I crostacei soffrono. In attesa di essere cucinati devono essere conservati in appositi acquari

La Cassazione ha riconosciuto rilevanza penale, in termini di maltrattamento di animali, alla prassi di un ristoratore che teneva i crostacei in una cella frigorifera con le chele legate, in attesa di essere cucinati.

Così la sentenza n. 30177/17 depositata il 16 giugno. Il fatto. Un ristoratore veniva condannato per maltrattamento di animali per aver detenuto alcuni crostacei vivi in una cella frigorifera con le chele legate in attesa di essere cucinati, condizioni che il giudice riteneva incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze. Il ristoratore ricorre in Cassazione sostenendo l’assenza dell’elemento materiale e psicologico del reato. I crostacei infatti provengono dall’America e vengono trasportati in casse di polistirolo piene di ghiaccio con le chele di ghiaccio per essere poi consegnati a supermercati e rivenditori con il beneplacito di tutte le autorità preposte ai controlli sanitari e giudiziari. Aggiunge inoltre che la conservazione dei crostacei nel ghiaccio comporta uno stato di torpore ed anestesia con annullamento di ogni sofferenza e conseguente mancanza dell’elemento soggettivo del reato. I crostacei provano dolore. I Giudici di legittimità non condividono le prospettazioni del ricorrente. In tema di maltrattamento di animali, la giurisprudenza ha infatti riconosciuto la punibilità della detenzione di animali, avuto riguardo alle specie più diffuse e agli animali domestici, con modalità tali da arrecare gravi sofferenze incompatibili con la loro natura. Il caso dei crostacei giunge per la prima volta al Palazzaccio in un momento in cui gli studi scientifici hanno portato a ritenere che i crostacei sono esseri senzienti in grado di provare dolore . Ciò porta la Corte a condividere l’argomentazione del Tribunale. E’ infatti notoriamente diffusa la pratica di molti ristoranti e supermercati di teneri i crostacei in acquari a temperatura controllata ed ossigenati, indice di una certa sensibilità nella comunità che induceva all’adozione di accorgimenti più complessi al fine di accogliere detti animali nel modo più adatto alle loro caratteristiche naturali. Inoltre la consuetudine di cucinare i crostacei quando sono ancora vivi, non esclude che le modalità di detenzione degli stessi possano costituire maltrattamenti. Gli Ermellini infatti affermano che al pari della tutela apprestata nei confronti degli animali di affezione , integra il reato di maltrattamento di animali la detenzione dei crostacei con modalità per loro produttive di gravi sofferenze, soprattutto se motivate da ragioni di contenimento dei costi con la conseguenza che, nel bilanciamento tra interesse economico e interesse umano alla non sofferenza dell’animale, è quest’ultimo che, in tal caso, deve ritenersi prevalente e quindi penalmente tutelato in assenza di norme o di usi riconosciuti in senso diverso . Per questi motivi, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 gennaio – 16 giugno 2017, n. 30177 Presidente Di Nicola – Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 14.4.2014 il Tribunale di Firenze ha condannato B.C. alla pena di Euro 5.000,00 di ammenda oltre spese nonché al risarcimento dei danni alla Lega Anti Vivisezione Onlus, oltre spese, per la contravvenzione di cui all’art. 727, comma 2, c.p., perché, quale direttore del ristorante omissis di omissis , in attesa che venissero cucinati, aveva detenuto alcuni crostacei vivi in cella frigorifera e con le chele legate, pertanto in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze in omissis . 2. Con il primo motivo di ricorso, l’imputato lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b ed e , c.p.p., sotto il profilo della carenza dell’elemento materiale e psicologico del reato. Con riferimento al primo aspetto, osserva che i crostacei vengono consegnati in casse di polistirolo, adagiati sul ghiaccio con le chele legate e che il trasporto dall’America in tali condizioni non è in alcun modo sanzionato e proibito da alcun tipo di norma italiana tant’è vero che i crostacei giungono presso i supermercati, i rivenditori e ristoratori con il beneplacito di tutte le autorità sanitarie e giudiziarie preposte ai controlli di legge inoltre, precisa, il ristoratore riceve i crostacei nella stessa giornata in cui vengono cucinati, sicché non fa altro che mantenerli nelle stesse condizioni in cui si trovano da giorni non v’è prova che togliere il crostaceo dal ghiaccio per tuffarlo in acqua calda e poi, dopo poche ore, prelevarlo per tuffarlo in acqua bollente non soffra o soffra meno è notorio, invece, che l’animale, tenuto a basse temperature e destinato ad essere cucinato, viva le ultime sue ore in uno stato di torpore ed anestesia che annulla la sensazione di dolore. Con riferimento al secondo aspetto, rileva che, verificata l’assenza di sofferenza, quanto meno grave, per il crostaceo, viene a cadere l’elemento psicologico di esso imputato in termini di colpa, elemento psicologico non sottoposto ad adeguato esame dal Giudice. Intanto, non gli si può addebitare alcun comportamento colposo solo sulla base della ipotizzata mancanza di buon senso. Del resto incongrua sarebbe l’incolpazione di crudeltà o, quanto meno di indifferenza, nei confronti di un crostaceo che entro poche ore è destinato a finire in pentola. 