Le norme sul finanziamento illecito non valgono per il candidato Sindaco

Le norme che pongono divieti di finanziamento ai partiti politici e quelle che le estendono ad altri soggetti politici non contemplano espressamente la figura del Sindaco o del candidato a tale carica.

Trattandosi di norme incriminatrici, di esse è vietata l’applicazione analogica in malam partem . Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, con la sentenza n. 28045, depositata il 7 giugno 2017. Galeotta fu la fattura. I fatti oggetto del processo definitivamente concluso con la sentenza che oggi commentiamo ruotano attorno alla campagna elettorale di un candidato Sindaco di una cittadina toscana. Quest’ultimo, insieme al presidente di una cooperativa, veniva denunciato, giudicato e condannato in primo e secondo grado per illecito finanziamento dei partiti politici avrebbe beneficiato della somma di poco più di tremila euro, pagate dalla cooperativa per la stampa di volantini elettorali. La norma in forza della quale i giudici di merito dichiaravano la responsabilità degli imputati è quella – contenuta in una legge del 1974 – che punisce l’illecito finanziamento dei partiti politici. Questa norma, per effetto di un’altra legge del 1981, è applicabile a tutta una serie di altri soggetti aspiranti o già titolari di cariche politiche , tra i quali i consiglieri comunali. L’equazione che porta alla condanna è – a tutta prima – semplice il consigliere comunale e il Sindaco, in fondo, sono figure del tutto assimilabili nel contesto della campagna elettorale. Un secco no” all’analogia incriminatrice. Il ragionamento seguito da Tribunale e Corte d’appello viene censurato aspramente dai ricorrenti, e la Suprema Corte condivide in pieno le doglianze non si può applicare una norma incriminatrice per punire fatti diversi e ulteriori rispetto a quelli in essa espressamente menzionati. Ad avviso degli Ermellini, l’operazione posta in essere non è una consentita interpretazione analogica di un dettato normativo, ma un vero e proprio caso di analogia in malam partem , notoriamente bandita – perché contrastante con il principio di stretta legalità e con il suo corollario più noto la riserva di legge – dal diritto penale. Vediamo, però, quali sono i confini, talvolta incerti, che separano l’applicazione analogica dall’interpretazione estensiva di una norma. L’interpretazione estensiva non va oltre il perimetro della norma. Viene osservato che l’interpretazione estensiva è consentita anche in diritto penale lo afferma a chiare lettere la giurisprudenza di legittimità. L’unico limite – potremmo dire il confine estremo oltre il quale non si può andare – è costituito dalla disciplina di fattispecie non previste dalla lettera della legge, quand’anche questa fosse interpretata nel senso più esteso possibile. L’ampliamento del significato di un termine, di un vocabolo o di una previsione specifica deve pur sempre mirare a disciplinare fatti strutturalmente identici a quelli originariamente regolati dalla norma incriminatrice. Vietata l’applicazione di norme incriminatrici per fattispecie non previste. Nel caso del ragionamento analogico, invece, si assiste ad una ricomprensione, all’interno di una norma incriminatrice, di fatti e circostanze dalla stessa non disciplinate. Si tratta, quindi, di ipotesi astratte del tutto diverse da quelle originariamente contemplate, sulle quali il legislatore penale è rimasto in silenzio. Il ragionamento analogico è normalmente consentito all’interno del nostro ordinamento giuridico, ma è espressamente vietato – nelle c.d. preleggi” al codice civile – per le leggi penali” e quelle di tenore eccezionale. La regola generale del diritto penale, espressa in termini volontariamente semplicistici, è quella secondo cui risulta consentito tutto ciò che non è espressamente vietato. Ergo non si può ricomprendere nell’area di applicazione di una norma incriminatrice un fatto in essa non previsto. Paradossalmente, e senza entrare in contraddizione con lo spirito del sistema fin qui ricostruito, sarebbe invece possibile un’interpretazione analogica in bonam partem la giurisprudenza di legittimità, sul punto, è ricca di precedenti puntualmente citati nel corpo della decisione in commento. Ecco che, alla luce di questi pochi ma efficaci richiami, l’equiparazione tra consigliere comunale e candidato Sindaco appare, invece, un’inaccettabile ipotesi di analogia vietata.