“L’ha sposato per soldi”: frase che vale una condanna

Riconosciuta la colpevolezza di un uomo che ha parlato male della vedova di un suo familiare. Le parole utilizzate sono evidentemente offensive, tali da ledere la dignità della donna.

L’ha sposato solo per i soldi!”. Frase caustica e cinica nei confronti di una vedova. A pronunciarla è un parente del coniuge oramai deceduto. Logico che la donna reagisca male. Legittima è la condanna per diffamazione Cassazione, sentenza n. 31434/17, sez. V Penale, depositata il 23 giugno . Colloquio. La vicenda giudiziaria nasce a seguito di un colloquio tra alcuni familiari del defunto. In particolare, uno di loro sostiene che la moglie del loro congiunto lo abbia sposato allo scopo di ereditarne i beni, conoscendone la condizione di malato quasi terminale . Quelle parole giungono all’orecchio della vedova, che non la prende benissimo e cita in giudizio per diffamazione la persona che ha proferito quelle parole. Sia in primo che in secondo grado i giudici ritengono vi siano tutti i presupposti per arrivare a una condanna. Ciò perché è offensivo attribuire la volontà di sposarsi per interesse . E questa visione è condivisa ora dalla Cassazione. A rendere ancora più grave la frase utilizzata dal parente del defunto c’è il fatto che egli abbia sostenuto che la vedova si fosse sposata solo allo scopo di ereditare i beni di un uomo di cui conosceva la condizione di malato quasi terminale . E in questa ottica, aggiungono i giudici, non si può trascurare l’importanza che il matrimonio riveste dal punto di vista religioso, culturale, sociale e morale per la maggior parte dei cittadini italiani . In sostanza, le parole relative alla vedova hanno avuto una potenzialità lesiva non solo del suo personale amor proprio ma soprattutto della sua dignità e della considerazione da parte della comunità sociale, che, di regola, disapprova tali comportamenti .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 2 marzo – 23 giugno 2017, n. 31434 Presidente Bruno – Relatore De Gregorio Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata il Giudice monocratico di Locri ha confermato la decisione di primo grado nei confronti dell’imputato G. , che l’aveva condannato alla pena di giustizia ed al risarcimento dei danni per il reato di diffamazione consistita nell’attribuire a P.G. , comunicando con sue parenti, la volontà di essersi sposata per acquisire lo status di vedova, quindi per interesse. Epoca del fatto, omissis . 1.Avverso la decisione ha proposto ricorso l’imputato, che ha lamentato col primo motivo la violazione della legge processuale ed il vizio di motivazione, poiché la Corte aveva respinto l’eccezione riguardante la nullità dell’ordinanza ammissiva delle prove testimoniali d’accusa ai sensi dell’art 507 cpp, non rilevandone l’assenza di motivazione circa la necessità dell’integrazione istruttoria,nonché per essere le fonti di prova stesse già note al PM ed alla parte civile, che avrebbero potuto inserirle nella lista testi. 1.1 Nel secondo motivo è stata dedotta l’errata applicazione dell’art 192 co 1 cpp ed il vizio di motivazione, poiché il Giudice di appello avrebbe ritenuto l’inesistenza di ragioni per cui le donne presenti al fatto avrebbero potuto accordarsi con la persona offesa allo scopo di calunniare l’imputato. In proposito la sentenza avrebbe illogicamente valutato la certa esistenza di una situazione conflittuale tra la famiglia dell’imputato e quella di P. e non avrebbe sottoposto ad un rigoroso vaglio critico le dichiarazioni accusatorie, ignorando, tra l’altro, che G. aveva dimostrato che il giorno del presunto incontro con le parenti di P. egli si trovava in Napoli. 1.2 Tramite il terzo motivo sono state dedotte violazione di legge e vizio di motivazione, poiché la Corte aveva giudicato integrato il delitto di diffamazione senza esplicitare le ragioni per le quali le espressioni contenute in imputazione sarebbero state offensive e per le quali non aveva ritenuto integrato il diritto di critica. 1.3 Nel quarto motivo è stata censurata la motivazione per essere solo apparentemente resa in punto di risarcimento del danno. 1.4 Col quinto motivo è stata dedotta l’erronea applicazione della legge con riferimento all’art 131 bis cp, del quale è stata invocato il riconoscimento in questa fase. In data 15 Febbraio la difesa della parte civile ha depositato memoria con la quale ha chiesto il rigetto o la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. All’odierna udienza il PG, dr Di Leo,ha concluso per annullamento senza rinvio perché il fatto non sussiste il difensore della parte civile, avvocato Macrì, si è riportato alla memoria depositata e l’avvocato Comi, in difesa dell’imputato ha insistito per l’accoglimento del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Il primo motivo è inammissibile per la sua genericità, in quanto è identico nel contenuto al motivo proposto in sede di Appello, al quale la il Giudice territoriale ha dato congrua risposta, annotando che le persone chiamate a testimoniare dal PM erano già state ammesse dal Giudice di pace prima che lo stesso Ufficio di Accusa si riservasse di chiederne l’esame ex art 507 cpp. La sentenza appare, altresì, corretta in diritto, avendo fatto riferimento ad un orientamento giurisprudenziale formatosi e consolidatosi a seguito delle sentenza SU 41281/2006, Greco, secondo la quale il Giudice può esercitare il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova anche per quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto. In senso conforme Cass 21.2.2014, Tardiota ed in senso ancora più ampio Sez. 2, Sentenza n. 31882 del 30/06/2016 Ud. dep. 22/07/2016 Rv. 267505, secondo la quale l’ammissione di una prova testimoniale non tempestivamente indicata dalla parte nell’apposita lista testimoniale non comporta alcuna nullità, né la prova in questione, dopo essere stata assunta, può essere considerata inutilizzabile, considerato che rientra nei poteri del giudice acquisire prove anche d’ufficio, come previsto dall’art. 507 cod.proc.pen 2.Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile, avendo sviluppato critiche sul pieno merito del ragionamento decisorio condotto dal Giudice di secondo grado, riproponendo la censura circa la prova d’alibi che l’imputato avrebbe dato, questione già adeguatamente affrontata e risolta nella precedente fase. 2.1 In proposito è stato plausibilmente osservato che in querela era stata indicata per errore una data diversa da quella reale di accadimento del fatto, essendo inverosimile che le tre donne, avendo l’intenzione di calunniare l’imputato - come sembrava adombrare l’appellante - non avessero riferito l’episodio al giorno in cui il colloquio con costui era realmente avvenuto, come nessuno contestava. La sentenza impugnata, d’altra parte, ha adeguatamente confutato anche i risultati delle prove a discarico, puntualizzando che lo stesso imputato aveva dichiarato che al dialogo tra lui e le signore non aveva assistito alcuno e, quindi, le piccole divergenze indicate dai testi a difesa non avevano incidenza sulla ricostruzione del fatto emersa dai testi d’accusa ed accolta dalle sentenze di merito. 3.La critica posta col terzo motivo di ricorso circa la ritenuta integrazione del delitto di diffamazione non può essere accolta, tenuto anche conto del contesto dei rapporti tra la famiglia del deceduto e la parte civile, sua vedova. È, emerso, infatti, dalle sentenze del merito che proprio per motivi di eredità vi era un contenzioso giudiziario sia civile che penale tra le suddette parti, e l’imputato era legato da rapporti di affinità con i parenti del defunto. La frase di cui in imputazione, per la quale il giudicabile aveva attribuito a P.G. la volontà di essersi sposata per acquisire la condizione di moglie e poi di vedova, e, quindi, per interesse, assume un valore intrinsecamente offensivo della reputazione della donna, intesa come il senso della propria dignità personale nella opinione degli altri ed in sostanza nella considerazione sociale. 3.1 In proposito sia il difensore dell’imputato che il PG d’udienza hanno sostenuto che l’espressione incriminata fosse, invece, lesiva della sensibilità personale di P. , negandone, dunque, il carattere di obbiettività e l’idoneità ad integrare il delitto di diffamazione. 3.2 L’argomento non è fondato, poiché l’attribuzione alla persona offesa della deliberata volontà di sposare un uomo di cui conosceva la condizione di malato quasi terminale, allo scopo di ereditarne i beni, avendo in precedenza ottenuto lo status di moglie, è significativa di un comportamento contrario al comune sentire ed ai canoni etici condivisi dalla generalità dei consociati, Sez. 5, Sentenza n. 18982 del 31/01/2014 Ud. dep. 08/05/2014 Rv. 263167. Sul punto, inoltre, non deve trascurarsi l’importanza che il matrimonio riveste dal punto di vista religioso, culturale, sociale e morale per la maggior parte dei cittadini italiani, né sottovalutarsi il suo riconoscimento nella Costituzione quale fondamento della società naturale costituita dalla famiglia, della quale la Repubblica riconosce i diritti. Dunque le parole usate nei confronti di P. , incentrate sulla ipotizzata strumentalizzazione da parte sua del matrimonio a scopo di lucro, hanno avuto una potenzialità lesiva non solo del suo personale amor proprio ma soprattutto della sua dignità e dalla considerazione da parte della comunità sociale in cui è inserita, che, di regola, disapprova tali comportamenti. 4. Il risarcimento del danno non patrimoniale è stato congruamente, se pur sinteticamente giustificato dal Tribunale, dovendosi ricordare in proposito che questa Corte ha più volte sottolineato che la sua quantificazione è affidata a criteri discrezionale - ed equitativi ed ha ritenuto incensurabile in sede di legittimità la relativa pronunzia sotto il profilo del vizio di motivazione - come dedotto nella fattispecie - a meno che essa non sia assente o si discosti macroscopicamente da dati di comune esperienza e logica Sez. 5, Sentenza n. 35104 del 22/06/2013 Ud. dep. 14/08/2013 Rv. 257123, e tale ipotesi non ricorre nel caso in esame. 5.Riguardo al quinto motivo, col quale è stata lamentata la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art 131 bis cp, deve osservarsi che proprio perché la decisione di appello è intervenuta a Giugno 2015, dopo l’entrata in vigore della legge con la quale è stata introdotta la disposizione in parola, sarebbe stato onere del ricorrente sollecitarla al Giudice di merito come motivo o anche in fase di conclusioni, ostando alla sua adozione nella presente fase il divieto di cui agli articolo 606, comma terzo e 609 comma secondo cpp. In tal senso Sez. 6, Sentenza n. 20270 del 27/04/2016 Ud. dep. 16/05/2016 Rv. 266678 In tema di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, la questione dell’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto di cui all’art. 609 comma secondo cod. proc. pen., se il predetto articolo era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza d’appello. Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali, nonché alla refusione delle spese di parte civile, che sono liquidate in complessivi Euro 2000, oltre accessori di legge. Deve disporsi l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla refusione delle spese di parte civile,che liquida in complessivi Euro 2000, oltre accessori di legge. Dispone l’oscuramento a norma dell’art 52 dlgs 196/03.