3. Con il secondo motivo di ricorso, deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. d ed e , c.p.p., in relazione agli artt. 125, comma 3 e 546, comma 1, lett. e , c.p.p. perché il Tribunale di Firenze aveva compiuto una serie di affermazioni apodittiche giungendo alla pronuncia della responsabilità dell’imputato sulla base di pareri non meglio specificati di medici veterinari prodotti dalla parte civile. Lo stesso Giudice aveva affermato di aver accertato la responsabilità dell’imputato sulla base non di prove ma di considerazioni. Deduce che, in ogni caso, non vi sono elementi di prova del danno ricevuto dalla parte civile. 4. Nella memoria difensiva depositata il 2.1.2017, la parte civile, LAV Lega Anti Vivisezione Onlus, sostiene l’inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza del primo motivo nonché del secondo motivo, censurato anche per aspecificità, e sviluppa una serie di argomenti tratti dal parere del 29.7.2007 del Centro di referenza nazionale per il benessere degli animali dell’Istituto zooprofilattico della Lombardia e dell’Emilia Romagna per sostenere che il posizionamento degli animali sul ghiaccio, anche se avvolti in sacchetti a tenuta, sia assolutamente inappropriato tanto come metodo anestetico che come metodo di stoccaggio, poiché il contatto diretto con il ghiaccio determina asimmetria della perfrigerazione, sbalzo improvviso di temperatura, shock ipo-osmotico da acqua di scioglimento o da condensa, ipossia e stress anaerobico. Considerato in diritto 5. Il ricorso è manifestamente infondato e, in massima parte aspecifico, nonché presentato nei casi non consentiti. 5.1. Va, in primo luogo, data continuità al consolidato orientamento di questa Corte secondo cui In tema di maltrattamento di animali, il reato permanente di cui all’art. 727 cod. pen. è integrato dalla detenzione degli animali con modalità tali da arrecare gravi sofferenze, incompatibili con la loro natura, avuto riguardo, per le specie più note, quali, ad esempio, gli animali domestici, al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali ex plurimis, Cass., Sez. 3, n. 6829/15, Rv 262529, fattispecie in cui è stata ritenuta penalmente rilevante la custodia di un cavallo in vano seminterrato angusto, alto meno di due metri e pieno di escrementi, tale da costringerlo a stare con la testa ed il collo continuamente abbassati e a limitarne la possibilità di movimento e n. 37859/14, Rv 260184, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo di un canile in cui gli animali erano ospitati in misura superiore ai limiti consentiti dalla legislazione regionale . 5.2. Nonostante solo negli ultimi anni diverse ricerche abbiano portato una parte della comunità scientifica a ritenere che i crostacei siano esseri senzienti in grado di provare dolore e pur in assenza di precedenti giurisprudenziali specifici in materia, va chiarito come la sentenza impugnata presenti una motivazione del tutto immune dalle censure dedotte. Dopo aver accertato in fatto che l’imputato conservava i crostacei in frigorifero, a temperature prossime allo zero grado centigrado, il Giudice ha considerato che questi animali vivevano in acque a temperature alte e che erano tenuti in acquari a temperatura ed ossigenati, non solo nei ristoranti più importanti, ma anche nei supermercati della grande distribuzione. Ha quindi osservato che era già diffusa una certa sensibilità nella comunità che induceva all’adozione di accorgimenti più complessi ed economicamente più gravosi che però consentivano di accogliere i detti animali in modo più consono alle loro caratteristiche naturali. Ha poi fatto riferimento alla letteratura scientifica prodotta dalla parte civile, sebbene abbia concluso che anche il buon senso induceva a ritenere che i crostacei erano stati tenuti dal ristoratore in condizioni contrarie alle loro caratteristiche etologiche, incompatibili con la loro natura e produttive di grandi sofferenze. Il Giudice ha valutato come