Nessuna incompatibilità per il magistrato di sorveglianza che decide sia sull’ordinanza di remissione del debito che sull’opposizione

Il procedimento di opposizione ex art. 667, comma 4, c.p.p. non ha natura impugnatoria ma solo di istanza per la cognizione piena dell’accertamento penale. Inoltre, in caso di richiesta di remissione del debito ex d.P.R. n. 115/2002, la capacità di far fronte ai debiti non esclude il disagio economico.

Così la Cassazione, Prima Sez. Penale, n. 30638/2017, depositata il 19 giugno. La vicenda processuale. Il magistrato di sorveglianza ex art. 678 c.p.p. aveva respinto la richiesta di remissione del debito delle spese processuali ex art. 6 d.P.R. n. 115/2002 avanzata dal condannato ed il medesimo magistrato ne aveva respinto l’opposizione ai sensi dell’art. 667, comma 4, c.p.p L’interessato opponente, in età avanzata e privo di redditi significativamente comparabili alle somme richieste dall’erario, non avrebbe potuto soddisfare le cartelle esattoriali senza travolgere le elementari esigenze di vita personali. Ricorre in Cassazione l’imputato rilevando la precarietà motivazionale del giudice dell’opposizione ed, in via preliminare, chiedendo il rinvio alla Corte Costituzionale per rilevare questione di legittimità costituzionale ex art. 111 Costituzione dell’art. 34, comma 2, c.p.p. nel punto in cui non prevede l’incompatibilità fra magistrato di sorveglianza emittente l’ordinanza di remissione del debito e magistrato competente per l’opposizione all’ordinanza ex art. 667, comma 4, c.p.p Quando il giudice procedente è incompatibile. È ben noto come l’incompatibilità fra giudici ex art. 34 c.p.p. è posta a presidio dell’imparzialità del decidente su provvedimenti in opposizione, reclamo o relativi a successivi gradi di giudizio. A fondare l’incompatibilità, occorre che il giudice procedente abbia già espresso un giudizio di natura decisoria e non semplicemente ordinatoria – anche preliminare di merito –. Non è incompatibile il giudice che abbia avuto meramente modo di conoscere o di valutare gli atti del procedimento. È incompatibile solo il giudice che sia chiamato a decidere in una fase diversa e successiva a quella del giudice il cui provvedimento è opposto. Una soluzione più estensiva delle incompatibilità giudiziali condurrebbe ad una inutile frammentazione dei procedimenti, con evidenti difficoltà anche organizzative ed ordinatorie all’interno dei tribunali penali nel reperire giudici diversi quanti i provvedimenti da emanare. Nessuna incompatibilità del giudice dell’opposizione ex art. 667, comma 4, c.p.p Il giudizio ex art. 667, comma 4, c.p.p. ha una struttura più semplificata. La prima sotto-fase interinale, solo cartolare e non in contradditorio con l’interessato, viene assunta de plano dal magistrato e conduce ad un’ordinanza opponibile ai sensi del quarto comma cit., mediante procedura di opposizione a cognizione completa ex art. 666 c.p.p., nella quale viene recuperato un contradditorio pieno con il pubblico ministero ed il difensore. Il procedimento di opposizione non ha dunque natura di impugnazione ma di mera istanza alla rivisitazione del provvedimento opposto. Si realizza appieno una struttura bifasica nell’ambito del medesimo grado di giudizio. Nessuna incompatibilità, sul punto la Cassazione ritiene la questione infondata. Sull’istanza di remissione del debito il giudizio sulle economie del condannato non può essere solo formale. Ai fini della remissione del debito, non occorre un disagio economico assoluto, sono ritenute bastevoli condizioni economiche insufficienti ad affrontare le spese processuali senza pregiudizio alle elementari condizioni personali. Ad ogni modo la capacità dell’interessato di far fronte ai debiti non escluderebbe il seguente disagio economico. La Cassazione specifica, annullando l’ordinanza, che la valutazione delle economie dell’interessato non deve essere solo formale o trascrittiva delle sostanze economiche ufficialmente rilevate. Occorre un’analisi concreta dei redditi disponibili, una verifica ulteriore che può condurre ad esiti difformi da quelli paventati – per la comproprietà dei beni, per le spese di manutenzione, ad esempio -.