Sguardo torvo, reagisce con violenza: è tentato omicidio, aggravato dai futili motivi

Definitiva la condanna nei confronti di un giovane per lui 5 anni e 10 mesi di reclusione. I giudici hanno valutato i colpi inferti con un’arma da taglio, e hanno tenuto presente l’origine dell’assurdo episodio.

Anche uno sguardo torvo può portare a una reazione violenta. L’assurdo episodio porta alla condanna dell’aggressore, ritenuto responsabile di tentato omicidio. A rendere più grave la pena è il riconoscimento del futile motivo!” Cassazione, sentenza n. 30691/2017, Sezione Prima Penale, depositata il 20 giugno 2017 . Banalità. Tutto succede in pochi minuti in Sicilia nell’estate del 2015. Un giovane scende dal proprio ciclomotore e ferisce ripetutamente con un’arma da taglio un ragazzo. Quest’ultimo, ricostruiranno gli inquirenti, ha avuto solo una colpa, quella di rivolgere un presunto sguardo torvo al suo aggressore. Una volta definita la dinamica dell’incredibile episodio, il giovane viene ritenuto colpevole di tentato omicidio . Decisivo, e inequivocabile, il fatto che egli abbia colpito la sua vittima al collo, alle braccia e all’addome . In particolare, viene posto in evidenza il possibile interessamento della vena giugulare e dell’arteria carotidea . A rendere ancora più grave la condotta, poi, il futile motivo che ha dato origine all’aggressione, cioè uno sguardo torvo che l’aggressore ha interpretato come preludio a uno scontro . Per i giudici ci si trova di fronte a una spinta al delitto maturata in un contesto di estrema banalità e senza alcuna ragione . Legittima, quindi, la sanzione decisa in Appello, cioè cinque anni e dieci mesi di reclusione .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 17 maggio – 20 giugno 2017, n. 30691 Presidente Carcano – Relatore Cairo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 7/4/2016 la Corte d’appello di Messina sezione per i minorenni confermava la decisione del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Messina che, all’esito del giudizio abbreviato in data 9/12/2015, aveva dichiarato B.D. colpevole del tentato omicidio di L.E. , della fattispecie di lesioni, della condotta di porto fuori dall’abitazione di un’arma da taglio e, con la diminuente della minore età ritenuta equivalente alle contestate aggravanti e la continuazione, lo aveva condannato alla pena di anni cinque e mesi dieci di reclusione. 1.1. La vicenda all’esito delle investigazioni e delle acquisizioni testimoniali era stata esattamente ricostruita. La sera del omissis , intorno alle 20,45, L.E. si trovava nell’androne della palazzina nr. X di via omissis rione delle case gialle. Giungeva il B. , a bordo di un ciclomotore e, per uno sguardo torvo, avvicinatosi al L. stesso, lo colpiva al collo, alle braccia e all’addome. Interveniva per dividerli un amico di entrambi, M.F. anch’egli era attinto all’avambraccio. Il medesimo B. confermava i fatti ed il gesto compiuto, spiegando di essere stato indotto all’azione postulando che il L. stesse per aggredirlo. 2. Ricorre per cassazione B.D. a mezzo del difensore di fiducia e deduce quanto segue. 2.1. Con il primo motivo lamenta vizio di motivazione mancante in relazione all’omessa derubricazione del fatto nel delitto di cui agli artt. 582 e 585 cod. pen. La Corte d’appello si era limitata a porre l’accento sull’adeguatezza causale e sulla potenziale attitudine degli atti a determinare, in astratto, una situazione di pericolo per il bene protetto. Affinché si possa parlare di tentato omicidio, osserva il ricorrente, occorre che l’azione sia idonea a mettere in pericolo la vita e che sia diretta a cagionare in modo non equivoco la morte. La natura delle lesioni e la superficialità della ferita attestavano che il B. non avesse intenzione di uccidere. Ragionando diversamente si sarebbe dovuto ammettere che il tentativo di omicidio ricorresse in tutte le situazioni in cui anche una ferita superficiale fosse stata inferta in aree corporee con organi vitali. Al più nella specie si versava al cospetto del dolo cd. eventuale non compatibile con il contestato tentativo. 