Regime differenziato “inumano” se il detenuto è gravemente malato

In tema di regime carcerario differenziato di cui all’art. 41-bis ord. pen., il giudice non può non valutare, ai fini della legittimità della proroga del carcere duro”, l’incidenza dello stato di salute del detenuto sia con riguardo al divieto di realizzazione di un trattamento inumano o degradante, sia con riguardo alla analisi della condizione di attuale pericolosità dello stesso e di possibili rapporti criminogeni con l’esterno.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 32405/17 depositata il 5 luglio. Proroga del regime differenziato. La questione riguarda la legittimità della proroga del regime di cui all’art. 41- bis ord. pen. nei confronti di un detenuto all’ergastolo, ultranovantenne, oramai da più di venti anni sottoposto alla disciplina differenziata, nel cui interesse era stato proposto reclamo avverso il decreto ministeriale di proroga. Il Tribunale rigettava motivando che, seppure in presenza di serie e gravi condizioni di salute, in assenza di patologie che incidano sullo stato mentale e sulle capacità cognitive del soggetto recluso , permanga il pericolo di contatti con l’ente criminale di appartenenza, dato che secondo i Giudici si riconosce valenza alle sole affezioni psichiche che, nell’ipotesi in cui siano tanto compromesse da menomare la capacità di comprensione e di comunicazione, potrebbero sminuire la possibilità dei contatti . Nessun trattamento contrario al senso di umanità. Ebbene, tale ragionamento non viene condiviso né dal ricorrente né dalla Corte che ritiene, invero, fondato il ricorso. La Corte motiva il proprio convincimento, innanzitutto, in relazione al principio costituzionale di cui all’art. 27, secondo cui nessuno può essere sottoposto a trattamenti contrari al senso di umanità, e a quanto stabilito dall’art. 3 CEDU per cui nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti , principio questo, assolutamente inderogabile, a prescindere dalla tipologia di reato commesso dal detenuto. Condizioni di salute e regime differenziato. Il provvedimento impugnato, secondo gli ermellini, sarebbe illogico sotto due profili. Infatti, il Tribunale afferma, ai fini della conferma o meno del regime differenziato, l’irrilevanza dello stato salute del detenuto, peraltro in età avanzata, anche se tale stato può determinare un rischio concreto di trattamento inumano o degradante. Ma, secondo la Corte tale affermazione non può essere assolutamente condivisa, trattandosi, al contrario, di un dato necessariamente rilevante. Al giudice, infatti, spetta verificare, tra le altre cose, che le specifiche modalità detentive non si pongano come fattore di aggravamento delle condizioni soggettive del recluso. Se sussiste, invero, un nesso di causalità tra la proroga del regime differenziato e l’aggravamento delle condizioni di vita del soggetto sottoposto a tale regime, tali che possano ritenersi incidenti sulla legalità complessiva della detenzione nei termini individuati dalla giurisprudenza internazionale, è d’obbligo la rimozione del regime di cui all’art. 41- bis ord. pen Regime differenziato e patologia psichica. L’altra affermazione non condivisibile, secondo i giudici di legittimità, è quella per la quale solo un’infermità psichica, che renda il soggetto totalmente incapace di rapportarsi al mondo esterno, rileva sul giudizio di legittimità della proroga del carcere duro”. Tale pretesa è, infatti, eccessiva, posto che è ovvio che un soggetto in tali condizioni non possa mai rappresentare un pericolo. Di contro, il giudice ha un obbligo di verifica, ai fini della valutazione della pericolosità sociale del soggetto detenuto, sulle condizioni attuali e sulla complessiva personalità del soggetto. Rilevanza dello stato generale del detenuto ai fini del mantenimento del regime di carcere duro. Ciò significa che costituisce violazione di legge l’omessa valutazione di qualunque stato patologico, insorto a carico del detenuto, nei procedimenti tesi a dichiarare la legittimità o meno dell’applicazione o della proroga del regime differenziato. Non può, dunque, prescindersi da un apprezzamento dello stato di salute anche fisica del detenuto, che è rilevante ai fini della valutazione del pericolo dallo stesso rappresentato nei confronti della collettività. Tale valutazione, peraltro si impone, altresì, quando coesistono due diverse esigenze di tutela, da un lato quelle di contenimento della pericolosità sociale e dall’altra quella della tutela della salute del detenuto, in ossequio ai principi di garanzia previsti dall’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e dall’art. 27 della nostra Carta costituzionale, già citati. In tal caso, infatti, la pericolosità sociale del detenuto andrà rapportata necessariamente anche ad eventuali stati patologici che, in regime differenziato, possano trasformarsi in trattamenti contrari al senso di umanità, facendo degradare la condizione generale del detenuto oltremodo, rispetto alle già più restrittive condizioni derivanti dalle modalità previste dall’art. 41- bis ord. pen

