Assegni rubati versati sul proprio conto corrente: riciclaggio o ricettazione?

La differenza tra le due fattispecie risiede sia nell’elemento soggettivo, che in quello materiale essendo le ipotesi delittuose citate caratterizzate da diversi aspetti della condotta.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 30265/17 depositata il 16 giugno. Il caso. A seguito della condanna per alcuni fatti di riciclaggio, l’imputato ricorre in Cassazione dolendosi per l’inutilizzabilità di alcune testimonianze rese in giudizio, nonché per l’erronea qualificazione delle condotte come riciclaggio, anziché ricettazione. Affermata la manifesta infondatezza delle censure processuali attinenti alle testimonianze, la Corte approfondisce l’analisi delle condotte contestate al ricorrente confermandone la riconducibilità alla fattispecie di riciclaggio. L’accusa. Nel dettaglio, l’imputato veniva accusato di aver riciclato alcuni assegni bancari di provenienza delittuosa, sottratti, contraffatti e depositati su conti appositamente aperti presso uffici postali, ove, in parte, venivano poi riscossi . La difesa afferma che tale condotta integrerebbe gli estremi della ricettazione perché inidonea ad esercitare una funzione decettiva rispetto all’individuazione del reato presupposto, dal momento che la provenienza furtiva dell’assegno sarebbe stata comunque agevolmente ricavabile dal numero seriale dello stesso . Riciclaggio vs ricettazione. La Corte coglie l’occasione per ripercorrere la distinzione tra riciclaggio e ricettazione individuabile sia nell’elemento soggettivo che si caratterizza come dolo specifico della ricettazione e generico nel riciclaggio che nell’elemento materiale e dunque nell’idoneità della condotta ad ostacolare l’identificazione della provenienza del bene, peculiarità della fattispecie di riciclaggio art. 648- bis c.p. . Quest’ultima costituisce dunque una norma speciale rispetto alla ricettazione che punisce il soggetto che si limita a ricevere una cosa di provenienza delittuosa senza adoperarsi o modificarla per ripulirla dalle tracce della provenienza stessa. Assegni o denaro. Laddove la condotta di riciclaggio abbia ad oggetto assegni o denaro, la giurisprudenza ha chiarito che se l’imputato versa del contante – in quanto bene fungibile – non può esservi dubbio sul fatto che venga automaticamente a realizzarsi la sua sostituzione con denaro pulito”, essendo la banca obbligata a restituire la stessa quantità di denaro depositata. Tale automatismo non è però riscontrabile nel caso del versamento di un assegno in quanto il titolo viene tempestivamente verificato dall’istituto bancario. Se dunque l’imputato si limita a versare un assegno di provenienza furtiva sul proprio conto, previa sostituzione delle generalità del beneficiario con le proprie e sottoscrizione per girata, senza alcuna altra manomissione, la condotta è riconducibile alla ricettazione. Se invece vengono compiute altre operazioni dirette ad impedire o ostacolare l’accertamento della provenienza del denaro, come nel caso della monetizzazione dell’assegno, si riscontra un’ipotesi di riciclaggio. Da tali principi, discende il rigetto del ricorso avendo correttamente la Corte territoriale qualificato la condotta.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 11 maggio – 16 giugno 2017, n. 30265 Presidente Prestipino – Relatore Rago Ritenuto in fatto 1. G.L. - condannato per tre fatti di riciclaggio - a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza in epigrafe deducendo 1.1. la nullità, ex art. 497/3 cod. proc. pen., della testimonianza resa da D.L.C. in quanto, dal verbale stenotipico non risultava che il Presidente del Collegio giudicante l’avesse invitata a rendere la dichiarazione di cui all’art. 497/2 cod. proc. pen. 1.2. l’inutilizzabilità della testimonianza resa da S.S. , in quanto era stata escussa, all’udienza del 15/10/2009, come teste nonostante alla precedente udienza del 06/02/2009 il rapporto processuale si fosse esaurito, avendo la medesima dichiarato di avvalersi della facoltà di non rispondere in quanto imputata in un procedimento connesso