Il peso del giudizio di attuale pericolosità sociale nell’applicazione delle misure di prevenzione personali

Nell’applicazione delle misure di prevenzione e in particolare, di quelle personali, il giudizio circa la pericolosità sociale dell’interessato deve postulare una valutazione degli elementi di fatto a sostegno dell’abitualità e attualità delle condotte sintomatiche.

Lo ribadisce la Corte di Cassazione con sentenza n. 30636/17 depositata il 19 giugno. Il caso. Sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per 3 anni e confisca di più beni immobili, di un’autovettura e del saldo di conto corrente cointestato con la moglie. Sono queste le misure di prevenzione personali confermate in Appello nei confronti dell’imputato, ritenuto, in ordine alle plurime condanne riportate, un soggetto socialmente pericoloso. Con il ricorso in Cassazione proposto dall’imputato, la Corte ha qui l’occasione di ribadire il consolidato principio di diritto relativo all’ambito di applicazione delle misure di prevenzione personali. Applicazione di misure di prevenzione personali. I Giudici del Palazzaccio affermano che il giudizio di attuale pericolosità sociale postula una valutazione degli elementi di fatto a sostegno dell’abituale dedizione a traffici delittuosi da operare secondo un criterio diacronico che, partendo dal passato raggiunga il presente, come imposto dalla prevista abitualità delle condotte sintomatiche e dalla loro necessaria attualità al tempo della decisione applicativa della misura . Nella fattispecie, l’inammissibilità del ricorso proposto dall’imputato discendono proprio dal rispetto di tali canoni ermeneutici da parte del Giudice di merito il quale né si è discostato, né ha reso una motivazione solo apparente dell’applicazione delle misure in questione, come lamentato dal ricorrente, essendo stati precisati gli elementi di fatto che hanno fondato il formulato giudizio di abitualità e attualità delle condotte sintomatiche.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 giugno 2016 – 19 giugno 2017, n. 30636 Presidente Cavallo – Relatore Saraceno Ritenuto in fatto 1. Con decreto del 4 dicembre 2013 il Tribunale di Milano ha applicato ad A.V. la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per anni tre e la misura di prevenzione patrimoniale della confisca di più beni immobili, di un’autovettura e del saldo di un conto corrente intestati allo stesso A. e alla moglie J.J. . 2. Decidendo sugli appelli dell’A. e della J. , quale terzo interessato, la Corte di appello di Milano con decreto del 18 marzo 2015 ha respinto i gravami e confermato le applicate misure di prevenzione personale e patrimoniale. Con riferimento alla misura personale la Corte territoriale ha evidenziato la concretezza e attualità della condizione di pericolosità sociale del proposto, desunta dalle plurime condanne riportate, dalle pendenze giudiziarie e dai procedimenti incardinati per fatti temporalmente assai prossimi alla sua applicazione. Con riguardo alla misura della confisca i giudici di appello, hanno rimarcato la piena correlazione temporale tra il periodo di emersione della pericolosità sociale del proposto e le acquisizioni patrimoniali oggetto di ablazione, tutte riconducibili alla predetta estensione temporale. Acquisizioni che, alla luce dell’esame analitico condotto dal primo decidente per ogni singolo incremento patrimoniale e delle valutazioni espresse nel provvedimento impugnato, si inscrivono in dinamiche acquisitive caratterizzate da grave e non giustificata sproporzione tra redditi dichiarati dal prevenuto e dai suoi congiunti e il valore dei beni entrati nei loro patrimoni. 3. Avverso l’indicato decreto della Corte di appello hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo del comune difensore avvocato N.A. , A.V. e, con atto di impugnazione cumulativo, J.J. , quale terza interessata, e ne hanno chiesto l’annullamento per violazione di legge - con riferimento alla misura di prevenzione personale, assumendo l’insussistenza dei presupposti per la sua applicazione. La Corte di appello si era limitata ad aderire acriticamente al giudizio di pericolosità formulato dal Tribunale, senza alcuna considerazione e compiuta valutazione dei numerosi documenti, prodotti nel corso del giudizio, volti ad attestare il recente percorso di recupero effettuato dal proposto in regime di arresti domiciliari presso la Fondazione Exodus e quello successivamente effettuato presso lo SMI di , percorsi che lo hanno portato a riflettere su tutta la vita passata e a distaccarsi completamente dalle varie vicende di rilevanza penale che lo hanno visto coinvolto - con riferimento alla misura di prevenzione patrimoniale, contestando la ritenuta fittizia intestazione di beni a favore di J.J. senza accurata e rigorosa verifica della posizione della stessa e lamentando l’assenza di dimostrazione della provenienza illecita dei beni stessi, non desumibile automaticamente ed esclusivamente dalla asserita sperequazione tra redditi prodotti e tenore di vita. Considerato in diritto I ricorsi, affidati come detto ad un unico atto di impugnazione, vanno dichiarati inammissibili. 