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 23 febbraio – 5 luglio 2017, n. 32405 Presidente Bonito – Ritenuto Magi Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma con ordinanza emessa in data 19.2.2016 ha respinto il reclamo proposto da F.G. avverso il decreto ministeriale del 27.10.2015 di proroga del regime differenziato previsto dall’art. 41 bis ord.pen Al fine di meglio comprendere il tema posto dal reclamante, odierno ricorrente, va ricordato che a F.G. , nato il omissis dunque ultranovantenne è sottoposto al regime differenziato da oltre venti anni b la condanna in espiazione è alla pena dell’ergastolo, per fatti avvenuti non oltre l’anno 1992. Tra i fatti in espiazione risultano le stragi di mafia del 1992, per aver ricoperto il F. - all’epoca - il ruolo di vertice del mandamento di cosa nostra di Ganci-San Mauro Castelverde anche membro permanente della cd. commissione provinciale . In relazione ai contenuti del reclamo si evidenzia che, pure in presenza di condizioni di salute di indubbia serietà patologica, dette patologi’e risultano di natura esclusivamente organica e non incidono sullo stato mentale e sulle capacità cognitive del soggetto recluso. Dunque in presenza del permanente pericolo di contatti motivato in sede di decreto ministeriale in modo congruo con l’ente criminale di appartenenza - si osserva -, la deroga al regime ordinario risulta legittima, posto che ai fini qui in rilevo si riconosce valenza alle sole affezioni psichiche che, nell’ipotesi in cui siano tanto compromesse da menomare la capacità di comprensione e di comunicazione, potrebbero sminuire la possibilità dei contatti . 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo del difensore - F.G. . Con il ricorso, dopo una breve premessa i’n fatto, si deduce erronea applicazione della disciplina regolatrice ed assenza di motivazione su profili rilevanti. La difesa lamenta l’omessa ponderazione tra le gravi condizioni di salute aggravate anche dall’età e la necessità di mantenimento del regime differenziato. In tesi, a fronte del lungo periodo di applicazione di tale regime e della assenza di segni visibili di vitalità, all’esterno, del gruppo criminoso di originaria appartenenza, la valutazione del Tribunale - specie in rapporto alla necessità di conciliare la tutela sociale con il divieto di trattamenti inumani o degradanti avrebbe dovuto porre in evidenza aspetti di particolare livello e attualità” della pericolosità del soggetto recluso, in realtà inesistenti. Si evidenzia come il figlio del F. , detenuto da oltre venti anni, non si trovi piu’ sottoposto al regime differenziato ma a quello ordinario, a dimostrazione del fatto che il mandamento di originaria appartenenza non dimostri vitalità. In ogni caso, si reputa erronea l’affermazione per cui - in sede di verifica della legittimità della proroga del regime differenziato - rilevino esclusivamente deficit di tipo cognitivo e non anche la gravità delle patologi’e organiche. Il complessivo giudizio sulle condizioni di salute infiluisce - in tesi - sul livello di pericolosità da cui deriva la legittimità delle restrizioni e in ogni caso tende a concretizzare una forma - vietata - di trattamento inumano o degradante. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e va accolto, per le ragioni che seguono. 2. La detenzione, in qualunque forma si realizzi, rappresenta una delle manifestazioni piu’ rilevanti del potere punitivo dello Stato, diretto verso gli autori di fatti previsti dalla legge come reato ed ha connotati costituzionali di validità molto precisi. La finalità primaria della pena - prevista in Costituzione - resta quella rieducativa almeno in termini di aspirazione ed in tale ambito vi è espresso divieto di infliggere al condannato trattamenti contrari al senso di umanità art. 27 co.3 Cost. . Va inoltre ricordato che tale divieto è previsto e rafforzato da strumenti giuridici sovranazionali, quali la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ratificata e resa esecutiva con legge n. 848 del 4.8.1955 e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea la legge n. 130 del 2008 ha ratificato e dato esecuzione al Trattato di Lisbona del 13.12.2007 che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi e con successiva comunicazione del Ministero degli Esteri del 20 gennaio 2010 si è dato avviso della entrata in vigore del suddetto Trattato di Lisbona, in data 1.12.2009, avendo depositato l’ultimo stato firmatario il proprio strumento di ratifica da ciò è derivata l’adozione in ambito UE - ai sensi dell’art. 6 TUE - della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7.12.2000, posto che secondo tale disposizione l’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti in tale Carta, che ha lo stesso valore giuridico dei Trattati . Non appare dunque possibile prescindere dalla formale vigenza sia dell’art. 3 Conv. Eur. secondo cui nessuno puo’ essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti che dell’art. 4 della cd. Carta di Nizza, formulato in identico modo, norme che forniscono ulteriore protezione al diritto al trattamento non contrario” al senso di umanità, in piena assonanza con la disposizione di cui all’art. 27 Cost Peraltro, va ricordato - sempre in premessa - che nella giurisprudenza della Corte Edu il divieto di cui all’art. 3 configura un obbligo positivo per lo Stato e non trova forma alcuna di bilanciamento in esigenze antagoniste. Ricorrente è infatti l’affermazione v. decisione Labita contro Italia per cui anche nelle circostanze piu’ difficili, quali la lotta contro il terrorismo e il crimine organizzato, la Convenzione vieta in termini assoluti la tortura e le pene o trattamenti disumani o degradanti. L’articolo 3 non prevede restrizioni, in contrasto con la maggior parte delle clausole normative della Convenzione e dei Protocolli nn. 1 e 4, e secondo l’articolo 15 par. 2 non ammette alcuna deroga, anche in caso di pericolo pubblico che minaccia la vita della nazione sentenze Selmouni c/ Francia GC , n. 25803/94, par. 95, CEDU 1999-V Assenov e altri c/ Bulgaria del 28 ottobre 1998, par. 93 . Il divieto della tortura o delle pene o trattamenti disumani o degradanti è assoluto, quali che siano i comportamenti della vittima sentenza Chahal c/ Regno Unito del 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, p. 1855, par. 79 . La natura del reato ascritto al ricorrente non è pertanto pertinente per quanto riguarda l’esame sulla base dell’articolo 3 . 3. Ciò posto, a venire in rilievo nel caso in esame sono - essenzialmente - due affermazioni in diritto contenute nel provvedimento impugnato che, ad avviso del Collegio, non possono essere ritenute esatte. 3.1 La prima riguarda la sostanziale irrilevanza a fini di conferma o meno del regime differenziato di una condizione patologica obiettivamente grave che unita all’età avanzata - determini il concreto rischio di trattamento inumano o degradante. L’affermazione non è condivisibile, posto che li’ dove - ed è compito del giudice di merito accertarlo - la specifica modalità” di detenzione con innegabile surplus di afflittività correlato a talune restrizioni si ponga come fattore di aggravamento della complessiva condizione di vita del soggetto recluso, il tema è - di contro rilevante. L’autorità giurisdizionale concorre, infatti, all’attuazione dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili della persona garantiti dalla Carta Costituzionale e dai Trattati sovranazionali in ogni occasione di intervento che involga - per attribuita competenza interna correlata al procedimento trattato - tali principi o tali diritti si veda, tra le altre, la generale affermazione contenuta in Sez. VI n. 20514 del 28.4.2010 . Pertanto, li’ dove risulti sussistente un concreto rischio” di concretizzazione di trattamento inumano o degradante spetta all’autorità giurisdizionale effettuare la verifica di tale aspetto e se - come nella situazione in esame - la procedura riguardi una modalità di attuazione del trattamento carcerario incidente” sulla legalità complessiva” della detenzione, è compito del giudice verificare la sussistenza - o meno - di un nesso causale tra la proroga del regime differenziato e l’aggravamento delle condizioni di vita del soggetto. Ove si arrivi alla conclusione della esistenza di tale incidenza - anche in termini di concausa” di un trattamento che si configuri come inumano o degradante - è da ritenersi necessaria anche ai sensi del citato art. 3 Conv.Eur. la rimozione del regime differenziato, ferma restando - per il limite di competenza correlato all’oggetto del procedimento - la protrazione del regime detentivo ordinario, sulla cui validità dovrà pronunziarsi altra autorità giudicante ai sensi degli artt. 146 e 147 cod. pen. . 