in corso di conseguenza, il P.m. non poteva di propria iniziativa presentare nuovamente tale teste ma questo poteva essere citato esclusivamente ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. se ammesso quale nuova prova dal Tribunale 1.3. l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da entrambe le suddette testi in quanto non avvertite ex art. 64/3 lett c cod. proc. pen. 1.4. la violazione dell’art. 648 bis cod. pen. in quanto le condotte addebitate all’imputate andavano qualificate come ricettazione e non come riciclaggio. Considerato in diritto 1. LA NULLITÀ, EX ART. 497/3 COD. PROC. PEN La censura è manifestamente infondata posto che, anche a voler ritenere che l’invito a rendere la dichiarazione di cui all’art. 497/2 cod. proc. pen., non fu effettuato, resta il fatto che si tratta di una nullità relativa che, ex combinato disposto degli artt. 497/3 - 181 cod. proc. pen., avrebbe dovuto essere eccepita dalla difesa che vi assisteva, prima che l’esame avesse inizio ex plurimis Cass. 44860/2015 riv 265686 di conseguenza, poiché la difesa non ha neppure allegato di avere tempestivamente eccepito la nullità entro il termine di cui all’art. 182/2 cod. proc. pen., la medesima deve ritenersi decaduta dal diritto di sollevare l’eccezione ex art. 183/3 cod. proc. pen 2. VIOLAZIONE DELL’ART. 507 COD. PROC. PEN Anche la suddetta censura è manifestamente infondata sotto molteplici profili a perché l’imputato in un procedimento connesso può essere sempre sentito come testimone b perché l’art. 507 cod. proc. pen. ammette la possibilità di assunzione di nuove prove c perché, in ogni caso, la testimone non fu sentita ad libitum dal P.m., come sostiene il ricorrente, ma fu ammessa a deporre dal Tribunale, sia pure implicitamente, come ha correttamente rilevato la Corte Territoriale. 3. LA VIOLAZIONE DELL’ART. 64/3 LETT C COD. PROC. PEN Anche la suddetta censura è manifestamente infondata. In punto di fatto, è pacifico - non peraltro perché lo scrive lo stesso ricorrente - che le due imputate di reati connessi S. e D.L. furono assunte come testimoni ex art. 197 bis/1 cod. proc. pen. dopo che, nei loro confronti, la sentenza era passata in giudicato. Di conseguenza, non è previsto l’avvertimento di cui all’art. 64/3 cod. proc. pen. che riguarda, invece, la persona sottoposta all’indagine , nonché, ex art. 197 bis/2 cod. proc. pen, l’imputato in un procedimento connesso o collegato che sia sentito prima che, nei suoi confronti, la sentenza sia passata in giudicato SSUU 33583/2015 rv. 264479 . 4. LA VIOLAZIONE DELL’ART. 648 BIS COD. PEN In punto di fatto, la condotta addebitata al ricorrente è la seguente le contestazioni, così come ritenute dal giudice di prime cure, sono relative al riciclaggio di assegni bancari di provenienza delittuosa, sottratti, contraffatti e depositati su conti appositamente aperti presso uffici postali ove, in parte, venivano riscossi. In particolare, il prevenuto contraffaceva, nel nome del destinatario, gli assegni bancari rubati, mentre altre persone, in particolare la S.S. e D.L.C. aprivano i conti presso gli uffici postali con le false generalità e documenti corrispondenti a persone realmente esistenti e vi versavano gli assegni. Venivano, poi, effettuati i prelievi da detti conti del danaro pulito . Con detta attività, cui si accompagnava anche la condotta di truffa e contraffazione di documenti di identità nonché la sostituzione della persona il cui documento veniva falsificato con apposizione di foto, dallo G. posta in essere in concorso con le predette donne, i complici si procuravano l’ingiusto profitto corrispondente all’incasso degli importi degli assegni rubati pag. 3 sentenza impugnata . Ad avviso della Corte Territoriale pag. 6 , il suddetto fatto è qualificabile come riciclaggio e non come ricettazione in quanto è stata posta in essere dall’imputato una vera e propria attività finalizzata ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei titoli di credito in questione, in quanto G. non si è limitato al versamento dei titoli per aprire i conti correnti, ma ha proceduto anche alla falsificazione