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 febbraio – 19 giugno 2017, n. 30638 Presidente Mazzei – Relatore Cairo Ritenuto in fatto 1. Con provvedimento in data 8/4/2015 il Magistrato di sorveglianza di Palermo respingeva la richiesta di remissione del debito avanzata nell’interesse di L.F. , relativamente alla condanna inflitta dalla Corte d’appello di Palermo il 23/11/2004. Con successiva ordinanza, in data 21 settembre 2015, il medesimo Magistrato di sorveglianza respingeva l’opposizione confermando il provvedimento opposto. 2 Ricorre per cassazione L.F. a mezzo del difensore di fiducia e deduce le seguenti ragioni di doglianza. Premette ai motivi di ricorso questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 comma 2 cod. proc. pen., in riferimento agli articolo 3 e 111 comma 2 Cost., nella parte in cui non prevede che, nel procedimento di sorveglianza, per la materia concernente la remissione del debito per le spese processuali cui si applica l’art. 667 comma 4 cod. proc. pen. , non possa partecipare al procedimento ex art. 666 cod. proc. pen., a seguito dell’opposizione, lo stesso Magistrato di sorveglianza che abbia emesso l’ordinanza opposta. Il quadro normativo vigente prevede, infatti, che l’opposizione debba essere proposta e trattata davanti allo stesso magistrato che ha respinto la domanda, nella fase chiusa con il provvedimento de plano. La procedura in esame contemplerebbe un contraddittorio scritto e non orale, tanto che sull’istanza il Magistrato di sorveglianza provvede con ordinanza comunicata al P.M. e notificata all’interessato. Le parti indicate, unitamente al difensore, hanno facoltà d’opposizione innanzi allo stesso giudice, con la conseguenza che, a giudizio del ricorrente, sarebbe evidente la violazione dell’art. 111 comma 2 Cost., che sancisce il principio secondo cui il processo si svolge davanti a un giudice terzo e imparziale. Tale non sarebbe il giudice che si sia già pronunciato sulla questione. Lo stesso lessico normativo, invero, evoca, da un lato, il concetto di impugnazione contro l’ordinanza possono proporre opposizione e, dall’altro, chiama a pronunciarsi sulla vicenda il medesimo decidente che risulta aver già espresso il suo giudizio. Ciò renderebbe ardua l’ipotesi che costui possa cambiare idea. La questione prospettata, osserva il ricorrente, risulta rilevante. Se accolta, infatti, determinerebbe l’annullamento del provvedimento, emesso da un giudice incompatibile al giudizio. 2.1. Si deduce, con il primo motivo di ricorso, la violazione dell’art. 6 del d.p.r.115/2002. La motivazione dell’ordinanza non aveva tenuto presente l’ammontare del debito e le condizioni reddituali dell’istante. La cartella con cui era stato richiesto il pagamento del debito era pari a circa 900 mila Euro. Già precedenti cartelle per circa 100.000 Euro in quel procedimento erano state notificate all’istante e il debito relativo era stato rimesso, con una situazione economica pressoché identica a quella attuale. Il L. era pensionato e usufruttuario di beni immobili per il 50% - beni di cui riceveva i canoni di locazione -. La situazione economica era rimasta immutata sostanzialmente ad eccezione dell’accrescimento esiguo di alcune quote ereditarie su immobili per il sopraggiunto decesso, nell’anno 2013, della sorella, L. C In particolare l’istante percepiva una pensione di circa 4000 Euro annui ed era usufruttario del 50% dell’abitazione in ove viveva con la moglie titolare della quota residua del diritto reale di godimento . Il primo provvedimento ed il secondo, reso all’esito dell’opposizione, erano affetti da alcuni punti di travisamento. Il primo richiamava la vendita di un fabbricato per la somma di 135.000 Euro, vendita che si postulava posta in essere dal L. . Con