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 29 novembre 2016 – 7 giugno 2017, numero 28045 Presidente Savani – Relatore Grillo Ritenuto in fatto 1.1 Con sentenza del 19 giugno 2015 la Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza emessa in data 6 marzo 2014 dal Tribunale di Lucca nei confronti di F.M. , H.A.F. e FE.Ma. , che aveva affermato la loro penale responsabilità in ordine al reato loro contestato, p. e p,. dagli artt. 81 cpv., 110 cod. penumero e, 7 della L. 195/74 e 4 comma 1 della L. 659/81 illecito finanziamento dei partiti politici condannandoli tranne, per il solo F. , relativamente al primo terzo episodio contestato , alle pene ritenute di giustizia, dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione quanto allo H. , riduceva la pena inflitta al F. a mesi sette di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa e confermava, nel resto, la sentenza impugnata. 1.2 Per l’annullamento della sentenza ricorrono entrambi gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori fiduciari. Il difensore dell’imputato F. deduce i seguenti motivi a erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 7 della L. 195/74 e 4 comma 1 della L. 659/81 e con riferimento agli artt. 25 Cost., 14 disp. prel. cod. civ. e 1 cod. penumero in relazione al divieto di analogia in malam partem in cui è incorsa la Corte territoriale per avere quel giudice ritenuto applicabili le norme previste in tema di illecito finanziamento ai partiti politici anche nei confronti del soggetto candidato sindaco, pur in assenza di una esplicita previsione normativa al riguardo b vizio di motivazione per mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità in riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, mancando in atti la prova - ritenuta invece esistente dalla Corte territoriale - della conoscenza da parte del percipiente della appartenenza del denaro o della contribuzione asseritamente illecita alla società e della insussistenza delle due condizioni che rendono lecita la contribuzione c carenza assoluta di motivazione in punto di mancato riconoscimento delle invocate circostanze attenuanti generiche. Il difensore del ricorrente FE. , a sua volta, lamenta, con il primo motivo gli stessi vizi denunciati con il primo motivo del ricorso F. . Con un secondo motivo, strettamente connesso al precedente, la difesa deduce il vizio di motivazione per illogicità manifesta in riferimento alla ritenuta applicabilità della norma di cui all’art. 7 della L. 195/74 al candidato sindaco al pari di quanto previsto per il candidato consigliere comunale. Con un terzo motivo la difesa si duole della inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità con riferimento alla acquisizione delle dichiarazioni rese dal coimputato F. ai sensi dell’art. 513 cod. proc. penumero per la parte riguardante il FE. , in violazione dell’art. 500 cod. proc. penumero stante il mancato consenso da parte della difesa del FE. a tale utilizzazione. Con un quarto motivo la difesa deduce l’intervenuta estinzione del reato maturata nelle more del giudizio di legittimità. Con il quinto - ed ultimo - motivo, la difesa invoca - in relazione alla ritenuta particolare tenuità del fatto - l’applicazione della speciale causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. penumero entrato in vigore dopo la pronuncia della sentenza di appello e dunque prospettabile in sede di legittimità ex art. 609 comma 2 cod. proc. penumero Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato in riferimento al primo motivo, comune ad entrambi i ricorrenti, assorbente rispetto a tutti i rimanenti. 1.1 Quale premessa in punto di fatto, indispensabile per comprendere il senso delle censure mosse dai ricorrenti alla decisione impugnata va ricordato che al F. nella sua veste di candidato sindaco alle elezioni amministrative del Comune di del 2007 ed al FE. quale Presidente e amministratore della Cooperativa al facchinaggio L.M. di è fatto carico di avere ricevuto il primo F. dal secondo FE. una fattura falsa dell’importo di Euro 3.264,00 emessa dalla ditta tipografica Emme & amp Emme s.numero c. per la fornitura di volantini elettorali ed altro materiale di cancelleria per la campagna elettorale stampato su richiesta di tale A.P. leader di una lista civica denominata OMISSIS apparentata con la lista del F. in vista del ballottaggio relativa a quelle elezioni amministrative, senza che da parte dell’organo sociale fosse stato deliberata l’erogazione di tale contributo e senza l’iscrizione nel bilancio della società. La fattura in questione, secondo la ricostruzione operata dal Tribunale condivisa dalla Corte territoriale era stata emessa da tale D.S.M. , titolare della tipografia, in favore della cooperativa M. con IVA al 20%, in sostituzione di una precedente fattura numero del omissis emessa nei confronti del comitato elettorale del candidato sindaco F. su esplicita richiesta dell’A. il quale aveva riferito al D.S. che per riscuotere la fattura l’importo avrebbe dovuto essere corrisposto dal F. . La fattura de qua era stata poi effettivamente pagata dalla Cooperativa M. . 1.2 Ciò doverosamente precisato, le difese dei due ricorrenti ripropongono il tema - già sottoposto senza successo sia al vaglio del Tribunale che della Corte di Appello che aveva pienamente condiviso il ragionamento svolto dal primo giudice - della inapplicabilità delle norme previste in tema di illecito finanziamento ai partiti politici dal combinato disposto degli artt. 7 della L. 195/74 e 4, comma 1 della L. 659/81 e della correlata violazione degli artt. 25 Cost., 14 disp. prel. cod. civ. e 1 cod. penumero in relazione al divieto di analogia in malam partem in cui sarebbe incorso il giudice di merito nel ritenere applicabili le norme di cui alle menzionate leggi 195/74 e 659/81 anche nei confronti del soggetto candidato sindaco, pur in assenza di una previsione normativa al riguardo. 1.3 Sia il Tribunale che la Corte territoriale nel confermare il giudizio di colpevolezza sotto l’aspetto oggettivo, hanno argomentato - richiamandosi anche ad una risalente sentenza di questa Corte Suprema Sez. 6 17.10.1994 numero 12729, Armanini, Rv. 199996 - nel senso inverso a quanto prospettato dalle difese dei ricorrenti, muovendo dalla premessa che le previsioni di cui alle norme suddette restano operanti in relazione alle elezioni comunali, rilevando poi che le nuove disposizioni in tema di elezione diretta del Sindaco non prevedono alcuna autonoma disposizione in tema di finanziamenti e di contributi elettorali, sicché, svolgendosi le elezioni del sindaco e del consiglio comunale in unico contesto ed in modo unitario, l’effettiva assenza nel testo normativo del sindaco e dei candidati a tale carica è frutto di un difetto di coordinamento interno del sistema, con la conseguenza che, nell’ottica di una interpretazione costituzionalmente orientata ed al fine di evitare irragionevoli sacche di impunità in favore di determinati soggetti, più degli altri destinatari di finanziamenti sia leciti che illeciti, anche potenzialmente nel corso della campagna elettorale, la posizione del sindaco va equiparata a quella del consigliere comunale soggetto espressamente previsto come destinatario della norma in esame , senza che ciò comporti una interpretazione analogica in malam partem v. pagg. 5-6 della sentenza impugnata . 1.4 La tesi difensiva dei ricorrenti ruota intorno ai contenuti delle norme rispettivamente previste dagli artt. 7 della L. 195/74 e 4 comma 1 della L. 659/81. 1.5 Recita, in particolare, l’art. 7 citato 1. Sono vietati i finanziamenti o i contributi, sotto qualsiasi forma e in qualsiasi modo erogati, da parte di organi della pubblica amministrazione, di enti pubblici, di società con partecipazione di capitale pubblico superiore al 20 per cento o di società controllate da queste ultime, ferma restando la loro natura privatistica, a favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative e di gruppi parlamentari. 2. Sono vietati altresì i finanziamenti o i contributi sotto qualsiasi forma, diretta o indiretta, da parte di società non comprese tra quelle previste nel comma precedente in favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative o gruppi parlamentari, salvo che tali finanziamenti o contributi siano stati deliberati dall’organo sociale competente e regolarmente iscritti in bilancio e sempre che non siano comunque vietati dalla legge. 