3.2 La seconda affermazione che contrasta con la recente evoluzione della giurisprudenza di questa Corte di legittimità è quella per cui soltanto una patologia psichica totalmente invalidante incidente sulla capacità cognitiva del recluso potrebbe - in tesi - avere rilievo sul giudizio in tema di applicazione o proroga del regime differenziato di cui all’art. 41 bis ord.pen In altri termini, il Tribunale afferma che soltanto un giudizio di constatazione” della impossibilità di comunicare validamente con terzi realizza la condizione dell’assenza di quel particolare pericolo”, legittimante le restrizioni al regime detentivo. Sul piano logico/giuridico l’affermazione prova troppo”. È infatti evidente che se un soggetto, per condizione patologica sopravvenuta incidente sulla sfera cognitiva, non è in grado di articolare validamente il proprio pensiero o recepire il pensiero altrui non può rappresentare - nemmeno in via di ipotesi - un pericolo. Ma nel sistema giuridico vigente il giudizio di pericolosità - in tutte le sue numerose forme - non è esclusivamente di tipo constatativo”, quanto essenzialmente di tipo prognostico e constatativo insieme, nel senso che l’analisi della condizione attuale e della complessiva personalità del soggetto influisce su ciò che è - per comune accezione - una prognosi rivolta alle future, probabili condotte. Dunque la pretesa di una constatazione” della neutralizzazione finisce con il ridimensionare in modo eccessivo l’ambito valutativo giurisdizionale, che può e deve articolarsi sui binari della prognosi razionale. Questa Corte, con la decisione numero 16019 del 27 gennaio 2016 rv 266620 ha affermato che costituisce violazione di legge - nei procedimenti tesi alla verifica delle condizioni di validità della applicazione o protoga del regime differenziato - l’omessa considerazione da parte del giudice della incidenza dello stato patologico, eventualmente insorto a carico del detenuto, sulla particolare valutazione di pericolosità richiesta della norma. Tale arresto, che il Collegio condivide, va dunque ribadito nel caso in esame, caratterizzato peraltro dalla esistenza di un fattore obiettivo di aggravamento della condizione fisica correlato all’età del soggetto recluso, ultranovantenne. Non vi è alcuna ragione, in particolare, per limitare l’indagine ai profili di patologi’a psichica, come ipotizzato dal Tribunale di Sorveglianza. Richiamando qui i contenuti motivazionali di tale precedente, va ribadito che non può dirsi, infatti, di per sé ed in ogni caso ininfluente la sopravvenuta condizione fisica del soggetto - ove siano emerse patologie di particolare rilievo in rapporto alla pregressa attitudine antisociale e, pertanto, il tema in questione non può dirsi estraneo ad un giudizio di necessaria attualizzazione” del pericolo rappresentato, in tesi, dall’abbandono del particolare regime differenziato in favore di quello ordinario , specie li’ dove la particolare gravità della patologia imponga un contemperamento tra le opposte esigenze in rilievo si vedano anche i recenti approdi della giurisprudenza sovranazionale, sul delicato rapporto tra esigenze di contenimento della pericolosità sociale, proroga di regime differenziato speciale e necessaria tutela delle condizioni di salute del soggetto recluso, in particolare la decisione emessa dalla Corte Edu in data 17 novembre 2015 nel caso Bamohammaud contro Belgio, con ritenuta violazione del divieto di trattamento inumano o degradante di cui all’art. 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nello specifico caso esaminato in termini generali, il necessario apprezzamento della incidenza delle condizioni di salute del soggetto recluso in rapporto alle ragionevoli contingenze della carcerazione ed ai fini di cui all’art. 3, norma che impone la protezione adeguata dell’integrità fisica del soggetto sottoposto a privazione della libertà, è stato evidenziato, pur non ravvisandosi violazione, nella decisione Enea c. Italia, emessa dalla Grande Camera il 17 settembre 2009 proprio in riferimento al regime differenziato italiano di cui all’art. 41 bis ord.pen 3.3 Per quanto sinora affermato, la decisione impugnata finisce per evitare di confrontarsi con un tema rilevante, rappresentato dalla possibile incidenza” delle condizioni di salute unite all’età particolarmente avanzata sulla complessiva legittimità della proroga del regime differenziato, sia in punto di divieto di realizzazione di un trattamento inumano o degradante che in tema di analisi della condizione attuale di pericolosità del recluso in rapporto alla necessaria inibizione di contatti potenzialmente criminogeni. Ne va pertanto disposto l’annullamento, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Roma. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Roma.