“Questa è una rapina” o “Guardia di finanza, prego consegnare il denaro in cassa”: se i rapinatori si fingono finanzieri la condanna per rapina è assicurata

Integra il reato di rapina la condotta di chi, al fine di impossessarsi di denaro, impedisca ai dipendenti di una banca di muoversi liberamente, controllando i movimenti, impedendo comunicazioni con l’esterno e, dopo l’impossessamento del denaro, li chiuda a chiave in una stanza.

Il caso. Tre imputati erano stati condannati dai giudici di merito per rapina, possesso di segni distintivi contraffatti e sostituzione di persona. I tre condannati impugnavano la sentenza con ricorso per cassazione censurando, tra l’altro, l’errata qualificazione giuridica del fatto e indicando quale corretto inquadramento il delitto di furto aggravato dall’essere stato commesso da tre persone, travisate e simulanti la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio , in quanto ritenevano non essere stata commessa alcuna violenza o minaccia, elementi che segnano il discrimine con il ben più grave e più severamente punito delitto di rapina. Il travisamento I tre individui si erano qualificati quali appartenenti alla Guardia di finanza. Il travestimento” era curato i tre, indossando le pettorine con il logo della Guardia di finanza, erano giunti nei pressi della filiale a bordo di un automobile avente colori segni distintivi della Guardia di finanza. Presso la filiale della banca avevano simulato un controllo procedendo alla temporanea chiusura della filiale e attendendo, insieme ai due impiegati, l’apertura temporizzata dei vari dispositivi di sicurezza. Nella loro apparente veste di funzionari, si erano fatti consegnare dai due impiegati il denaro contenuto nelle rispettive casse, per un totale di 26mila euro e avevano indicato agli impiegati di inserire i codici per l’apertura della cassaforte nella quale era contenuto altro denaro, per un totale complessivo di 188mila euro. L’assenza di minaccia Effettivamente, nessuna minaccia era stata rivolta alle persone offese semplicemente non si era resa necessaria”. Gli impiegati, infatti, caduti completamente in balia dei rapinatori/attori, avevano riferito di non aver visto armi e avevano creduto all’apparente appartenenza alla Guardia di finanza. ma la libertà è stata coartata c’è violenza, quindi rapina. I tre rapinatori, però, avevano impedito agli impiegati di telefonare alla sede centrale della banca per avvertire del controllo e venivano poi chiusi all’interno della stanza del seminterrato, a seguito di che i rapinatori si erano dati alla fuga con una Fiat punto. Per i giudici si è trattata di violenza, idonea ad integrare il reato di rapina in alternativa alla minaccia . Violenza alla persona propria e impropria. Per violenza alla persona” si intende non solo la violenza propria” vis corporis corpore data vale a dire la forza fisica nei confronti della persona offesa al fine di togliergli libertà di movimento ma altresì la violenza impropria” che si verifica quando l’agente priva coattivamente la volontà di autodeterminazione della vittima che è costretta a fare, tollerare od omettere di fare qualcosa contro la propria volontà. Un rinvio” concettuale alla violenza di cui all’art. 610 c.p La nozione di violenza deve farsi rientrare nell’ampia accezione tecnico-giuridica riconducibile al delitto di violenza privata e, quindi, costituisce violenza” qualsiasi atto o fatto posto in essere dall’agente che si risolva nella coartazione della libertà fisica o psichica della persona offesa che viene indotta, contro la sua volontà, a fare, tollerare oppure omettere qualcosa indipendentemente dall’esercizio sulla stessa di un vero e proprio costringimento fisico. La limitazione dell’autonomia psico-fisica è violenza impropria. Nella fattispecie concreta gli impiegati – anche se non erano state prospettate loro minacce – avevano eseguito i comandi dei rapinatori/finti appartenenti alla Guardia di finanza, i quali avevano comunque impedito agli impiegati di muoversi liberamente all’interno della filiale essendo i loro movimenti costantemente sotto controllo, avevano poi impedito di avvertire la sede centrale e intimato di stare seduti, calmi e buoni”. Gli impiegati, in ultimo, con il pretesto di dover loro rivolgere delle domande, erano stati fatti introdurre in una stanza, dove poi erano stati rinchiusi a chiave, impedendo loro ogni libertà di movimento. Il reato di violenza privata è assorbito da quello di rapina. La condotta agita complessivamente integra gli estremi della violenza impropria perché ostativa della autonomia psico-fisica dei soggetti passivi. Poiché strumentale all’impossessamento del denaro il reato di violenza privata resta assorbito nel reato complesso di rapina che è costruito dalla combinazione ed unificazione dei reati di furto e violenza privata. Nessun vizio di motivazione. Inoltre, secondo i ricorrenti il quadro probatorio era incerto e contraddittorio, quindi insufficiente a dichiarare la responsabilità penale. In realtà, secondo la Suprema Corte i Giudici di merito hanno ben motivato la sentenza di condanna è stato escluso, pertanto, il vizio di motivazione perché il ragionamento era idoneo a superare il ragionevole dubbio. La Corte di Cassazione ha affermato che, nel caso di specie, non è ravvisabile il vizio di motivazione perché il Giudice di merito ha pronunciato la sentenza di condanna sulla base di un compendio probatorio formato da indizi gravi, precisi e concordanti, contestualmente escludendo, con motivazione logica e congrua, la tesi alternativa prospettata dalla difesa perché priva di ogni riscontro processuale e, quindi, non razionalmente plausibile. I ricorsi proposti sono stati dichiarati infondati.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 27 aprile – 8 giugno 2017, n. 28389 Presidente Fumu – Relatore Rago Ritenuto in fatto 1. D.M.A. condannato per i reati di cui agli artt. 628/1-3 capo sub 1 497 ter capo sub 2 23,2,7 L. 110/1975 capo sub 4 497 ter e 494 capo sub 5 , V.G. e V.R. condannati per i reati di cui agli artt. 628/1-3 capo sub 1 497 ter capo sub 2 , hanno proposto separati ricorsi per cassazione contro la sentenza in epigrafe deducendo i motivi di seguito indicati che, essendo sovrapponibili quanto al contenuto, possono essere trattati unitariamente 1.1. VIOLAZIONE DELL’ART. 530/2 COD. PROC. PEN. per avere la Corte territoriale confermato la penale responsabilità di essi ricorrenti pur essendo il compendio probatorio incerto, contraddittorio e, quindi, insufficiente 1.2. ERRATA QUALIFICAZIONE GIURIDICA i ricorrenti sostengono che, il fatto loro addebitato come rapina aggravata, in realtà, andava qualificato come un furto aggravato ex art. 625 n. 5 cod. pen. in quanto non era stata commessa alcuna violenza o minaccia 1.3. TRATTAMENTO SANZIONATORIO i ricorrenti hanno sostenuto che la Corte aveva negato la concessione delle attenuanti generiche con motivazione carente così come eccessiva era la pena loro inflitta. Considerato in diritto 1. VIOLAZIONE DELL’ART. 530/2 COD. PROC. PEN La censura, nei termini in cui è stata dedotta, è manifestamente infondata. Questa Corte osserva che le questioni dedotte con il presente ricorso hanno costituito oggetto di ampio dibattito processuali in entrambi i gradi del giudizio di merito cfr pag. 9 sentenza impugnata in cui la Corte riporta i motivi di appello identici a quelli riproposti in questa sede , alle quali la Corte territoriale, dopo avere ricostruito i fatti pag. 1 ss della sentenza impugnata ha dato una congrua risposta sulla base di puntuali riscontri di natura fattuale e logica pag. 5 ss della sentenza impugnata, in cui la Corte, pag. 8, spiega, sulla base dei tabulati telefonici, il motivo per cui i suddetti orari erano compatibili con quelli della rapina terminata alle ore 14,10 e non alle ore 14,20 , disattendendo, quindi, la tesi difensiva degli imputati riproposta in modo tralaticio nuovamente in questa sede di legittimità. In tema di controllo sulla motivazione, va osservato che alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi e, quindi, di procedere ad una surrettizia rivalutazione del merito, potendo solo procedere a valutare la tenuta logica della motivazione e che la medesima sia rispettosa della regola di giudizio compendiata nella formula al di là di ogni ragionevole dubbio . Ciò comporta che il vizio di motivazione va escluso quando il ragionamento sia effettivamente adeguato a superare il ragionevole dubbio e, per, converso sussiste quando le alternative proposte dalla difesa siano logiche e fondate su elementi di prova acquisiti al processo e regolarmente prospettati. Infatti, la condanna può essere pronunciata a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana Cass. 17921/2010 Rv. 247449 Cass. 2548/2015 Rv. 262280 Cass. 20461/2016 Rv. 266941 . Nel caso di specie, non è ravvisabile alcun vizio motivazionale sotto il profilo dell’al di là di ogni ragionevole dubbio, perché il giudice di merito, ha pronunciato sentenza di condanna sulla base di un compendio probatorio formato da indizi gravi, precisi e concordanti ex art. 192/2 cod. proc. pen. ed ha contestualmente escluso, con motivazione logica e congrua, la tesi alternativa prospettata dalla difesa in quanto priva di ogni riscontro processuale e, quindi, non razionalmente plausibile. 2. ERRATA QUALIFICAZIONE GIURIDICA. La suddetta censura è infondata. Il fatto è stato così ricostruito da entrambi i giudici di merito in data OMISSIS tra le 12.45 e le 14.20 presso la filiale della Banca OMISSIS tre individui, qualificatisi quali appartenenti alla Guardia di Finanza, corpo del quale indossavano le relative pettorine con il logo, giunti nei pressi della filiale a bordo di un’auto avente colori segni distintivi della Guardia di Finanza, simulavano un controllo presso gli uffici bancari e procedevano alla chiusura temporanea della Banca, attendendo unitamente agli impiegati l’apertura temporizzata dei vari dispositivi di sicurezza si facevano quindi consegnare dagli impiegati della banca il denaro delle loro casse 18.000/Euro 19.000 in quella di M.M.A. Euro 7000 circa in quella di P.F. e indicavano agli impiegati di inserire codici per l’apertura della cassaforte, dalla quale veniva prelevato il denaro contenuto per un complessivo ammontare del denaro sottratto pari a Euro 188.000. Gli impiegati della banca hanno riferito di non aver visto armi detenute da parte degli imputati e di non essere neanche stati minacciati in quanto aveva eseguito i comandi confidando sul fatto che fossero in realtà appartenente alla Guardia di Finanza gli avevano comunque impedito di telefonare alla sede centrale per avvertire del controllo. I due impiegati venivano poi chiusi all’interno di una stanza posta nel seminterrato mentre i rapinatori si davano alla fuga con una Fiat punto, rinvenuta poco dopo i fatti . . In punto di diritto, per violenza alla persona s’intende non solo la violenza propria vis corporis corpori data ossia l’impiego di forza fisica nei confronti della persona offesa al fine di togliergli la libertà di movimento ex plurimis Cass. 14901/2015 rv. 263307, ma anche la cd violenza impropria che si verifica quando l’agente priva comunque coattivamente la volontà di autodeterminazione della persona offesa che, quindi, è costretto a fare, tollerare od omettere di fare qualcosa contro la propria volontà. Questa Corte, infatti, ha chiarito che la nozione di violenza deve farsi rientrare nella ampia accezione tecnico-giuridica, riconducibile piuttosto alla ipotesi criminosa dell’art. 610 c.p., e quindi in qualsiasi atto o fatto posto in essere dall’agente che si risolva comunque nella coartazione della libertà fisica o psichica del soggetto passivo che viene così indotto, contro la sua volontà, a fare, tollerare o omettere qualche cosa indipendentemente dall’esercizio su di lui di un vero e proprio costringimento fisico Cass. 39941/2002 rv. 222847 Cass.1176/2013 rv. 254126. Nel caso di specie, risulta dalle dichiarazioni degli impiegati che, pur non essendo stati minacciati, in quanto avevano eseguito i comandi dei rapinatori confidando sul fatto che fossero appartenenti alla Guardia di Finanza, gli stessi avevano comunque impedito loro di muoversi liberamente nella filiale e che i loro movimenti venivano sempre tenuti sotto controllo testualmente la M. ha dichiarato ogniqualvolta tentavamo di spostarci ci bloccavano intimandoci di stare seduti, calmi e buoni , aggiungendo che uno dei rapinatori, il comandante le impediva di telefonare alla sede centrale per avvertire del controllo in corso successivamente, gli impiegati furono rinchiusi a chiave in una stanza, dove erano stati fatti introdurre con il pretesto di dover loro rivolgere alcune domande, impedendo loro ogni libertà di movimento pag. 9 sentenza impugnata . La suddetta condotta, sulla base dei principi di diritto supra illustrati, integra gli estremi della violenza impropria perché ostacolò l’autonomia psico-fisica delle parti offese e perché era strumentale all’impossessamento del denaro, sicché il reato di cui all’art. 610 cod. pen. - pure in astratto configurabile - resta assorbito in quello complesso art. 84 cod. pen. di cui all’art. 628 cod. pen. costituito dalla combinazione ed unificazione dei reati di furto e violenza privata Cass. 28852/2013 riv 256464 e Cass. 19308/2010 rv. 247363, entrambe in motivazione, sulla natura plurioffensiva del reato di rapina . La censura, pertanto, va disattesa alla stregua del seguente principio di diritto Integra il reato di rapina, la condotta dell’agente che, al fine di impossessarsi del denaro, impedisca ai dipendenti di una banca di muoversi liberamente, tenga sotto controllo i loro movimenti, impedisca loro di telefonare e, alla fine, dopo essersi impossessato del denaro, li chiuda a chiave in una stanza. Infatti, per violenza alla persona deve intendersi non solo la violenza propria vis corporis corpori data , ma anche la cd. violenza impropria che si verifica quando l’agente priva comunque coattivamente la libertà di autodeterminazione della persona offesa che, quindi, è costretto a fare, tollerare od omettere di fare qualcosa contro la propria volontà . 3. TRATTAMENTO SANZIONATORIO. Manifestamente infondata, infine, deve ritenersi la censura in ordine al trattamento sanzionatorio, posto che la Corte ha ampiamente motivato, in modo congruo ed aderente agli elementi fattuali puntualmente richiamati, le ragioni del suo convincimento pag. 9 ss il che rende la motivazione incensurabile in questa sede di legittimità. 4. In conclusione, le impugnazioni devono rigettarsi con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. RIGETTA i ricorsi e CONDANNA i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.