1. Iniziando dal motivo di ricorso attinente la misura di prevenzione personale, i giudici di merito hanno precisato, con motivazione non apparente, gli elementi di fatto su cui hanno fondato il formulato giudizio di pericolosità del proposto, secondo i canoni normativi di abitualità e attualità delle condotte sintomatiche. Il giudizio di attuale pericolosità è stato ancorato alle numerose condanne riportate dall’A. per spaccio di stupefacenti fatti del 1993, 1994, 1995 , per fatti di riciclaggio anno 2002 , per estorsione anno 2005 , per detenzione e porto di arma clandestina, ricettazione e minaccia aggravata anno 2012 ai procedimenti pendenti per appropriazione indebita anno 2007 percosse e minaccia anno 2010 . I giudici della prevenzione hanno annotato come il proposto abbia mantenuto costanti contatti con l’ambiente del traffico degli stupefacenti, citando episodi specifici abbia sovente fatto ricorso alla frode, attraverso l’impiego di assegni e il commercio di veicoli ottenuti in leasing, dei quali simulava il furto abbia fatto sistematicamente uso di documentazione falsa e mantenuto stabili e significativi rapporti con la criminalità organizzata di tipo mafioso. Sicché, alla luce dell’intensa attività illecita che ha connotato l’esistenza del proposto, costellata da una successione di esperienze giudiziarie che non hanno sortito alcuna efficacia deterrente, né rieducativa, avendo il medesimo proseguito, dopo l’inquieta giovinezza, con determinazione e pervicacia sulla strada dell’illegalità, operando su più fronti, commettendo reati sempre più gravi e mantenendo costanti rapporti con pregiudicati la Corte di appello, in dichiarata condivisione della valutazione già operata dal Tribunale, ha escluso che l’esito positivo del percorso da ultimo compiuto, per poco più di un anno, in regime di arresti domiciliari, all’interno di una struttura protetta, fosse sufficiente ed idoneo a dimostrare il distacco definitivo del proposto dall’ambiente malavitoso nel quale risultava radicato da svariati anni senza aver mai posto in essere alcun tentativo di riscatto e ha ritenuto, di conseguenza, tuttora necessaria ed imprescindibile la funzione di controllo e di indirizzo insita nella misura di prevenzione applicata. 1.1 La valutazione di attualità della pericolosità sociale è stata, quindi, correttamente operata e più che adeguatamente giustificata secondo un giudizio che ha investito le complessive vicende penali e giudiziarie dell’A. , oggetto di puntuale ricognizione i giudici di merito non si sono limitati ad elencare precedenti penali o carichi pendenti remoti, ma hanno esaminato con scrupolo e vaglio critico tutte le attività e le relazioni del prevenuto in un consistente arco temporale, procedendo ad una valutazione globale e correttamente diacronica della condotta del proposto, per pervenire, alla conclusione, logica e plausibile, dell’irrilevanza della risocializzazione propria del breve trattamento in comunità, nelle forme della custodia cautelare, cui ‘A. è stato di recente sottoposto, come pure del successivo e altrettanto breve percorso di recupero, non stimandoli indicativi di un reale mutamento di stile di vita a fronte di radicate manifestazioni di devianza e di comportamenti contrari alla sicurezza pubblica, connotati da prolungata continuità, protrattisi per oltre un ventennio sino ad epoca del tutto prossima all’adozione della misura, né interrotti, nel ridetto lungo arco temporale, da concreti elementi contrari. 1.2 Ed allora, ribadito il principio di diritto, secondo il quale in tema di applicazione di misure di prevenzione personali, il giudizio di attuale pericolosità sociale postula una valutazione degli elementi di fatto a sostegno dell’abituale dedizione a traffici delittuosi da operare secondo un criterio diacronico che, partendo dal passato raggiunga il presente, come imposto dalla prevista abitualità delle condotte sintomatiche e dalla loro necessaria attualità al tempo della decisione applicativa della misura, va rilevato che da tali canoni ermeneutici il provvedimento impugnato non si è affatto discostato, né ha reso una motivazione solo apparente, essendo stati precisati gli elementi di fatto che hanno fondato il formulato giudizio di abitualità e attualità delle condotte sintomatiche. Donde la manifesta infondatezza della censura formulata sul punto per insussistenza della denunciata