2.2. Con il secondo motivo si censura il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta circostanza aggravante del motivo futile. Si era evidenziato come la spinta al delitto avesse, comunque, trovato la sua genesi in una pregressa situazione di inimicizia con la persona offesa. I motivi del conflitto erano rimasti oscuri. 2.3. Con il terzo motivo si censura il vizio di motivazione in relazione agli artt. 62-bis, 132 e 133 cod. pen. Erano stati ignorati i motivi di appello in ordine alla dosimetria della pena ed alla scelta di negare le circostanze attenuanti generiche. La Corte d’appello aveva fatto un generico riferimento alla gravità del fatto e non aveva considerato il comportamento del B. che, già nella fase investigativa, aveva reso confessione ammettendo le sue responsabilità. Ciò era accaduto non perché vi fosse stato costretto dagli elementi già raccolti, ma per una determinazione spontanea non essendo egli a conoscenza di quanto aveva riferito la vittima e lo stesso M. . Osserva in diritto 1. Il ricorso è infondato e va respinto. 1.1. Contrariamente a quanto dedotto la motivazione risulta immune dalle censure mosse. La Corte d’appello sezione per i minorenni, richiamando e ribadendo il ragionamento del primo giudice, ha ritenuto la sussistenza del fatto di tentato omicidio e l’infondatezza della doglianza con cui si invocava la derubricazione nel delitto di cui agli artt. 582 e 585 cod. pen. In questa logica ha espressamente valorizzato i referti medici, le dichiarazioni della persona offesa e dello stesso imputato oltre che le risultanze delle consulenza medico-legale agli atti. Proprio la richiamata consulenza attestava l’idoneità allo scopo della ferita indotta in sede latero-cervicale destra. Ciò per il possibile interessamento delle strutture vascolari presenti la vena giugulare e l’arteria carotidea . La lesione si è osservato era stata prodotta con un meccanismo di scorrimento dalla regione sottomandibolare a quella laterocervicale. Si è, pertanto, concentrata la ricostruzione della vicenda da parte del giudice a quo sull’intera dinamica commissiva e sulla pluralità di colpi inferti oltre che verso il L. , anche colpendo il M. , intervenuto per bloccare l’aggressore. Elementi siffatti hanno indotto a ritenere la sussistenza del dolo e correttamente i giudici del merito sono giunti alla conclusione di non poter valorizzare le caratteristiche della ferita al collo per inferirne un dato che avrebbe legittimato la riqualificazione del fatto, facendo leva sulla mera natura superficiale dell’esito lesivo prodotto dall’azione di scorrimento della lama sul collo del ragazzo. In questa prospettiva si è, infatti, annotato come quell’esito non potesse condizionare la valutazione sulla idoneità del delitto tentato, derivando da circostanze indipendenti dalla volontà dell’agente. Quanto premesso esclude che ricorra il lamentato vizio di omessa motivazione, sia sul tema d’idoneità dell’azione del B. che su quello dell’intenzione di uccidere. Né vale a disarticolare la costruzione logica che sorregge la decisione impugnata il richiamo al particolare che, seguendo il ragionamento indicato, si sarebbe dovuto ammettere che il tentativo di omicidio ricorre in tutte le situazioni in cui anche una ferita superficiale sia stata inferta in aree corporee con organi vitali. Il giudizio sul fatto tentato è caratterizzato dalla una verifica di prognosi postuma e da uno scrutinio sull’idoneità e non equivocità del gesto. Giudizio siffatto non si opera ab exitu, ma ponendosi a parte auctoris e verificando le condizioni anteriori e concomitanti all’azione. Ben potrebbe, pertanto, sussistere tentativo di omicidio anche in difetto di lesioni prodotte dall’azione di aggressione o di messa in pericolo del bene vita, assenza che ben potrebbe essere determinata da fattori diversi o estranei, appunto, al volere dell’agente. 