La linea di confine tra la desistenza volontaria e il recesso attivo

La desistenza volontaria ha natura di esimente speciale e, per assumere rilievo giuridico, presuppone che l’azione sia penalmente rilevante, pertanto, occorre che la fattispecie sia pervenuta alla fase del tentativo punibile.

Lo chiarisce il collegio di legittimità con sentenza n. 31411/17 depositata il 23 giugno. Il caso. L’imputato, ritenuto colpevole del reato di furto consumato pluriaggravato di un paio di pantaloni e del tentato furto pluriaggravato di un paio di jeans, ricorre in Cassazione riproponendo la questione della qualificazione giuridica del fatto circa l’esclusione, da parte dei giudici di merito, dei presupposti della desistenza volontaria dal furto e del danneggiamento laddove, al contrario, è stata riconosciuta l’ipotesi del recesso attivo. Desistenza volontaria e recesso attivo. La Cassazione afferma che la giurisprudenza di legittimità identifica la linea di confine tra la desistenza volontaria ed il recesso attivo in corrispondenza del diverso stadio del tentativo . In particolare, continua la Corte, la desistenza volontaria ha natura di esimente speciale e per assumere rilievo giuridico presuppone che l’azione sia penalmente rilevante, pertanto, occorre che la fattispecie sia pervenuta alla fase del tentativo punibile . La desistenza volontaria si differenzia dal recesso attivo perché, in questo caso, l’azione esecutiva è interamente realizzata e non si è ancora verificato l’evento mentre, nel caso della desistenza, l’azione esecutiva è ancora in corso quando l’agente volontariamente la interrompe . In tal senso, la desistenza volontaria può indentificarsi in un tentativo incompiuto mentre il recesso attivo in un tentativo compiuto . Inoltre, precisano gli Ermellini che la volontarietà della desistenza non deve essere confusa con la spontaneità , nel senso che la desistenza è volontaria anche quando non è spontanea perché indotta da ragioni utilitaristiche o da considerazioni dirette ad evitare un male ipotizzabile o, ancora, dalla presa di coscienza degli svantaggi che potrebbero derivare dal proseguimento dell’azione criminosa . Nella fattispecie, la scelta dell’imputato di abbandonare il pantalone fuori dal camerino e, dunque, di interrompere l’azione furtiva, dettata dal fatto che nel togliere l’antitaccheggio con il coltello si era ferito una mano, integra, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, ipotesi di desistenza volontaria dall’azione criminosa. La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 7 marzo – 23 giugno 2017, n. 31411 Presidente Blaiotta – Relatore Dovere Ritenuto in fatto 1. E.K. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, lo ha riconosciuto colpevole del reato di furto consumato pluriaggravato di un paio di pantaloni e del tentato furto pluriaggravato di un paio di pantaloni, escludendo che ricorressero i presupposti della desistenza volontaria dal furto e del danneggiamento prospettato con i motivi di appello ed invece riconoscendo l’ipotesi del recesso attivo. Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, l’11.7.2013 l’imputato era stato notato dalla commessa del negozio Calvin Klein posto all’interno del centro commerciale di omissis mentre prelevava un paio di pantaloni e si dirigeva nel camerino e poi mentre ne usciva con il capo di abbigliamento macchiato di sangue all’altezza della placca antiplaccheggio che era stata rimossa. Inseguito dalla commessa l’uomo era stato fermato dall’addetto alla vigilanza egli presentava una ferita alla mano e all’interno del suo zaino venne rinvenuto un altro paio di pantaloni sottratti quel medesimo giorno in altro esercizio dell’indicato centro commerciale, nonché un coltello. 2. Con il ricorso si ripropone la questione della qualificazione giuridica del fatto, limitatamente all’episodio verificatosi presso negozio Calvin Klein, sostenendosi che sarebbe stata erronea la determinazione del giudice che ha negato i presupposti del danneggiamento, evidenziando che il comportamento del prevenuto sarebbe stato volontario ancorché non spontaneo e concludendo che gli atti posti in essere hanno integrato l’ipotesi del danneggiamento, non avente rilievo penale siccome non commesso con violenza o minaccia alle persone. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato. 3.1. La giurisprudenza di legittimità identifica la linea di confine tra la desistenza volontaria ed il recesso attivo in corrispondenza del diverso stadio del tentativo. Particolarmente esplicative appaiono le osservazioni compiute nella sentenza Sez. 4, n. 17384 del 12/02/2003 - dep. 14/04/2003, Schiavo P, Rv. 224402, nella quale si rammenta che la desistenza ha natura di esimente speciale e, per assumere giuridico rilievo, presuppone che l’azione sia penalmente rilevante per cui si richiede che la fattispecie sia pervenuta alla fase del tentativo punibile. Essa si differenzia dal recesso attivo, previsto dal comma 4 dell’art. 56 cod. pen., perché, in questo caso, l’azione esecutiva è interamente realizzata e non si è ancora verificato l’evento mentre, nel caso della desistenza, l’azione esecutiva è ancora in corso quando l’agente volontariamente l’interrompe. Ciò giustifica anche