l’opposizione si era dimostrato che il bene era in communio pro indiviso e che erano quattro i comproprietari. Sul punto alcuna motivazione era stata data nel provvedimento con cui si era inteso respingere l’opposizione e, soprattutto, non si era confrontato il giudice a quo con il contenuto dell’opposizione stessa. Ancora degli undici beni che si erano ritenuti appartenere all’istante si era omesso di osservare che uno non era di proprietà del ricorrente quello in particolare di via e che gli altri, indicati ai punti 6, 7 e 8 della nota della Guardia di Finanza, riguardavano la casa di abitazione del L. . Era, poi, stato considerato un lastrico solare come un fabbricato e non si era egualmente tenuto presente che la scuderia fosse in quota d’usufrutto al 50%. Su altri tre fabbricati le quote erano, parimenti, esigue 9/54 e 108/810 . Altri tre appartamenti erano al 50% in usufrutto con il coniuge. Non v’era, pertanto, dubbio, a giudizio del ricorrente, che il pagamento del debito avrebbe stravolto le condizioni di bilancio familiare in considerazione del valore del debito. Del resto, nel caso di specie, non avrebbe potuto trovare applicazione l’art. 535 cod. proc. pen. nella formulazione anteriore alla legge 69/2009. 2.2. Con il secondo motivo si censura la motivazione del provvedimento e si duole il ricorrente della mancata indicazione delle ragioni per le quali il pagamento del debito non avrebbe comportato alcuna preclusione al soddisfacimento delle elementari esigenze di vita. 3. Il 4.5.2016 è stata depositata memoria difensiva con cui si ribadiscono gli argomenti svolti ed in particolare la questione di legittimità costituzionale, oltre alle ragioni addotte a sostegno del primo e secondo motivo di ricorso. Osserva in diritto 1. Il ricorso è fondato nei limiti e per quanto si passa ad esporre. 1.1. Per ragioni d’ordine logico-sistematico va affrontata in via preliminare la questione di costituzionalità che ha indubbio carattere pregiudiziale rispetto ai temi ulteriori anche prospettati con il mezzo di impugnazione. Dubita il ricorrente della conformità a Costituzione dell’art. 34 comma 2 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a partecipare al giudizio di opposizione - ex art. 667 comma 4 cod. proc. pen. - del medesimo giudice che abbia emesso il provvedimento opposto. La procedura semplificata risulta applicabile alla decisione del Magistrato di sorveglianza, sull’istanza di remissione del debito, per effetto del rinvio ad essa operato dall’art. 678 comma 1 bis cod. proc. pen La mancata previsione di una incompatibilità al giudizio d’opposizione violerebbe, secondo il ricorrente, i principi di imparzialità, terzietà e uguaglianza di cui agli articolo 111 e 3 Cost La questione è manifestamente infondata. La legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 ha interpolato il comma 2 dell’art. 111 Cost., inserendo le categorie di terzietà e di imparzialità del giudice, quali parametri d’attuazione del giusto processo . La distinzione si rimette ai concetti di imparzialità soggettiva e oggettiva terzietà in senso stretto Corte EDU, 01/10/1982, Piersack c. Belgio Corte EDU, 10/06/1996, Pullar c. Regno Unito collegati alla necessità di evitare, da un lato, che convincimenti personali espressi dal Giudice possano condizionare il giudizio cui costui è chiamato e, dall’altro, che la compromissione possa trarre scaturigine da sovrapposizione di ruoli o funzioni assolte nel medesimo procedimento. Le incompatibilità enucleano casi in oggettiva funzione di salvaguardia del ruolo del giudice, a tutela delle parti e d’una decisione che risulti emessa da un organo supra partes. Il perimetro delle incompatibilità, contemplato dall’art. 34 cod. proc. pen., opera secondo due tracciati opposti, l’uno verticale comma 1 e l’altro orizzontale comma 2 . Il primo accomuna le incompatibilità che emergono in gradi diversi del procedimento. Il secondo si dispiega in linea orizzontale ed enuclea, contrariamente, le cause d’incompatibilità che, in ordinario, operano nel medesimo grado del procedimento. Recentemente la Corte costituzionale sent. 09/07/2013, n. 183 ha esteso la portata delle incompatibilità cd. verticali art. 34 comma 1 cod. proc. pen. , previste espressamente soltanto per la sentenza, all’ipotesi in cui il giudice del rinvio, a seguito di annullamento, sia stato investito della decisione su vicenda in cui abbia già pronunciato ordinanza di accoglimento o rigetto della continuazione in executivis. L’art. 34, comma 2, cod. proc. pen. disciplina le situazioni di incompatibilità c.d. orizzontale , che si verificano nell’ambito del medesimo grado del procedimento e nella medesima fase . Risultando le cause anzidette funzionalmente legate al concetto di imparzialità del decidente Corte cost. n. 124 del 1992 nel tracciarne il fondamento si è annotato come non integri pregiudizio la mera conoscenza o valutazione di atti, ma che occorre una valutazione in funzione decisoria e non meramente formale, in ordine allo svolgimento del processo Corte Cost., sent. 24/03/1996, n. 131, § 3.1. . Si è, poi, spiegato che le valutazioni di merito pregiudicanti devono appartenere a fasi diverse del processo . Ciò perché in ciascuna di esse è preservata anche l’esigenza di continuità e di globalità dell’iter procedimentale, con la conseguenza che il giudice, chiamato al giudizio di merito, non incorre in incompatibilità quando compie valutazioni preliminari, anche di merito, destinate a sfociare in quella conclusiva. Ragionando diversamente si determinerebbe una frammentazione del procedimento stesso, con la conseguenza di dover disporre, per la medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi, quanti sono gli atti da compiere Corte Cost., sent. n. 131 del 1996, § 3.1 . In questa logica, dunque, le valutazioni di merito per assumere crismi pregiudicanti devono appartenere a fasi diverse del processo . 1.1.2. Ciò posto deve osservarsi quanto segue. Il giudizio di cui all’art. 667 comma 4 cod. proc. pen. ha natura semplificata e condivide una struttura solo eventualmente bifasica. La duplicità delle sotto-fasi che possono seguire all’istanza in executivis e la relativa diversità dei momenti di cognitio non esclude, invero, l’unitarietà del procedimento stesso che, in rito, resta tale anche all’esito della spiegata opposizione. La prima decisione, assunta de plano - ed in virtù di un confronto sul tema decidendum puramente cartolare, senza contraddittorio personale - è destinata ad essere superata dall’eventuale opposizione, su cui il giudice è chiamato a decidere, secondo un criterio che gli attribuisce la competenza, in ragione d’un riparto di natura funzionale. L’opposizione è, pertanto, una fase soltanto eventuale rimessa all’iniziativa discrezionale dell’opponente che, in difetto, si troverebbe al cospetto della formazione del giudicato sul contenuto del provvedimento non opposto. Non si tratta, tuttavia, di un distinto procedimento o di una fase indipendente e necessaria, attraverso cui si realizza la stabilità del decisum. Essa rappresenta, piuttosto, un segmento procedimentale, attraverso cui si attua il contraddittorio eventuale e differito, per volere della parte stessa, che intenda chiedere una rivalutazione della decisione, così trasformando il rito semplificato - con connotati di specialità - in un ordinario giudizio di esecuzione, all’esito del quale si consoliderà la decisione suscettibile d’impugnazione e di giudicato. La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, spiegato che l’opposizione ai provvedimenti del giudice dell’esecuzione prevista dagli articolo 667, comma 4, e 676, comma 1, cod. proc. pen. non ha natura di mezzo di impugnazione, bensì di istanza diretta al medesimo giudice allo scopo di ottenere una decisione in contraddittorio Sez. U, sentenza n. 3026 del 28/11/2001 Cc. dep. 25/01/2002 Caspar Hawke, Rv. 220577 . Affermazione siffatta pone le premesse per escludere che, nella