L’azione penale per il reato di oltraggio è procedibile anche se…

all’imputato, per il medesimo fatto, sia stata già irrogata una sanzione disciplinare per la violazione delle norme sull’ordinamento penitenziario.

Non viola il principio del ne bis in idem sostanziale, come sancito dall’art. 4, prot. 7 della Convenzione EDU e dall’art. 50 del Trattato di Nizza, e, dunque, è procedibile l’azione penale per il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale nei confronti di un soggetto detenuto nei cui confronti per lo stesso fatto sia già stata irrogata la sanzione disciplinare della esclusione dalla attività in comune per quindici giorni, non potendo ricondursi a tale sanzione disciplinare un contenuto sostanziale proprio della sanzione penale. In tale caso non trova spazio applicativo il divieto di doppio giudizio posto dall’art. 649 c.p.p Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 31873/17 depositata il 3 luglio. Il divieto di ne bis in idem nella giurisprudenza della Corte Edu. L’art. 4, Protocollo n. 7 della Convenzione EDU afferma il diritto di ciascun individuo a non essere giudicato o punito due volte. Tale diritto, di fondamentale rilevanza per garantire equità e proporzionalità delle sanzioni irrogabili in conseguenza di una condotta illecita e prevenire il rischio di una loro ingiusta duplicazione per il medesimo fatto, trova la propria attuazione nel divieto di perseguire o condannare penalmente un individuo per una violazione già oggetto di precedente giudizio definitivo. La giurisprudenza della Corte EDU ha individuato con la sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens ed altri c. Italia, il presupposto perché si abbia violazione del principio del ne bis in idem , consistente nell’irrogazione di una sanzione amministrativa, che per incidenza patrimoniale ed afflittività sia da considerarsi sostanzialmente” penale, ciò che impedisce di dare inizio ad un procedimento penale che porti alla irrogazione, per la medesima condotta, di una ulteriore sanzione formalmente e sostanzialmente penale. Il divieto in esame opera solo per fatti identici o fatti che sono sotto il profilo fenomenico i medesimi . Il medesimo principio è posto dall’art. 50 del Trattato di Nizza Costituzione UE , che nell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia non impedisce allo Stato membro una combinazione di sanzioni amministrative e penali per lo stesso fatto, se queste siano effettive, proporzionate e dissuasive . Sulla questione, la Corte EDU, con la sentenza del 15 novembre 2016, nel caso A. e B. contro Norvegia, ha fornito una nuova interpretazione del divieto di bis in idem alla luce del diritto ad un processo equo fissato dall’art. 6 della Convenzione EDU, che opera solo se le sanzioni amministrative assumono effettiva afflittività penale. Appaiono legittime le scelte legislative interne in tema di doppio binario sanzionatorio, se esse garantiscano una connessione temporale tra il procedimento amministrativo e il processo penale, tale da presentarsi tra loro integrati sul piano del fatto accertato, e un meccanismo di compensazione che assicuri la proporzionalità delle sanzioni complessivamente irrogate. I canoni applicativi dell’art. 649 c.p.p. nel caso di sanzioni irrogate ai sensi dell’ordinamento penitenziario. Il divieto di bis in idem alle ipotesi di previsione di un doppio binario sanzionatorio nel caso di cumulo di sanzioni, per effetto della qualificazione omogenea in termini sostanziali penali delle sanzioni amministrative, trova disciplina nel nostro ordinamento nell’art. 649 c.p.p., che pone il divieto di un doppio giudizio per le condanne penali. Il divieto di un secondo giudizio posto dall’art. 649 c.p.p. rende non procedibile l’azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo sia semplicemente pendente anche se in fase o grado diversi nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del PM. Nel procedimento eventualmente duplicato dev'essere disposta l'archiviazione oppure, se l'azione sia stata esercitata, dev'essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilità. La