dei medesimi nella persona del destinatario. Né vi è dubbio che, indipendentemente dal fatto se il danaro sia stato interamente ritirato o meno, detto espediente ha consentito l’operazione di pulitura del danaro sottratto . Obietta la difesa che la suddetta condotta integra gli estremi della ricettazione perché rientra in tale ipotesi l’aver formato ed usato documenti d’identità falsi recanti le generalità dei beneficiari degli assegni ricettati. Tale condotta non è idonea ad esercitare una funzione decettiva rispetto all’individuazione del reato presupposto, dal momento che la provenienza furtiva dell’assegno sarebbe stata comunque agevolmente ricavabile dal numero seriale dello stesso. L’uso dei falsi documenti d’identità serve solo per porre a profitto la ricettazione mediante la riscossione dei titoli La provenienza del titolo è data dal numero dell’assegno e dal numero del conto corrente, risulta chiaro che tali dati non sono stati mai alterati, pertanto gli accertamenti di P.G. ma qualsiasi tipo di accertamento ivi compreso quello bancario portava all’immediata identificazione del titolare del conto e pertanto era certa l’identificazione della provenienza del titolo, in quanto con il concetto di provenienza si vuole intendere gli elementi che determinano l’identificazione del soggetto titolare del conto. Anche in relazione alla tracciabilità dell’assegno del flusso di provenienza vengono individuati sulla base del soggetto che ha emesso l’assegno e da questi si può desumere la tracciabilità del titolo. La provenienza dell’assegno viene accertata sulla base del numero dell’assegno che mai è stato alterato, solo se fosse stato alterato il numero dell’assegno ed il numero del conto corrente, allora, e solo in questo caso, può parlarsi di difficile individuazione della provenienza del titolo . In punto di diritto, va premesso che la differenza fra riciclaggio e ricettazione è stata rinvenuta sia nell’elemento soggettivo dolo specifico nella ricettazione dolo generico nel riciclaggio , che nell’elemento materiale, e, in particolare nella idoneità ad ostacolare l’identificazione della provenienza del bene, che è elemento caratterizzante le condotte previste dall’art. 648 bis cod. pen. Cass. 13448/2005 rv. 231053 Cass., Sez. II, n. 35828 del 9 maggio 2012, Acciaio . Il riciclaggio, quindi, è una norma speciale rispetto alla ricettazione il cui elemento specializzante è costituito dalla ricezione di un bene di provenienza illecita elemento comune con la ricettazione finalizzata ad ostacolare l’identificazione della sua origine delittuosa tramite la cd ripulitura . In altri termini, sotto il profilo dell’elemento materiale, il reato di riciclaggio, punisce le condotte che impediscono di identificare la provenienza delittuosa del denaro, beni o altra utilità, mentre quello di ricettazione sanziona il soggetto che si limita a ricevere la cosa di provenienza delittuosa, senza modificarla e ripulirla dalle possibili tracce della propria illecita provenienza. Queste notorie nozioni, consentono, ora di affrontare la problematica del riciclaggio degli assegni e del denaro, problematiche che, spesso, vengono impropriamente sovrapposte e confuse. Sulla suddetta problematica questa Corte di legittimità ha ritenuto quanto segue. Ove l’imputato versi denaro contante, stante la fungibilità del bene, non può dubitarsi che il deposito in banca di denaro sporco realizzi automaticamente la sostituzione di esso, essendo la banca obbligata a restituire al depositante la stessa quantità di denaro depositato ex plurimis Cass. 19504/2012 rv. 252814, in motivazione . Non altrettanto può automaticamente dirsi per l’attività propedeutica al cambio o alla monetizzazione di assegni di provenienza illecita, in quanto la verifica dei titoli viene comunque tempestivamente operata dall’istituto bancario. Infatti, ove l’imputato si limiti a versare sul proprio conto corrente assegni di provenienza illecita, previa sostituzione delle generalità del beneficiario con i propri dati ed apposizione della propria firma sui titoli per girata, senza alcuna manomissione degli