violazione di legge, giacché - come osservato nell’attenta requisitoria del P.G. - la Corte di appello non ha mancato di sottolineare la prossimità temporale, rispetto alla proposta e all’applicazione della misura, delle condotte illecite e di esaminare tutti i dati conoscitivi a sua disposizione, interpretando elementi probatori ed applicando le regole della logica nell’argomentazione che ha condotto a scegliere determinate conclusioni anziché altre, di guisa che l’incombenza dimostrativa, cui essa era tenuta, è stata puntualmente assolta. Ciò che al contrario all’evidenza manca è una puntuale attività deduttiva della difesa del proposto capace di smentire i rilievi dei giudici di merito e di dare supporto alla dedotta violazione di legge. 2. Parimenti inammissibili sono i ricorsi nella parte in cui contestano l’adozione della misura preventiva patrimoniale, come da conclusioni del Procuratore generale. 2.1 Quello proposto nell’interesse di J.J. , moglie dell’A. , proprietaria degli immobili siti in , intestataria dell’autovettura e del conto corrente, è inammissibile perché proposto da difensore non munito di procura speciale. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, infatti, statuito che deve considerarsi inammissibile il ricorso per cassazione proposto, avverso il decreto dispositivo della misura di prevenzione della confisca, dal difensore del terzo interessato non munito di procura speciale ex art. 100 cod. proc. pen., non potendo trovare nemmeno applicazione la sanatoria prevista dall’art. 182 cod. proc. pen. per la regolarizzazione del difetto di rappresentanza Sez. U, n. 47239 del 30.10.2014, Borrelli, Rv. 260894 . Negli atti trasmessi a questa Corte non v’è traccia di procura speciale. E nel ricorso di tale procura non si fa menzione, qualificandosi anzi espressamente l’avvocato che l’ha sottoscritto solamente difensore di fiducia dell’interveniente. 2.2 Con riguardo alla posizione di A. , va richiamata la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, è inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione del proposto avverso il decreto di confisca di un bene ritenuto fittiziamente intestato a terzi, quando lo stesso abbia assunto una posizione processuale meramente adesiva a quella di chi è stato giudicato formalmente interposto, dovendosi in tal caso riconoscere la legittimazione al solo apparente intestatario, unico soggetto avente diritto all’eventuale restituzione del bene Sez. 2, n. 17935 del 10/04/2014, dep. 29/04/2014, Tassone, Rv. 259258 . E nel caso di specie, il ricorrente non ha contestato la titolarità effettiva dei beni in capo alla moglie intestataria, mantenendosi su un piano di manifesta opacità , salvo a ribadire l’origine lecita dei beni in confisca. 2.3 E, in ogni caso, anche nel merito delle scarne questioni dibattute, le censure proposte sono integrate da una sommaria ed indimostrata critica non sorretta da alcun dato idoneo a confutarne i risultati mossa ai criteri valutativi, di semplice lettura, con cui il Tribunale prima e la Corte di appello poi, operando una analitica e puntuale ricognizione delle disponibilità economiche del proposto e del coniuge al tempo dell’acquisto dei singoli beni, hanno rilevato l’evidente sproporzione tra le fonti di reddito lecite e gli esborsi sostenuti per l’acquisto dei beni oggetto di ablazione, rimarcando la costante esiguità dei redditi percepiti negli anni dai coniugi, nemmeno sufficienti rispetto ai normali oneri di mantenimento del nucleo familiare e l’ingiustificata disponibilità delle risorse finanziarie impiegate negli accrescimenti patrimoniali, e sottolineando la correlazione temporale tra le manifestazioni di pericolosità e l’acquisizione dei vari cespiti. Si rimanda alla diffusa trattazione dei beni confiscati contenuta nel decreto di primo grado e alle pagine 4-8 del provvedimento impugnato. A fronte di tale completa e coerente motivazione che non trascura alcun elemento, dialetticamente esaminato dal Tribunale prima e riesaminato dalla Corte di Appello poi alla luce dei motivi di gravame, le censure sollevate appaiono generiche e, comunque, dirette ad una assertiva confutazione meramente oppositiva e non ammissibile del ragionamento decisorio, piuttosto che alla denuncia di violazioni di legge. 3. Alla dichiarazione di inammissibilità segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., comma 1, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost., sent. n. 186 del 2000 , anche la condanna di ciascuno al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una sanzione pecuniaria che si stima equo determinare, tra il minimo e il massimo previsti, in Euro 1.500. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento della somma di Euro 1.500,00 alla cassa delle ammende.