3. Chiunque corrisponde o riceve contributi in violazione dei divieti previsti nei commi precedenti, ovvero, trattandosi delle società di cui al secondo comma, senza che sia intervenuta la deliberazione dell’organo societario o senza che il contributo o il finanziamento siano stati regolarmente iscritti nel bilancio della società stessa, è punito, per ciò solo, con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e con la multa fino al triplo delle somme versate in violazione della presente legge. 1.6 A sua volta recita l’art. 4 comma 1 della L. 659/81 intitolata Modifiche ed integrazioni alla legge 2 maggio 1974, n 195, sul contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici I divieti previsti dall’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, numero 195, sono estesi ai finanziamenti ed ai contributi in qualsiasi forma o modo erogati, anche indirettamente, ai membri del Parlamento nazionale, ai membri italiani del Parlamento Europeo, ai consiglieri regionali, provinciali e comunali, ai candidati alle predette cariche, ai raggruppamenti interni dei partiti politici nonché a coloro che rivestono cariche di presidenza, di segreteria e di direzione politica e amministrativa a livello regionale, provinciale e comunale nei partiti politici . 1.7 Dal combinato disposto delle due norme e in particolare i commi 2 e 3 dell’art. 7 L. 195/74 e il comma 1 dell’art. 4 L. 659/81 che estende i divieti di finanziamento previsti in via generale dalla prima delle due leggi a determinati soggetti politici sia come persone fisiche che come gruppi , emerge ictu oculi l’assenza del nominativo del sindaco o candidato a tale carica quale destinatario della norma. Reputa il Collegio che l’indicazione dei soggetti destinatari individuati dall’art. 4 comma 1 della L. 659/81 sia tassativa, sicché trattandosi di norma di stretta interpretazione in relazione alla valenza penale che essa assume per il richiamo all’art. 7 comma 3 della L. 195/74, l’estensione a determinate categorie di soggetti non menzionati nel testo di legge è da ritenersi assolutamente preclusa. 1.8 Escluso che l’interpretazione operata dalla Corte territoriale possa qualificarsi estensiva , come pretenderebbe il giudice di appello, deve piuttosto optarsi per una vera e propria interpretazione analogica in malam partem non consentita dal sistema. 2. In linea generale è noto quale sia nella materia penale il discrimine tra interpretazione estensiva consentita ed interpretazione analogica vietata se in malam partem in forza del principio di relatività del ricorso all’analogia che lo consente in bonam partem mentre l’interpretazione estensiva opera tutte le volte in cui la norma è applicata a un caso da essa previsto, nel rispetto, quindi, del suo tenore letterale e a chiarimento del significato della norma, l’analogia ricorre ogni qual volta si applica la norma oltre i casi in essa, espressamente o implicitamente, previsti in presenza di un rapporto di similitudine tra un caso, espressamente disciplinato, e un caso non previsto che permette di estendere al secondo la previsione utilizzata per il primo. 2.1 Tradizionalmente, in riferimento alla materia penale ed alle leggi eccezionali la giurisprudenza ammette il ricorso all’interpretazione estensiva, posto che essa consente di regolare fattispecie comunque rientranti nella norma, se alla stessa si attribuisce il significato più ampio possibile. Nell’interpretazione estensiva, infatti, il caso esaminato rientra nella ipotesi astratta configurata dal legislatore, sia pure dando alle parole della legge un significato più ampio di quello che risulta apparentemente da esse. 2.2 È stato ricordato in una non recentissima ma significativa decisione di questa stessa Sezione che, secondo autorevole dottrina, ogni disposizione di legge va interpretata in modo che consegua lo scopo per cui fu posta e non vada al di là di esso. Se una spiegazione non consente alla norma di raggiungere quello scopo, deve essere respinta, come va respinta quella che conduce a conseguenze che trascendono la finalità della norma . Si è così affermato che questo tipo di interpretazione è ammesso in relazione a tutte le disposizioni di legge, comprese quelle penali, perché non amplia il contenuto effettivo della norma, ma impedisce che fattispecie ad esse soggette si sottraggano alla sua disciplina per l’ingiustificata mancanza di adeguate espressioni letterali in termini Sez. 3 13.7.2009 numero 39078, Apponi e altri, Rv. 245344 . 