corretta la contestazione del Pubblico Ministero della contravvenzione più lieve perché l’imputato non aveva l’intenzione di infliggere sofferenze all’animale, bensì era indifferente verso le sue condizioni, e ciò nonostante la teste P.M. , del Comando della Polizia Municipale di Campi Bisenzio, su esposto di un privato, si fosse recata in data 7.10.2012 presso il ristorante, avesse verificato la condizione di trattamento dei crostacei ed avesse informato i dipendenti presenti di tenere gli animali vivi in condizioni compatibili con la loro natura sennonché, al controllo del 14.1.2013, nel frigorifero risultavano un granchio ed un astice vivi con le chele legate, donde la segnalazione all’Autorità giudiziaria. Tali circostanze di fatto sostanziano senza dubbio anche l’elemento psicologico del reato contestato. 5.3. Il Tribunale ha quindi correttamente osservato che la consuetudine sociale di cucinare i crostacei quando siano ancora vivi non esclude che le modalità di detenzione degli animali possano costituire maltrattamenti , perché, mentre la particolare modalità di cottura può essere considerata lecita proprio in forza del riconoscimento dell’uso comune, le sofferenze causate dalla detenzione degli animali in attesa di essere cucinati non possono essere parimenti giustificate, in quanto, come è stato sottolineato in dottrina a questo proposito, soltanto nel primo caso l’interesse umano alla non-sofferenza dell’animale soccombe nel bilanciamento con altri interessi umani della più varia natura e legittimati dalla presenza di leggi. Al contrario, non può essere considerata come una consuetudine socialmente apprezzata quella di detenere siffatta specie di animali a temperature così rigide, tali da provocare sicure sofferenze, posto che, come evidenziato nella sentenza impugnata, gli operatori economici generalmente usano sistemi più costosi nella detenzione dei crostacei e quindi a sistemi di tenuta più rispettosi degli animali, circostanza peraltro neppure specificamente contestata dal ricorrente. Peraltro, la contravvenzione di cui all’art. 727 cod. pen., quantunque non contenuta nel Titolo IX-bis del Libro II del codice penale delitti contro il sentimento per gli animali , si colloca nella stessa direzione di tutela delle fattispecie delittuose di cui agli artt. 544-bis e ss., perché comune è l’oggettività giuridica tra le ipotesi di reato delittuose e contravvenzionale, in quanto tesa a salvaguardare la diffusa sensibilità dell’uomo verso la sofferenza degli animali. Deve quindi ritenersi che, al pari della tutela apprestata nei confronti degli animali di affezione, integra il reato ritenuto in sentenza la detenzione dei crostacei secondo modalità per loro produttive di gravi sofferenze e, per altro, adottate per ragioni di contenimento di spesa, con la conseguenza che, nel bilanciamento tra interesse economico e interesse umano alla non-sofferenza dell’animale, è quest’ultimo che, in tal caso, deve ritenersi prevalente e quindi penalmente tutelato, in assenza di norme o di usi riconosciuti in senso diverso. Del tutto logicamente, quindi, il giudice del merito ha posto in contrapposizione la modalità di detenzione dei crostacei da parte del ricorrente, incompatibile con la loro natura e produttiva di gravi sofferenze, rispetto a quella, sempre più frequente, degli operatori del settore, dei ristoratori e della grande distribuzione che si sono dotati di sistemi che consentono una detenzione in condizioni compatibili con la natura degli animali. 5.4. A fronte della corretta portata applicativa dell’art. 727 c.p., il ricorrente si è limitato a sollevare motivi generici che non si confrontano né mettono in discussione la lettura scientifica prodotta dalla parte civile, sicché non v’è spazio per sovvertire la decisione impugnata, che, si ripete, ha fatto buon governo del principio di diritto affermato con orientamento consolidato da questa Corte. Ne consegue pertanto che, al cospetto di un’adeguata motivazione priva di vizi di manifesta illogicità, le doglianze del ricorrente si risolvono sostanzialmente in censure di merito, non consentite e quindi precluse nel giudizio di legittimità. 5.5. Anche la doglianza sull’an e quantum del danno riconosciuto alla costituita parte civile si appalesa manifestamente infondata, per genericità, dal momento che la LAV è ente esponenziale che cura gli interessi degli animali ed il danno è stato liquidato in via equitativa. 6. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla refusione delle spese processuali del grado in favore della parte civile LAV Onlus, che liquida in complessivi Euro 3.000,00, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.