specie, vi siano i presupposti per prefigurare una forma di incompatibilità di tipo verticale a carattere cd. ascendente, ex art. 31 comma 1 cod. proc. pen Ciò perché si resta nell’ambito di un unico procedimento a struttura solo eventualmente bifasica nel cui contesto la decisione non reca pregiudizio alcuno ai canoni di terzietà e d’imparzialità. La statuizione interinale, all’esito della fase de piano, formalizzata l’opposizione, non si consolida e perde ogni significato, instaurandosi il rito ordinario, a contraddittorio pieno, come richiesto dalla parte con la spiegata opposizione. Il procedimento, dunque, all’esito dell’opposizione, non si articola in fasi strutturalmente distinte che mantengono, cioè, un’autonomia ontologica sul piano del rito piuttosto, esso si unifica e resta privo di soluzione di continuità nel suo progredire. Ciò esclude, dunque, che la fase postuma, d’attuazione puramente eventuale, sia una revisione impugnatoria della precedente essa si pone, piuttosto, come naturale prosieguo della prima, secondo un modello unificato, il cui sviluppo risulta rimesso esclusivamente alla volontà dell’opponente. Queste premesse escludono forme di incompatibilità, anche di tipo orizzontale, proseguendo il giudizio iniziale, nel contraddittorio tra le parti e in plena cognitio camerale. Le valutazioni espresse assumono carattere interinale e contenuto decisorio intrinsecamente rivedibile, proprio in ragione della specialità del rito esecutivo, previsto nella sua forma semplificata, e della possibile opposizione che supera la decisione interinale ed instaura il modello ordinario. Proprio i principi di continuità e di globalità in funzione della decisione, oltre che di non frammentazione del procedimento, impongono la regola di competenza funzionale, scritta nell’art. 667 comma 4 cod. proc. pen., prescrivendo che l’opposizione avvenga, nei quindici giorni, innanzi allo stesso giudice che abbia emesso il provvedimento interinale e che debba assumere quello conclusivo, senza che si possa prefigurare incompatibilità pur a fronte di valutazioni preliminari, sia pur afferenti il merito, destinate a sfociare in quello definitivo Corte Cost., sent. n. 131 del 1996, § 3.1. . Del resto, la giurisprudenza di questa Corte ha già più volte affermato il principio secondo cui il giudice che ha adottato il provvedimento de plano non è incompatibile a pronunciarsi sull’opposizione ai sensi dell’art. 667, comma quarto, cod. proc. pen. avverso il medesimo provvedimento Cass. Sez. 1, n. 14928 del 21/02/2008, Rv. 240165 conforme Cass. Sez. 6, n. 32419, del 15/07/2009, Rv. 245198 Sez. 1, sentenza n. 18872 del 17/03/2016 Cc. dep. 05/05/2016 , Cinquegrana, Rv. 267021 . Si comprende allora come, nella specie, da un lato non ricorrano i presupposti d’una causa d’incompatibilità non contemplata dall’art. 34 comma 2 cod. proc. pen. e, dall’altro, come la questione di costituzionalità prospettata sul punto sia manifestamente infondata e debba essere disattesa. 2. Venendo all’esame delle questioni ulteriori dedotte con il ricorso in esame si deve osservare quanto segue. Non condivide, innanzitutto, questo collegio la tesi esposta dal Procuratore generale, che pur troverebbe supporto in un precedente di questa Corte, secondo cui il provvedimento de quo sarebbe impugnabile per sola violazione di legge Sez. 1, ord. nr. 33620/15, 18/9/2014 dep. 30/7/2015, Bordonaro . In particolare, trattandosi di provvedimento emesso dal Magistrato di sorveglianza non risulterebbe deducibile il vizio di motivazione, salvo per l’ipotesi in cui essa risulti omessa. L’art. 236 disp. coord. cod. proc. pen. farebbe, invero, salva l’applicabilità delle disposizioni di cui alla legge 26 luglio 1975, n. 354 - diverse da quelle di cui al capo 2-bis del titolo 2 della stessa legge - per le materie di competenza del Tribunale di sorveglianza. La norma non reca alcun riferimento alle materie di competenza del Magistrato di sorveglianza. Da ciò deriva che l’art. 