elementi identificativi dell’istituto bancario emittente o del numero di serie degli assegni, la suddetta condotta va qualificata come ricettazione, essendo la suddetta condotta assimilabile a quella del possessore in malafede che presenti documenti falsi con le generalità del titolare effettivo degli assegni al fine di poterli incassare, poiché in entrambe le situazioni viene falsificata l’identità del beneficiario, al fine di poter riscuotere il titolo Cass. 12894/2015 rv. 262931 . Negli stessi termini, aveva già deciso Cass. 19504/2012 rv. 252814 secondo la quale la condotta consistente nell’apertura di conti correnti sotto il falso nome del beneficiario degli assegni di provenienza delittuosa senza apportare alcuna manomissione sui titoli, ma limitandosi a presentare documenti falsi recanti le generalità del titolare effettivo degli assegni, integra gli estremi del delitto di ricettazione e non di quello di riciclaggio. Al contrario, integra il reato di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, come nell’ipotesi in cui l’imputato si presti a monetizzare assegni di provenienza delittuosa attraverso il versamento su un conto corrente Cass. 1422/2012 rv. 254050. In particolare, è stato ritenuto che integra il delitto di riciclaggio la condotta di colui che riceva, dall’autore di un delitto, degli assegni costituenti provento di quest’ultimo, e li versi su conti correnti intestati a persone diverse dal predetto autore, procedendo, poi, alla monetizzazione dei titoli Cass. 46319/2016 rv. 268316. Le cennate differenze fra ricettazione e riciclaggio sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo che materiale consentono, quindi, di cogliere la differenza fra le ipotesi in cui la ricezione di assegni di provenienza furtiva costituisce ricettazione e quando, invece, riciclaggio. Si verifica un’ipotesi di ricettazione in tutti i casi in cui l’imputato monetizza l’assegno di provenienza furtiva al fine di procurare a sé o ad altri un profitto. Si verifica, invece, un’ipotesi di riciclaggio in tutti quei casi in cui l’imputato si presti a monetizzare un assegno di provenienza illecita con operazioni tali da ostacolare la provenienza delittuosa e, quindi, a ripulire l’importo di denaro per il quale è stato emesso. Va osservato che l’art. 648 bis cod. pen. prevede tre condotte di riciclaggio due nominate la sostituzione ed il trasferimento un’altra innominata altre operazioni finalizzate tutte ad ostacolare la provenienza delittuosa fra queste, ad es. il successivo ritiro di denaro contante dell’importo corrispondente quello versato presso banche in assegno o altre tipologie di denaro Cass. pen., sez. IV, 30 gennaio 2007, Gazzella. Ora, applicando i suddetti principi di diritto alle concrete fattispecie in esame, ne deriva che la conclusione alla quale sono pervenuti entrambi i giudici di merito è corretta. La difesa ha sostenuto la tesi della ricettazione perché ha focalizzato la propria attenzione solo sulla condotta del ricorrente che si era limitato a contraffare gli assegni rubati. In realtà, come risulta dalla sentenza impugnata nonché dalle condotte criminose analiticamente descritte nei capi d’imputazione, il ricorrente, con il concorso di altre persone, pose in essere una sofisticata operazione di riciclaggio finalizzata ad ottenere la disponibilità di denaro pulito , attraverso il compimento delle seguenti operazioni tra di loro coordinate a ricezione, da parte dell’imputato, di assegni provento di delitto b contraffazione degli assegni c apertura da parte di terzi di conti presso uffici postali con false generalità d versamento sui suddetti conti degli assegni che l’imputato consegnava ai complici e monetizzazione degli assegni e successivo prelievo del denaro. Corretta, quindi, è la decisione della Corte territoriale in quanto, alla fine di tutta quella complessa attività, l’imputato si ritrovò possessore di somme di denaro ripulito proprio per effetto di una classica operazione di riciclaggio. 5. In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. RIGETTA il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali.