Un grilletto troppo sensibile

L'efficacia del vizio di travisamento della prova risultante dal testo del provvedimento impugnato è subordinata alla condizione che l'errore accertato renda illogica la motivazione perché ne disarticola l'intero ragionamento probatorio, in considerazione della decisività dell'elemento fattuale travisato.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sez. V Penale, con la sentenza n. 32968, depositata il 6 luglio 2017. Il ladro nell'ovile. Il proprietario di una masseria, nottetempo, si accorge che alcuni malintenzionati sono penetrati all'interno dell'ovile stanno tentando di impadronirsi di un furgone e di qualche pecora. Il fattore ha un fucile da caccia. Nel buio tuonano due colpi uno degli intrusi rimane ferito a morte. Lo sparatore viene processato per omicidio volontario, ma la Corte di Assise lo derubrica in preterintenzionale – l'imputato non voleva uccidere ma provocare delle lesioni - e gli affibbia la pena di quattro anni e sei mesi di reclusione. All'esito del giudizio di Appello, il titolo di reato subisce una ulteriore riqualificazione in melius l'omicidio del ladro diventa colposo. Perché? Per l'imperizia e l'imprudenza del proprietario dell'ovile, che avrebbe maneggiato il fucile tenendo il dito sul grilletto senza essersi previamente informato sulla sensibilità di quest'ultimo alla trazione. Chi ha detto che il dito era sul grilletto? La decisione della Corte di Assise di Appello, sebbene abbia scongiurato il rischio-carcere la pena veniva rideterminata in otto mesi, condizionalmente sospesi , non soddisfa l'imputato, che propone ricorso per cassazione articolandolo su più motivi. Il più interessante di essi è quello relativo al denunciato vizio di travisamento della prova. La questione è di delicatissima portata il ragionamento che spinge la Corte di secondo grado ad affermare la responsabilità penale – sia pur depurata dalla preterintenzione – dell'imputato si incentra sul modo in cui questi avrebbe maneggiato il fucile. Su questo punto i giudici di seconda istanza sostengono che l'imputato avrebbe ammesso di aver imbracciato il fucile tenendo il dito sul grilletto e che tale manovra imprudente avrebbe permesso lo sparo accidentale del colpo malauguratamente andato a segno. La difesa – giustamente – insorge una simile ammissione non esiste nel materiale probatorio raccolto. Ecco che, però, la Suprema Corte salva in extremis la decisione impugnata il travisamento della prova, come insegna la costante giurisprudenza di legittimità, ha rilevanza soltanto quando è in grado di rendere illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio”. Con questa premessa, gli Ermellini gettano le basi di un complesso – e sotto certi aspetti non condivisibile – ragionamento che comporta il rigetto della censura. Il fatto ignoto che ha provocato quello noto il ragionamento abduttivo. La Suprema Corte deve prendere innanzitutto atto dell'errore in cui sono incorsi i Giudici di secondo grado l'imputato quell'ammissione di aver tenuto il dito sul grilletto non l'ha mai fatta. Però, scrivono, l'ammissione era contenuta in un atto redatto dal difensore, che peraltro era stato proposto nell'interesse dell'imputato e nel contesto di una argomentazione preordinata a conseguire un risultato per lui favorevole, ossia l'esclusione dell'intenzionalità lesiva dell'atto ”. Quindi, in buona sostanza, il dato probatorio mancante si potrebbe considerare esistente sia perché l'avvocato ne avrebbe fatto menzione in uno scritto difensivo, sia perché l'imputato non lo avrebbe mai smentito, sia, infine, perché non sarebbe stata offerta una spiegazione causale alternativa dello sparo, ritenuto accidentale dalla difesa. Non possiamo concordare con un ragionamento simile. Intanto, preme rilevare – e non per solidarietà di categoria” chi scrive esercita la professione di avvocato penalista – che qualsiasi affermazione difensiva, anche la più compromettente per la posizione processuale del proprio assistito non può certamente possedere il potere magico? di creare” una realtà – l'elemento probatorio inteso quale grezzo dato fattuale – non dimostrata, ergo inesistente. In secondo luogo, il non aver negato una data circostanza non equivale certamente ad averne implicitamente ammesso l'esistenza. In terzo luogo, la pretesa della spiegazione causale alternativa, sebbene possa ritenersi doverosa per avvalorare una certa tesi difensiva o accusatoria , non può – in nessun caso, e occorre ribadirlo con forza – tradursi in una inversione dell'onere della prova.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 4 aprile – 6 luglio 2017, n. 32968 Presidente Vessichelli – Relatore Scotti Ritenuto in fatto 1. La Corte di assise di appello di Bari con sentenza del 4/2/2016, ha riformato la sentenza della Corte di Assise di Trani del 12/12/2014, appellata dall’imputato, che aveva riconosciuto V.F. responsabile del reato di omicidio preterintenzionale aggravato dall’uso di arma di cui agli artt. 584 e 585 cod.pen. in danno di D.B.L. , così riqualificata l’originaria imputazione di omicidio volontario, e, concesse circostanze attenuanti della provocazione e generiche in via prevalente lo aveva condannato alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione, con interdizione per anni 5 dai pubblici uffici, e con il risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, da liquidarsi in separato giudizio. La Corte di assise di appello ha riqualificato il fatto come omicidio colposo ai sensi dell’articolo 589 cod. pen. e, con le già concesse circostanze attenuanti, ha rideterminato la pena inflitta in mesi 8 di reclusione, sospendendola condizionalmente, e ha confermato le statuizioni civili. L’imputazione di omicidio volontario, derubricata dapprima in omicidio preterintenzionale e quindi in omicidio colposo, contestava a V.F. di aver sparato due colpi con un fucile automatico, legalmente detenuto, contro la vittima D.B.L. dalla distanza di 6/7 metri, frontalmente e in condizioni di scarsa visibilità per l’orario notturno e l’assenza di adeguata illuminazione, attingendola con uno di essi all’arteria femorale, mentre questa, con altre persone rimaste ignote, si era introdotto nell’ovile di pertinenza della sua masseria allo scopo di impossessarsi con violenza sulle cose di un furgone Iveco e di alcune pecore di sua proprietà, nonché di due ponies affidatigli in custodia giudiziale ne era derivata la morte del D.B. , anche per il contributo causale colposo dei complici, che non lo avevano portato all’ospedale più vicino. 2. Hanno proposto ricorso i difensori di fiducia dell’imputato, avv.prof.Oreste Dominioni e avv.Graziella Vittoria Simionato, svolgendo due motivi. 2.1. Con il primo motivo viene denunciata la nullità della sentenza impugnata ex articolo 125, comma 3 e 546, comma 1, lett.e , cod.proc.pen. per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione circa l’affermata responsabilità dell’imputato ex articolo 589 cod.pen Il rimprovero mosso dalla Corte di assise di appello per aver il V. ignorato la regola di comune cautela di non maneggiare il fucile con il dito sul grilletto era in parte tautologico e in parte frutto di travisamento l’ulteriore addebito di non essersi adoperato per acquisire le informazioni relative all’arma posseduta non era stato adeguatamente parametrato al motivo della detenzione dell’arma. La Corte aveva travisato le risultanze probatorie perché il V. non aveva mai ammesso di aver imbracciato il fucile tenendo il dito sul grilletto e aveva al contrario sostenuto di averlo infilato nella rete metallica sovrastante il muretto di separazione tra il cortile e l’ovile. Inoltre non era mai stata chiarita la causa che aveva determinato l’esplosione del primo sparo, quello che aveva attinto la vittima, perché l’arma non era mai stata provata e il meccanismo di scatto non era mai stato misurato, sicché era ben possibile la sussistenza di un difetto di funzionamento dell’arma. Il ragionamento della sentenza impugnata era fondato su presunzioni apodittiche che avevano desunto dal fatto della partenza accidentale del colpo il precedente maneggio con leggerezza dell’arma da parte di chi non si era debitamente informato sul suo funzionamento. 2.2. Con il secondo motivo viene denunciata la nullità della sentenza impugnata ex articolo 125, comma 3 e 546, comma 1, lett.e , cod.proc.pen. per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione circa l’esimente del caso fortuito di cui all’articolo 45 cod.pen. La Corte di assise d’appello avrebbe in parte ignorato e in parte travisato gli elementi probatori, dai quali emergevano le condizioni ambientali di totale oscurità, l’impossibilità di scorgere alcunché, a parte il furgone di colore bianco, gli abiti scuri indossati dalla vittima, che avrebbero dovuto condurre ad escludere ogni profilo di colpa rimproverabile e a riconoscere il vuoto probatorio in ordine alla causa dell’esplosione del primo sparo. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione circa l’affermata responsabilità dell’imputato ex articolo 589 cod.pen. Al V. era stato imputato il reato di omicidio volontario per aver sparato volontariamente verso i ladri sorpresi nell’ovile. La Corte di assise di Trani ha escluso la volontà di uccidere e ha ritenuto in capo al V. invece la sola volontà di ledere, almeno per il primo sparo, per aver esploso il colpo in direzione del luogo in cui riteneva si trovassero i ladri, conseguentemente riqualificando il reato in omicidio preterintenzionale. La Corte di assise di appello, sgombrando al contempo il campo da un’ipotesi di legittima difesa, neppur invocata dall’imputato, ha escluso in capo al V. l’intenzione di ledere anche con il primo sparo e conseguentemente l’omicidio preterintenzionale. Ciò all’esito di un ragionamento basato, da un lato, sull’attento scrutinio dell’attendibilità e della coerenza delle dichiarazioni rilasciate dal V. nell’immediato seguito dell’episodio prima al figlio M. , poi in sede di denuncia orale di furto e poi dinanzi al Pubblico Ministero , che l’aveva condotta ad escludere una strumentale progressiva modificazione della versione dei fatti, dall’altro, sulla rivalutazione delle condizioni di visibilità al momento della vicenda, che l’aveva portata a ritenere la totale oscurità dell’area ove si trovavano i ladri e così ad escludere che il V. potesse scorgere le loro sagome. La Corte di assise d’appello ha accettato l’ipotesi dell’involontarietà anche del primo sparo e ha tuttavia ritenuto che il V. avesse cagionato involontariamente, ma colposamente, la morte del D.B. con un comportamento imprudente, per aver imbracciato, per sua stessa ammissione, il fucile tenendo il dito sul grilletto, estremamente sensibile perché privo di corsa a vuoto , in modo che una minima accidentalità l’appoggio della canna dell’arma in una losanga della rete di recinzione e lo stato di agitazione dell’imputato fosse sufficiente a determinare un aumento della pressione del dito sul grilletto e la partenza del colpo. La violazione della regola di cautela di non maneggiare l’arma da caccia con il dito sul grilletto ultrasensibile meritava rimprovero, sia perché si trattava di una precauzione ben nota ai cacciatori e che non poteva essere ignorata dal possessore, sia perché secondo la comune diligenza sarebbe stato doveroso informarsi adeguatamente sulle caratteristiche del fucile da parte di chi lo deteneva. 1.1. Il ricorrente ravvisa il travisamento delle risultanze probatorie perché il V. non aveva mai ammesso di aver imbracciato il fucile tenendo il dito sul grilletto e aveva al contrario sostenuto di averlo infilato nella rete metallica sovrastante il muretto di separazione tra il cortile e l’ovile. La censura proposta, che pur coglie un’effettiva imprecisione in cui è incorsa la Corte territoriale, non appare idonea a scardinare il fondamento sostanziale della motivazione della sentenza impugnata secondo la giurisprudenza della Corte, infatti il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio. determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774 Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516 Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207 . 1.2. La censura trae le mosse da un’effettiva imprecisione della sentenza di appello che assume che il V. avrebbe ammesso di aver tenuto il dito sul grilletto senza indicare precisamente in quale circostanza sarebbe avvenuta l’ammissione ciò in effetti, non risulta affermato né nella denuncia orale di furto, né nell’interrogatorio dinanzi al P.M., né de re lata dal figlio M. . Nelle sue personali dichiarazioni il V. ha ammesso di aver imbracciato il fucile e di averlo appoggiato in un varco a losanga della rete di recinzione, ma non ha espressamente affermato di aver avuto il dito sul grilletto, comportamento questo ritenuto accertato dalla Corte territoriale e posto a motivo di rimprovero per imprudenza. E tuttavia, come riferito dalla Corte nella sentenza impugnata alla pagina 28, era stata la difesa dell’imputato con la proposizione dell’appello, nel quadro delle argomentazioni volte a suffragare l’involontarietà dell’azione, ad assumere che il V. avesse infilato la canna del fucile nella grata metallica e che in quello stesso momento, a causa di una involontaria pressione del dito sul grilletto determinata dallo stato di forte agitazione in cui versava l’imputato, dall’arma era improvvisamente partito un colpo verso il basso. 1.3. La Corte ha quindi desunto il fatto ignoto ossia l’appoggio del dito di V.F. sul grilletto dal fatto noto non esistente e supposto dell’ammissione resa dall’imputato, mentre l’ammissione era contenuta in un atto redatto dal difensore, che peraltro era stato proposto nell’interesse dell’imputato e nel contesto di una argomentazione preordinata a conseguire un risultato per lui favorevole, ossia l’esclusione dell’intenzionalità lesiva dell’atto, poi effettivamente ottenuto con la sentenza impugnata. 1.4. In secondo luogo, se è vero che il V. non ha mai dichiarato di aver avuto il dito appoggiato sul grilletto, è altrettanto vero che non lo ha mai escluso, se non dopo che l’appoggio del dito sul grilletto gli è stato rimproverato a titolo di colpa dalla Corte di assise di appello soprattutto non risulta che né il V. nelle sue personali dichiarazioni, né i suoi difensori abbiano mai prospettato in sede di merito la spiegazione causale alternativa del difetto di funzionamento dell’arma, capace di sparare da sola in difetto di pressione del dito sul grilletto, ipotesi questa del tutto anomala e comunque agevolmente verificabile. 1.5. L’accertamento del fatto ignoto scaturisce così dall’accertamento del semplice fatto dell’esplosione del colpo in via induttiva, in assenza di altra possibile causa determinante. Secondo il ricorrente tale inferenza logica avrebbe potuto essere formulata solo se si fosse potuto dare per accertata la funzionalità dell’arma in questione, esente da difetti, che escludessero la possibile esplosione di un colpo anche in assenza dell’appoggio del dito sul grilletto. Il ricorrente assume che tale accertamento non è stato compiuto, perché il perito balistico prof. Vi. , consulente dell’imputato, escusso all’udienza del 24/10/2014 aveva dichiarato che l’esclusione di un colpo avrebbe richiesto un’autonoma pressione del dito sul grilletto, a meno che non vi fosse un difetto di funzionamento dell’arma che però non gli risultava che fosse stata provata, aggiungendo la considerazione generale che il meccanismo di scatto di un’arma va sempre provato il prof. Vi. ha anche riferito che il personale del RIS aveva parlato di un meccanismo di scatto di alcuni chili, ma di ignorare le basi di tal valutazione in difetto di menzione dell’impiego del dinamometro. Il Maresciallo R. del RIS, Consulente del P.M., all’udienza del 15/7/2014 a specifica domanda ha risposto che la pressione esercitata per lo sparo non era stata misurata, ma poteva essere valutata nell’ordine di pochissimi chili. 1.6. È vero che la misurazione esatta con l’appropriato strumento tecnologico della entità della pressione da esercitare sul grilletto per esplodere il colpo non è stata eseguita, ma è altresì vero - e la cosa risulta con chiarezza dalla sentenza di primo grado - che il fucile Beretta in questione era stato esaminato dal M.llo R. del RIS di Roma relazione del 30/9/2011, acquisita all’udienza del 6/6/2014 e sottoposto a prove di funzionalità meccanica prove di armamento e scatto in bianco e operativa prove di sparo ed era risultato efficiente e funzionante cfr sentenza di primo grado, pag.26 e 42 . Quindi, anche in difetto di una specifica misurazione del coefficiente di pressione necessario per far partire il colpo, l’accertata funzionalità dell’arma consente di escludere un macroscopico difetto di funzionamento tale da determinare un’esplosione autonoma non provocata dal dito sul grilletto. Quindi alla luce di questo elemento di fatto, risultante dalla sentenza di primo grado e dalla stessa deposizione del M.llo R. richiamata dal ricorrente si può escludere il difetto di funzionamento. 