71-ter Ord. Pen., contenuto nel capo 2 bis del titolo 2 della stessa legge, non sarebbe derogato per le competenze del Magistrato di sorveglianza, di guisa che il ricorso per cassazione risulta in questi casi esperibile solo per violazione di legge. Il trasferimento delle norme sul procedimento di sorveglianza dalla legge penitenziaria al codice di procedura penale ha indiscutibilmente posto problemi di coordinamento tra le due normative. A quei problemi si è tentato di dare soluzione proprio con l’art. 236 disp. coord. cod. proc. pen., la cui ratio evidente era quella di garantire l’ultrattività delle numerose disposizioni processuali presenti nella legge penitenziaria e non transitate nel codice di rito norme diverse da quelle contenute nel capo II-bis del titolo II della legge stessa . In questa logica ed a prescindere dalla soluzione che le disposizioni di cui agli articolo 71-71 sexies Ord. pen. possano ritenersi definitivamente abrogate, perché sostituite dagli articolo 678 e 666 cod. proc. pen., si deve, comunque, annotare che non sarebbe condivisibile un ragionamento volto a validare l’interpretazione secondo cui nel procedimento innanzi al Magistrato di sorveglianza, sia legittimo integrare il quadro normativo di riferimento con le disposizioni di cui agli articolo 71 e ss Ord. pen., ora ricavandone una disciplina combinata a quella dettata dagli articolo 666 e 678 cod. proc. pen., ora una regolamentazione per specificazione - che aggiunge o riduce elementi e presupposti di tutela - incidendo e conformandone l’ambito di operatività. A parte i profili in cui le norme stesse presentano tratti di incompatibilità con il quadro sopravvenuto basterebbe richiamare i rinvii alle disposizioni del codice del 1930 e quelli che pur farebbero propendere per un fenomeno abrogativo art. 15 disp. prel. cod. civ. va precisato che il legislatore del 2014, proprio intervenendo sulla materia in esame, ha riformulato ex novo l’art. 678 comma 1 cod. proc. pen. La novella, attuata con il d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni nella legge 21 febbraio 2014, n. 10, ha introdotto lo statuto processuale da seguire per le decisioni del Tribunale di sorveglianza e del Magistrato di sorveglianza ed operando rinvio all’art. 666 cod. proc. pen. ed in alcune materie specifiche all’art. 667 comma 4 cod. proc. pen., ha inteso assoggettare l’intera materia ad una nuova disciplina, che non lascia residuare spazi interpretativi da cui inferire una forza ultrattiva degli articolo 71 e ss l. penitenziaria. Del resto, diversificazioni significative da riservare ai procedimenti di competenza monocratica rischierebbero di legittimare interpretazioni poco ragionevoli, proprio sui temi e sui nuclei centrali dell’effettività della difesa giurisdizionale. Non sarebbe, infatti, immediatamente spiegabile la ragione per la quale i provvedimenti del Magistrato di sorveglianza dovrebbero essere ricorribili per cassazione per sola violazione di legge, mentre quelli collegiali del Tribunale di sorveglianza potrebbero essere censurati anche per l’aspetto afferente il vizio di motivazione. Ciò nonostante uno statuto normativo comune in rito, che per entrambi contempla la ricorribilità, attraverso le medesime disposizioni regolatrici articolo 678 e 666 cod. proc. pen. ed al cospetto dei tipici vizi di legittimità art. 606 cod. proc. pen. . 3. Ciò posto, il provvedimento impugnato non risulta sorretto da una motivazione adeguata e non provvede ad uno scrutinio dei presupposti che il Magistrato di sorveglianza avrebbe, contrariamente, dovuto esaminare per verificare se ricorressero le condizioni per la remissione del debito. Questa Corte ha avuto modo di evidenziare che il giudice, investito della richiesta di remissione del debito per le spese processuali e di mantenimento in carcere del condannato che abbia sofferto un periodo di detenzione, deve operare una valutazione complessiva e con criteri di ragionevolezza delle condizioni economiche