2. Immune dalle censure rivolte risulta la decisione impugnata anche per la parte in cui ha ritenuto esistente la circostanza aggravante del futile motivo. Il delitto è descritto dallo stesso imputato come un’azione che avrebbe tratto scaturigine da uno sguardo del L. al B. , sguardo che lo induceva a credere che il suo antagonista volesse cercare lo scontro ci siamo guardati male . Si apprende, per incidens, anche di contrasti legati a motivi caratteriali, non meglio specificati. I giudici del merito, dunque, a fronte di risultanze siffatte hanno ritenuto la sussistenza della circostanza aggravante. La spinta al delitto, si annota, è maturata in un contesto di estrema banalità e senza alcuna ragione che possa razionalmente sorreggerla nella sua genesi. Il ragionamento è immune da ogni censura. La futilità del motivo a delinquere nella specie si è ritenuta correttamente sussistente, esaminando il fatto e la sua origine. Ricorre il motivo futile allorquando la condotta rivela la tipica sproporzione tra intima ragione della spinta al delitto ed azione antigiuridica commessa. Movente e gesto commissivo risultano avvinti da quel nesso che integra la ratio dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen. e ne descrive l’essenza attraverso il concetto strutturale di relazione che evoca, appunto, un innaturale divario tra causa e fatto . La futilità caratterizza un’azione che prorompe in difetto d’una vera e propria causa che possa sorreggerla. Essa, piuttosto, si traduce in un gesto grave, pur a fronte d’un antecedente lieve. Si inverte, cioè, il parallelismo logico che governa l’agire umano nell’id quod plerumque accidit, secondo cui, a motivo grave, fa da risconto un fatto grave, mentre il motivo lieve è seguito, in ordinario, da uno di omologa entità. L’aggravante del motivo futile ha, di converso, il suo fondamento proprio nell’abbinamento inverso, in cui un’azione grave si innesta irrazionalmente su un antecedente, che fonda il movente a delinquere e che assume carattere assolutamente lieve. 3. Infondato risulta, al pari, il ricorso sulla negazione delle circostanze attenuanti generiche e sulla determinazione del trattamento sanzionatorio. La Corte d’appello sezione per i minorenni si è intrattenuta su entrambi i profili. Da un lato, ha spiegato le ragioni che inducevano ad escludere la concessione delle circostanze attenuanti generiche e, dall’altro, ha esplicitato il percorso seguito nel determinare il trattamento sanzionatorio, con il riconoscimento dell’attenuante della minore età, in termini di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti, oltre che nell’indicare i criteri cui si è ispirata per l’elaborazione dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen Per il primo aspetto si è ritenuta ostativa alla concessione delle circostanze attenuanti generiche la gravità del fatto e la particolarità che l’imputato, in immediato, avesse reso una versione protesa a sviare i sospetti sulla sua posizione. La confessione era, infatti, intervenuta solo allorquando le indagini si erano definitivamente concentrate sulla sua persona. Si intende, pertanto, come non risultino conferenti i riferimenti operati alla conoscenza da parte del B. delle dichiarazioni rese dalla vittima e dal teste oculare. Sul trattamento sanzionatorio, ritenuto adeguato, ancora, la corte territoriale ha richiamato il fatto e la sua gravità, oltre che il precedente a carico sia pur non ancora passato in giudicato. Si tratta di motivazione immune dalle censure rivolte che afferiscono profili di puro merito riservati al giudice della cognizione, non sindacabili in sede di legittimità Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163 Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv. 242419 . 4. Alla luce di quanto premesso il ricorso va respinto. P.Q.M. Rigetta il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 D. lgs 196/03 in quanto disposto d’ufficio e/o imposto dalla legge.