il più grave trattamento sanzionatorio previsto per il recesso attivo nel primo caso, infatti, la dottrina parla di tentativo incompiuto mentre, nel caso del recesso attivo, il tentativo è compiuto . Si osserva, poi, che la volontarietà della desistenza non deve essere confusa con la spontaneità della medesima, nel senso che la desistenza è volontaria anche quando non è spontanea perché indotta da ragioni utilitaristiche o da considerazioni dirette ad evitare un male ipotizzabile o dalla presa di coscienza degli svantaggi che potrebbero derivare dal proseguimento dell’azione criminosa. La legge non prende in considerazione le intime ragioni che inducono l’agente a desistere dall’azione criminosa ma richiede invece, con la previsione del requisito della volontarietà, che la desistenza non sia riconducibile a cause esterne che rendano impossibile, o gravemente rischiosa, la prosecuzione dell’azione. Insomma, seppur non spontanea, tale prosecuzione non deve essere impedita da fattori esterni che renderebbero estremamente improbabile il successo dell’azione medesima la scelta deve quindi essere operata in una situazione di libertà interiore indipendente dalla presenza di fattori esterni idonei a menomare la libera determinazione dell’agente. La valutazione sulla volontarietà della desistenza - e quindi l’accertamento se la desistenza, ancorché non spontanea, sia stata provocata da fattori esterni che rendevano il compimento dell’azione estremamente difficoltoso o rischioso - costituisce una valutazione riservata al giudice di merito che deve dare conto delle circostanze che lo inducono, ove ravvisi la volontarietà, a ritenere che la desistenza sia stata una scelta operata in base ad una libera determinazione dell’agente in assenza di ragioni idonee a rendere invece questa scelta obbligata non in senso assoluto ma riferibile anche ai casi nei quali la prosecuzione dell’attività criminosa appariva particolarmente rischiosa. Si tratta di principi che risultano ius receptum, giacché perpetuati nelle pronunce del giudice di legittimità cfr., ex multis, Cass., Sez. 2, n. 7036 del 29/01/2014 Rv. 258791 Sez. 4, n. 32145 del 24/06/2010 Rv. 248183 . 3.2. Orbene, ponendo siffatte premesse a confronto con quanto espresso nella sentenza impugnata emerge una evidente dissonanza. Giova riproporre le affermazioni essenziali leggibili in essa a C.P. , sentita a sommarie informazioni nell’immediatezza del fatto ha dichiarato di avere visto l’imputato entrare nel camerino per provare un paio di jeans e poco dopo uscire agitato, lasciando cadere a terra il pantalone che teneva con sé aveva quindi controllato il capo, accorgendosi che era sporco di sangue sul lato sinistro, in corrispondenza del dispositivo antitaccheggio . b Nella specie è certo, da un lato, che la decisione dell’imputato di interrompere l’azione furtiva, abbandonando fuori dal camerino il pantalone, non è stata volontaria, ma necessitata dal fatto che, nel tentativo di rimuovere dai jeans il dispositivo antitaccheggio con il coltello come aveva già fatto in occasione del furto presso il negozio OMISSIS , si era ferito ad una mano perdendo sangue, dall’altro che la sottrazione della res si era già verificata, ma l’imputato con la propria successiva condotta attiva ha rinunciato a rendere definitivo l’impossessamento, così impedendo che si consumasse l’evento tipico del delitto di furto . Nel tratteggio del fatto la Corte di Appello non fa menzione né dell’avvenuta eliminazione del dispositivo antitaccheggio che, precisa, è invece avvenuta sul pantalone sottratto nel negozio OMISSIS , né di una accertata impossibilità di rimuoverlo quale causa dell’abbandono dell’iter criminoso da parte dell’odierno ricorrente e neppure di una entità delle lesioni tale da rendere pressoché necessitato l’arresto dell’azione. La corte distrettuale, quindi, da un verso mostra di ritenere necessitata l’interruzione dell’azione sulla scorta di un dato di per sé non decisivo, quale il ferimento della mano dell’imputato da alcun dato processuale riportato nelle sentenze di merito emerge che il ferimento rendeva impossibile proseguire nell’azione illecita. Dall’altro, ha ritenuto che si fosse già verificata la sottrazione della res nonostante il dispositivo antitaccheggio non fosse stato eliminato e l’imputato si trovasse all’interno dell’esercizio, sotto l’osservazione della C. per quanto emerge dalla motivazione, l’E. abbandonò il capo di abbigliamento soltanto sporco di sangue. Risulta pertanto erronea la conclusiva affermazione della Corte di Appello, per la quale l’imputato, avendo esaurito la condotta tipica, aveva agito per impedire l’evento. 3.3. In conclusione, nel fatto avvenuto presso l’esercizio commerciale Calvin Klein Jeans, per come descritto ed accertato dai giudici di merito, risulta integrata l’ipotesi della desistenza volontaria dall’azione criminosa e pertanto, ai sensi dell’art. 56, co. 3 cod. pen., deve dichiararsi che il fatto non è punibile. Tanto importa l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al menzionato reato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al tentato furto in danno di Calvin Klein Jeans perché il fatto non è punibile ai sensi dell’art. 56, comma 3, cod. pen