norma processuale viene ritenuta non suscettibile di interpretazione estensiva nel caso di cumulo tra sanzioni amministrative e penali e superabile solo attraverso la disapplicazione da parte del giudice nazionale, perché in contrasto con l’art. 50 Cost. UE ovvero la proposizione di un rinvio pregiudiziale alla Corte Giustizia ai sensi dell’art. 267 del Trattato CE. Sulla base di tale quadro normativo e dell’interpretazione del principio fornita dalla Corte EDU e dalla Corte di Giustizia, la Suprema Corte ha annullato la sentenza di non luogo a procedere resa dal Tribunale nei confronti di un soggetto imputato per il reato di cui all'art. 341- bis c.p. oltraggio a pubblico ufficiale per violazione del divieto del ne bis in idem , in quanto già condannato per lo stesso fatto, nell'ambito del procedimento disciplinare espletato a suo carico dal consiglio disciplinare, con la sanzione della esclusione dall’attività comune per giorni 15, prevista dall'art. 39 della legge 26 luglio 1975, n. 354 ordinamento penitenziario . Dopo aver ricostruito il mutato quadro normativo euro-unitario ed aver richiamato le conclusioni della Corte EDU sul caso A. e B. c. Norvegia, la Suprema Corte ha ritenuto che nel caso di specie non vi sia spazio applicativo per l’operatività dell’art. 649 c.p.p., che pone il divieto di un doppio giudizio penale per il medesimo fatto, pur se il procedimento disciplinare ai sensi dell'ordinamento penitenziario ed il procedimento penale hanno ad oggetto il medesimo fatto inteso in senso storico-naturalistico cioè la condotta di oltraggio in danno di un agente di polizia penitenziaria . La Corte esclude che la sanzione disciplinare di quindici giorni di esclusione dall'attività comune possa ritenersi avere la sostanza di una sanzione penale, alla luce dei parametri definiti dalla giurisprudenza della Corte EDU nei casi richiamati e dalla Corte di Giustizia della UE. In particolare, la sanzione prevista dall'art. 39 della l. 26 luglio 1975, n. 354 non ha natura formalmente penale né è qualificabile come tale in sostanza, in quanto – attraverso una riduzione temporanea delle attività in comune – si sostanzia in una diversa modalità della restrizione carceraria, tale da dare luogo ad un aggravamento di afflittività dello status detentionis molto modesto, visti la durata ed il grado d'intensità dell'inasprimento al regime limitativo della libertà personale. In sostanza la misura inflitta al detenuto non è commensurabile con alcuna delle sanzioni previste dal sistema penale come pene principali e, finanche, delle misure alternative alla pena detentiva.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 9 maggio – 3 luglio 2017, n. 31873 Presidente Rotundo – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Ascoli Piceno - chiamato a giudicare B.A. per il reato di cui all’art. 341-bis cod. pen. - ha dichiarato non doversi procedere per violazione del divieto del ne bis in idem, rilevando che l’imputato è stato già condannato per lo stesso fatto nell’ambito del procedimento disciplinare espletato a suo carico dal consiglio disciplinare della casa circondariale di Ascoli Piceno, con applicazione della misura personale dell’isolamento diurno, e che detta sanzione è equiparabile a quella penale, secondo i principi affermati dalla Corte EDU nella sentenza del 4 marzo 2014 nel procedimento Grande Stevens ed altri c/ Italia. 2. Il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Ancona ricorre avverso il provvedimento e ne chiede l’annullamento per violazione di legge penale. Evidenzia il ricorrente come il Tribunale abbia errato nel ritenere integrata un’ipotesi di bis in idem alla luce dei principi affermati dalla Corte Europea per i diritti dell’uomo, là dove al B. risulta essere stata applicata, in relazione alla condotta di oltraggio a pubblico ufficiale, la sanzione di quindici giorni di esclusione dall’attività comune, misura che - tenuto conto della qualificazione nell’ordinamento nazionale e del modesto grado di afflittività - non può in nessun modo assimilarsi ad una sanzione penale. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e, per l’effetto, la sentenza impugnata deve essere annullata. 2. La parte pubblica ricorrente chiede che la sentenza di non luogo a procedere resa dal Tribunale di Ascoli Piceno nei confronti di B.A. sia annullata per erronea applicazione di legge processuale e, segnatamente, per avere il Giudice a quo ritenuto integrata una violazione del principio del ne bis in idem - così come interpretato dalla Corte Europea per i diritti dell’uomo, specificamente nella sentenza del 4 marzo 2014, Grande Stevens contro Italia in considerazione del fatto che all’imputato sia già stata applicata, per il medesimo fatto oggetto della contestazione di oltraggio a pubblico ufficiale, la sanzione disciplinare prevista dall’art. 39 l. 26 luglio 1975, n. 354 Ordinamento penitenziario . 3. Il principio del ne bis in idem sostanziale costituisce un principio cardine del nostro ordinamento penale. Invero, l’art. 649 cod. proc. pen. - nel sancire che l’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze - risponde ad un’esigenza di ordine pubblico processuale, garantendo la certezza delle situazioni giuridiche accertate con decisione irrevocabile, e, nel contempo, è espressione di un principio di civiltà giuridica, là dove riconosce il diritto civile e politico dell’individuo a non essere perseguito due volte per lo stesso fatto. Il divieto del bis in idem ha certamente rilievo costituzionale, dal momento che si inquadra nel catalogo aperto dei diritti fondamentali della persona previsto negli artt. 2 e 3 Cost. e rappresenta il naturale corollario dei principi sanciti dalla Carta Fondamentale agli artt. 25, secondo comma, e 27, secondo comma, nonché dei principi del giusto processo presidiati dall’art. 111 Cost Al disposto dell’art. 649 del nostro codice di rito fanno da contrappunto le disposizioni dell’art. 4 del VII Protocollo addizionale alla Convenzione Europea per i diritti dell’uomo e l’art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea 2010/C 83/02 - direttamente applicabile nell’ordinamento interno in seguito all’incorporazione della Carta nel Trattato di Lisbona art. 6 TUE -, nella parte in cui ribadiscono nell’ambito del diritto convenzionale - sia pure, come si dirà nel prosieguo, con sfumature e raggio di copertura diversi - il divieto del bis in idem in materia penale. Occorre notare come la norma dell’art. 649 cod. proc. pen. circoscriva il campo di applicazione del divieto di bis in idem ai provvedimenti sull’idem factum aventi connotazione penale, segnatamente alla sentenza ed al decreto penale di condanna, mentre l’istituto risulta avere un ambito applicativo più ampio nel diritto convenzionale, grazie anche alla giurisprudenza espansiva delle Corti sovranazionali, segnatamente della Corte Europea per i diritti dell’uomo e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. 2.1. Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ribadita anche nella sentenza del 4 marzo 2014, Grande Stevens contro Italia richiamata dal Giudice a quo , al fine di stabilire la ricorrenza di una violazione del principio del ne bis in idem convenzionale sancito dall’art. 4, prot. 7, CEDU, occorre verificare che sussista una accusa in materia penale ed, a tal fine, è necessario tenere presente tre criteri la qualificazione giuridica della misura in causa nel diritto nazionale, la natura stessa di quest’ultima, e la natura e il grado di severità della sanzione Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82, serie A n. 22 . Si tratta di criteri alternativi e non cumulativi, di tal che, perché possa parlarsi di accusa in materia penale ai sensi dell’articolo 6 § 1, è sufficiente che il reato in causa sia di natura penale rispetto alla Convenzione, o abbia esposto l’interessato a una sanzione che, per natura e livello di gravità, rientri in linea generale nell’ambito della materia penale . Ciò non impedisce di adottare un approccio cumulativo se l’analisi separata di ogni criterio non permette di arrivare ad una conclusione chiara in merito alla sussistenza di una accusa in materia penale Jussila c. Finlandia GC , n. 73053/01, § § 30 e 31, CEDU 2006-XIII, e Zaicevs c. Lettonia, n. 65022/01, § 31, CEDU 2007-IX estratti . Secondo la Corte Europea, la qualificazione giuridica dell’infrazione da parte dell’ordinamento nazionale è soltanto un punto di partenza, formale e relativo, poiché ciò che rileva è la qualificazione secondo il comune denominatore della legislazione dei vari Stati membri, dunque, in ultima analisi, della stessa giurisprudenza della Convenzione C. EDU, 27 settembre 2011, Menarini Diagnostics s.r.l. c. Italia, § 39 . Perché il divieto possa ritenersi integrato è, pertanto, sufficiente che l’illecito abbia natura penale rispetto all’interpretazione della Convenzione o che, in alternativa/concorrenza, abbia esposto il soggetto ad una sanzione qualificabile come penale. In particolare, nella sentenza Grande Stevens c/ Italia, la giurisprudenza della Corte EDU ha ribadito l’impostazione sostanziale del concetto di idem factum, riaffermando il principio secondo il quale il divieto del ne bis in idem può ritenersi violato allorquando, per un fatto corrispondente sotto il profilo storico-naturalistico a quello oggetto di sanzione penale, sia già stata irrogata all’imputato una sanzione formalmente amministrativa, della quale venga riconosciuta natura sostanzialmente penale . Non si può omettere di rilevare come l’approdo della Corte EDU nella sentenza Grande Stevens non si ponga in perfetto allineamento rispetto all’ermeneusi dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea - che appunto disciplina la materia del ne bis in idem - seguita dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La Corte di Lussemburgo ha invero chiarito giudicando dei procedimenti penali in tema di frode fiscale che la violazione di siffatto principio postula che i provvedimenti già adottati nei confronti dell’imputato ai sensi di una decisione divenuta definitiva siano di natura penale 26/02/2013 C-617/10, Akerber Fransson, § 33 . Indicazione interpretativa che all’evidenza valorizza più l’aspetto della qualificazione formale della violazione, che quello sostanzialistico elaborato dalla Corte di Strasburgo sopra rammentato. Discontinuità che si registra anche sull’ulteriore piano dell’accertamento della violazione del principio del ne bis in idem, nella parte in cui la Corte di Giustizia ha affermato che la valutazione circa la natura o meno penale della sanzione deve essere rimessa al giudice del rinvio che dovrà verificare, alla luce dei criteri fissati dalla stessa Corte, se il cumulo di sanzioni realizzi l’ingiustificata duplicazione sanzionatoria , mentre la Corte EDU ritiene riservato in via esclusiva allo stesso Giudice di Strasburgo l’accertamento concernente the very nature of the offence sentenza Grande Stevens, cit. § 36 . La delineata divergenza di approccio rispetto alla materia ha forse indotto la Corte EDU al recente revirement interpretativo là dove, nella pronuncia resa il 15 novembre 2016 A e B c. Norvegia, ric. n. 24130/11 e 29758/11 , la Grande Camera ha restituito legittimazione al doppio binario sanzionatorio penale e amministrativo , affermando a maggioranza come non violi la garanzia del ne bis in idem, la celebrazione di un processo penale seguito dall’irrogazione della relativa sanzione nei confronti di chi sia già stato sanzionato in via definitiva dall’amministrazione tributaria con una sovrattassa pari, nel caso di specie, al 30% dell’imposta evasa , purché tra i due procedimenti sussista una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta . 2.2. Una chiara eco del sentire delle Corti Europee si rinviene nella giurisprudenza nazionale. Per un verso, vanno segnalate le questioni di incostituzionalità sollevate dinanzi al Giudice delle Leggi in merito alla violazione del principio del ne bis in idem in caso di doppio binario sanzionatorio cioè della legittimità della duplicazione sanzionatoria, penale ed amministrativa, per il medesimo fatto , dichiarate inammissibili con le decisioni n. 102 del 12 maggio 2016 e n. 112 del 20 maggio 2016 in relazione alla previsioni dell’art. 187- bis, comma 1, T.U.F. e dell’art. 10-ter d.lg. n. 74 del 2000 , rispettivamente per difetto di rilevanza e per sopravvenute modifiche legislative. Per altro verso, va rilevato come questa Corte, dopo avere per anni mantenuto fede alla tradizionale posizione di chiusura rispetto all’ampliamento del principio del ne bis in idem previsto dall’art. 649 c.p.p. al caso di procedimento penale avente ad oggetto il medesimo fatto per il quale sia stata già irrogata una sanzione amministrativa di natura sostanzialmente penale secondo l’interpretazione adottata dalla Corte EDU, ha investito la Corte di Giustizia di un rinvio pregiudiziale avente ad oggetto la corretta interpretazione dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, sia in un caso avente ad oggetto l’applicazione, da parte della Consob, di una sanzione amministrativa ai sensi dell’art. 187-bis T.U.F. in cui il procedimento penale si era invece concluso prima di quello amministrativo, con una sentenza irrevocabile di assoluzione che, nella ipotesi di una successiva e definitiva irrogazione della sanzione amministrativa, avrebbe condotto ad un problematico contrasto di giudicati Cass. Sez. 2 civ., 15/11/ 2016, n. 23232 sia in un altro precedente caso in cui i ricorrenti avevano definito il procedimento in sede penale con sentenza di patteggiamento e censuravano la sottoposizione ad un procedimento di opposizione alle sanzioni già irrogate nei loro confronti dalla Consob, con la conseguente violazione del loro diritto al ne bis in idem convenzionale Cass. Sez. Trib. 20/09/2016, n. 20675 . 3. Tracciate le linee generali dell’istituto del ne bis in idem come vivente nel nostro ordinamento processuale penale, ritiene la Corte che, in ossequio alle indicazioni della più moderna giurisprudenza nazionale e soprattutto sovranazionale, non ricorrano i presupposti per affermare che, nella specie, vi sia stata una violazione del principio del ne bis in idem sostanziale. 3.1. Dato per acclarato che il procedimento disciplinare ai sensi dell’ordinamento penitenziario ed il presente procedimento penale abbiano ad oggetto il medesimo fatto inteso in senso storico-naturalistico cioè la condotta oltraggiosa in danno dell’appartenente alla Polizia penitenziaria , è da escludere che la sanzione disciplinare di quindici giorni di esclusione dall’attività comune possa ritenersi avere la sostanza di una sanzione penale. Ed invero, anche avendo riguardo ai parametri definiti dalla giurisprudenza della Corte EDU nel caso Grande Stevens c/ Italia - che, come sopra chiarito, ha delineato un ambito di operatività del divieto di bis in idem più ampio di quello tracciato dalla giurisprudenza nazionale e della Corte di Giustizia della UE la sanzione disciplinare prevista dall’art. 39 l. 26 luglio 1975, n. 354 Ordinamento penitenziario non è qualificata come penale nel nostro ordinamento giuridico non ha cioè il nomen di pena e, soprattutto, non può ritenersi avere natura di sanzione penale. Si tratta difatti di sanzione che - nel prevedere l’”esclusione dalle attività in comune per non più di quindici giorni - comporta soltanto una diversa modalità della restrizione carceraria ed è suscettibile di dare luogo ad un aggravamento di afflittività dello status detentionis assai modesto, visti la durata ed il grado d’intensità dell’inasprimento al regime limitativo della libertà personale. Si tratta di misura non commensurabile con nessuna delle sanzioni previste dal sistema penale come pene principali e, finanche, delle misure alternative alla pena detentiva. 3.2. Escluso che B. sia stato già sottoposto, per il medesimo fatto oggetto del procedimento penale, ad una misura formalmente amministrativa, ma avente natura sostanzialmente penale , non v’è materia per ritenere integrata la violazione dell’art. 649 cod. proc. pen La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio alla Corte d’Appello di Ancona per il giudizio. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata e rinvia per il giudizio alla Corte d’Appello di Ancona.