e in uscita timbravano non solo il cartellino personale ma anche uno o più badge di colleghi assenti dal lavoro. Il monitoraggio si protraeva per oltre tre mesi e le emergenze video venivano in dettaglio incrociate con le foto del personale in servizio e i tabulati delle presenze di ciascuno, quindi gli esiti investigativi venivano compendiati in tabelle riepilogative. La doglianza difensiva circa il mancato vaglio da parte del GIP prima, e del riesame poi, della gravità indiziaria per effetto del riferimento alle cennate tavole sinottiche è destituita di fondamento giacché dall’ordinanza impugnata consta l’avvenuto scrutinio degli elementi a fondamento della prospettazione accusatoria, risultando il richiamo agli schemi riepilogativi funzionale alla sola individuazione dei giorni e dell’ora delle singole condotte illecite. 3.1 Peraltro, i materiali probatori elaborati dalla P.g. e posti a fondamento della domanda cautelare contrariamente a quanto assume la difesa pag. 3 del ricorso sono pacificamente ostensibili e la giurisprudenza di legittimità riconosce il diritto del difensore di chiedere ed ottenere dal P.M. copia dei supporti magnetici o informatici delle registrazioni di videoriprese utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, poiché la prova dei fatti dalle stesse rappresentati non deriva dal riassunto effettuato negli atti di polizia giudiziaria, ma dal contenuto stesso delle registrazioni documentate nei relativi supporti, irrilevante dovendosi ritenere la circostanza che la relativa disciplina non sia rinvenibile negli artt. 266 ss. cod. proc. pen. Sez. 6, n. 45984 del 10/10/2011, Cosentino, Rv. 251274 Sez. 2, n. 54721 del 01/12/2016, Lafleur, Rv. 268916 . Né risponde al vero che al di là delle tavole sinottiche non siano state offerte al giudice estrapolazioni atte a corroborare gli esiti investigativi dal momento che la stessa difesa del ricorrente in sede di riesame pag. 3 confutava con esiti vittoriosi la gravità indiziaria in relazione ai capi 11/12 e 41/42 allegando una foto che riprendeva l’indagato nell’atto di timbrare in un contesto in cui erano presenti anche altri soggetti. 3.2 Ritiene, inoltre, la Corte che in presenza di reati seriali, correttamente enucleati quanto alle modalità esecutive, non trovino spazio le censure difensive in ordine alla pretesa assenza di elementi individualizzanti, giacché l’attribuzione della condotta concorsuale -consistita nell’utilizzo indebito per ben 34 volte nell’arco temporale in contestazione del badge della I. da parte del ricorrente trova piena giustificazione nella coeva timbratura del proprio e dell’altrui badge accertata dalla p.g. e documentata dalle riprese del sistema di video sorveglianza Ed è, appunto, siffatta pianificata modalità, ovvero la disponibilità del cartellino marcatempo della collega assente dal lavoro che veniva timbrato in occasione della obliterazione da parte dell’indagato del proprio badge, che denota l’irrilevanza a fini di discarico della produzione difensiva relativa alle schede riepilogative dei transiti dell’A. , giacché è la coincidenza temporale della propria obliterazione e di quella della collega assente che costituisce elemento fortemente indiziante della condotta contestata, in assenza di elementi perturbatori della sequenza causale ricostruita. Il Tribunale, a dimostrazione dello scrutinio dei profili di soggettiva attribuibilità degli illeciti alla stregua dei materiali in atti, ha, infatti, ravvisato un deficit probatorio in relazione ai capi 11/12 e 41/42, evidenziando la presenza dinanzi al dispositivo marcatempo di più persone e la conseguente impossibilità di addebitare in termini di certezza l’indebita obliterazione al prevenuto. 3.3 Né pare al Collegio censurabile la scelta del Gip, avallata dall’ordinanza impugnata, di esaminare l’apparato indiziario per gruppi di indagati, in coerenza con l’accertata prassi che vedeva gruppi abituali di dipendenti, i quali prestavano la propria attività nello stesso reparto o ufficio, impegnati nelle timbrature di favore, dal momento che si verte in ipotesi di comportamenti reiterativi, differenziati e differenziabili esclusivamente con riguardo all’attribuzione della materiale attività di marcatura dell’altrui cartellino, avvenuta sulla scorta delle evidenze documentali acquisite. Questa Corte ha avuto modo di precisare che, in presenza di posizioni analoghe o di imputazioni descrittive di fatti commessi con modalità seriali , non è necessario che il giudice ribadisca ogni volta le regole di giudizio alle quali si è ispirato, potendo ricorrere ad una valutazione cumulativa purché, dal contesto del provvedimento, risulti evidente la ragione giustificativa della misura in relazione ai soggetti attinti e agli addebiti, di volta in volta, considerati per essi sussistenti Sez. 3, n. 28979 del 11/05/2016, Sabounjian, Rv. 267350 . 4.Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1500,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento a favore della Cassa delle Ammende.