1.7. Per questa ragione il ragionamento della Corte circa l’induzione della presenza del dito di V.F. sul grilletto mai personalmente affermata ma neppure mai esclusa si regge egualmente sull’accertata insussistenza di un’altra spiegazione naturalisticamente accettabile dell’esplosione del colpo. 1.8. Secondo il ricorrente il rimprovero di imprudenza mosso all’imputato dalla Corte di assise di appello per aver ignorato la regola di comune cautela di non maneggiare il fucile con il dito sul grilletto sarebbe in parte tautologico e in parte frutto di travisamento l’ulteriore addebito di non essersi adoperato per acquisire le informazioni relative all’arma posseduta non sarebbe stato adeguatamente parametrato al motivo della detenzione dell’arma. La doglianza è generica e comunque infondata, poiché la Corte ha identificato in modo lineare e coerente e comunque privo di ogni vizio logico manifesto la norma di precauzione violata, ossia quella di non maneggiare un fucile da caccia con il dito sul grilletto ultra-sensibile e non sul ponticello, perché un lieve aumento involontario della pressione può far esplodere un colpo, e ne ha richiesto il rispetto da parte dell’imputato sulla base della sua appartenenza ad una categoria qualificata, ossia quella dei proprietari-possessori di fucile da caccia. La Corte territoriale si è quindi conformata al principio giurisprudenziale secondo il quale ai fini dell’accertamento della responsabilità per fatto colposo, è sempre necessario individuare la regola cautelare, preesistente alla condotta, che ne indica le corrette modalità di svolgimento, non potendo il giudice limitarsi a fare ricorso ai concetti di prudenza, perizia e diligenza senza indicare in concreto quale sia il comportamento doveroso che tali regole cautelari imponevano di adottare Sez. 4, n. 31490 del 14/04/2016, Belli, Rv. 267387 . Infatti l’elemento soggettivo del reato di omicidio colposo richiede non soltanto che l’evento dannoso sia prevedibile, ma altresì che lo stesso sia evitabile dall’agente con l’adozione delle regole cautelari idonee a tal fine cosiddetto comportamento alternativo lecito , non potendo essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con valutazione ex ante, non avrebbe potuto comunque essere evitato Sez. 4, n. 7783 del 11/02/2016, P.C. in proc. Montaguti, Rv. 266356 . L’esonero dal rispetto del parametro di diligenza e prudenza non poteva derivare dal fatto che il V. non era un cacciatore ma mero possessore del fucile per esigenze difensive, circostanza questa che non rifluiva in alcun modo sul livello delle precauzioni da adottare in ordine all’uso dell’arma e alla necessità di informarsi adeguatamente al proposito per prevenire incidenti oggetto questo di puntuale rimprovero mosso dalla Corte territoriale per negare effetto liberatorio all’eventuale ignoranza da parte del V. della predetta regola esperienziale . 2. Con il secondo motivo, imperniato sulla critica per il mancato riconoscimento del caso fortuito, il ricorrente sostiene che la sentenza d’appello aveva in parte ignorato e in parte travisato gli elementi probatori, dai quali emergevano le condizioni ambientali di totale oscurità, l’impossibilità di scorgere alcunché, a parte il furgone di colore bianco, gli abiti scuri indossati dalla vittima, che avrebbero dovuto condurre ad escludere ogni profilo di colpa rimproverabile e a riconoscere il vuoto probatorio in ordine alla causa dell’esplosione del primo sparo. Il ragionamento critico non raggiunge il segno perché, in presenza di nesso causale materiale fra la condotta del V. e l’evento involontariamente causato della morte del D.B. , le osservazioni svolte non colgono in modo pertinente la ratio decidendi della sentenza impugnata in cui l’accertamento della colpa per imprudenza del V. prende le mosse proprio dal mancato avvistamento della vittima e dalla ritenuta totale involontarietà della modesta pressione esercitata sul grilletto. 3. Il ricorso va quindi respinto ne consegue la condanna del ricorrente ai sensi dell’articolo 616 cod.proc.pen. al pagamento delle spese del procedimento nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili comparse D.B.M. e D.B.A. , liquidate in Euro 2.000,00 ciascuno, oltre accessori di legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, che liquida in Euro 2.000,00 per D.B.M. e Euro 2.000,00 per D.B.A. , oltre accessori di legge.