del richiedente che tenga conto degli effetti dell’adempimento della pretesa erariale sulle condizioni di vita dell’interessato e sulle conseguenze relative alle finalità costituzionali della detenzione Sez. 1, sentenza n. 13611 del 13/03/2012 Cc. dep. 2012 , Valenti, Rv. 252292 . Nella specie, il Magistrato di sorveglianza in funzione della decisione sulla istanza di remissione del debito ha dato atto della regolare condotta , tenuta durante il periodo di sia pur breve restrizione carceraria, e della successiva astensione da condotte devianti. Piuttosto, il provvedimento impugnato non ha fatto corretta applicazione dei principi sottesi all’evoluzione interpretativa operata nel tempo dal giudice di legittimità, in relazione all’istituto della remissione del debito. Si è, invero, anche affermato che la disponibilità di risorse economiche in grado di soddisfare il debito erariale non escluderebbe di per sé lo stato di disagio economico, Cass., Sez. 1, 3.06.1997 n. 2932 Cass., Sez. 1, 15 febbraio 2008, Scaturchio allorché l’adempimento del debito determinerebbe per il debitore gravi difficoltà nel far fronte ad elementari esigenze di vita. Lo stato di indigenza ricorrerebbe, infatti, nell’ipotesi in cui l’adempimento, comportando un notevole squilibrio del bilancio domestico, determinerebbe una seria compromissione delle possibilità di recupero e di reinserimento sociale dell’interessato. Senza omettere la fondamentale considerazione, sempre affermata dal giudice di legittimità Cass. pen. 8 marzo 1994, Spagnolo che il requisito delle disagiate condizioni economiche non va inteso nel senso che sia necessario uno stato di assoluta indigenza, essendo sufficiente una situazione caratterizzata da difficoltà e ristrettezze economiche che, in riferimento a parametri di normalità, non consentono di far fronte alle fondamentali esigenze di vita. Nel caso di specie il debito erariale si aggira intorno alla somma di 900.000 Euro, importo considerevole, che avrebbe imposto al giudice a quo, investito della domanda di remissione del debito, una valutazione complessiva circa le condizioni economiche del richiedente stesso, da operare con criteri di ragionevolezza, non disgiunti da una verifica sugli effetti dell’adempimento della pretesa erariale sulle condizioni di vita dell’interessato. A fronte delle deduzioni difensive il decidente avrebbe avuto onere di confrontarsi con gli argomenti dedotti e, soprattutto, di operare una comparazione concreta tra il debito erariale e il valore effettivo del patrimonio dell’istante solo formalmente ricostruito e richiamato operando rinvio agli accertamenti della polizia tributaria . Ciò in funzione di uno scrutinio concreto sulla possibilità e sulla capacità di estinguere il debito erariale, senza subire pregiudizio irreversibile per le condizioni di vita individuali ed essenziali. Contrariamente il provvedimento impugnato si limita a richiamare in maniera complessiva ed indistinta i beni immobili, senza dare conto delle diverse e spesso ridotte quote nella titolarità dell’istante, così omettendo di spiegare le ragioni in virtù delle quali si è giunti ad affermare che l’estinzione del debito erariale, nonostante la sua rilevante entità, non comportasse un serio e rilevante squilibrio del bilancio domestico, tale da compromettere le stesse esigenze connesse al recupero sociale del medesimo istante. Alla conclusione indicata, infatti, si perviene senza aver preventivamente operato una valutazione del patrimonio richiamato e del suo stesso valore economico, antecedente logico-materiale necessario per operare la verifica di tipo comparativo richiesta nella fattispecie. Alla stregua delle esposte considerazioni l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Magistrato di sorveglianza di Palermo perché riesamini la domanda del ricorrente alla luce dei principi e dei rilievi innanzi indicati. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Magistrato di sorveglianza di Palermo.