3. Nella analogia, invece, il caso da decidere non è disciplinato dalla norma e non può in alcun modo essere in essa compreso, anche se questa viene dilatata dall’interprete fino al limite della sua massima espansione, sicché a quel caso viene data la regolamentazione stabilita per un’ipotesi diversa, ancorché simile. 3.1 La norma di riferimento è contenuta nell’art. 12 delle disposizioni preliminari del cod. civ., a tenore del quale Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse cd. interpretazione letterale , e dalla intenzione del legislatore cd. interpretazione logica . Secondo la norma in esame, quando una controversia non può essere decisa con una specifica disposizione, da interpretarsi ai sensi dell’art. 12 comma 1 delle citate disposizioni preliminari, secondo i canoni dell’interpretazione letterale, sistematica, teleologica e storica, il giudice può anzi deve ricorrere all’analogia legis, ovverossia estendere al caso non previsto la norma positiva dettata per casi simili o materie analoghe. E se ciò nonostante, permane il dubbio interpretativo, troverà applicazione l’analogia iuris, ossia l’applicazione dei principi generali dell’ordinamento giuridico. Il ricorso all’analogia si risolve in un vero e proprio meccanismo integrativo dell’ordinamento che permette al giudice di decidere comunque, anche in presenza di una lacuna normativa. 3.2 Tuttavia la regola generale dell’ubi eadem ratio, ibi eadem dispositio, cui si ispira il procedimento analogico, incontra un’eccezione nell’art. 14 delle disp. prel. cod. civ. in forza del quale Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati La ragione della preclusione corollario del principio di tassatività si deve al fatto che il sistema penale è ispirato alla logica del favor libertatis e, pertanto, un’applicazione analogica di una norma punitiva finirebbe con il contrastare con la finalità di garanzia per l’individuo. 3.3 Quanto, poi, alla natura del divieto - se cioè assoluto divieto di analogia in bonam partem o relativo, circoscritto, cioè alle sole norme sfavorevoli divieto di analogia in malam partem - muovendo dalla indefettibile premessa che il divieto di analogia vada inteso come garanzia del favor libertatis, a tutela della libertà dell’individuo contro i possibili arbitrii del giudice, la giurisprudenza tende in prevalenza ad ammettere l’analogia in bonam partem in questo senso Sez. 1 14.5.1997 numero 3359, Tassone, Rv. 207747 in tema di applicabilità dell’art. 47 Ord. penumero nella parte in cui consente al condannato in stato di libertà di chiedere l’affidamento in prova al servizio sociale prima dell’emissione dell’ordine di carcerazione, anche al soggetto che, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, sia rimasto di fatto sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, per intuibili ragioni di equità Sez. 1 12.6.1997 numero 4128, P.M. in proc. Di Giovine, Rv. 288428, in tema di rinnovo della misura cautelare, a pena di inefficacia, non solo quando l’incompetenza venga dichiarata dallo stesso giudice che aveva disposto detta misura, ma anche dal giudice di una successiva fase del medesimo procedimento, purché quest’ultimo sia diverso da quello che aveva ab origine disposto la misura, dovendosi interpretare l’art. 27 cod. proc. penumero che disciplina la materia non nel suo tenore letterale . 3.4 Ancor più numerose, poi, le applicazioni giurisprudenziali che circoscrivono il divieto di cui si discute alla sola analogia in malam partem sulla scorta dell’art. 14 disp. prel. cod. civ., così Sez. 5 11.7.2011 numero 42125, Sallusti e altro, Rv. 251705 Sez. 5 2.5.2016 numero 42309, Clemente e altro, Rv. 268460, nelle quali si è affermato in riferimento al reato di diffamazione con il mezzo della stampa, il divieto di estensione al direttore editoriale dei doveri di controllo e responsabilità propri del direttore responsabile ex art. 57 cod. penumero in senso conforme Sez. 6 3.6.2015 numero 29145, Parlangeli, Rv. 264103, in tema di inapplicabilità dell’art. 334 cod. penumero alla condotta di sottrazione di beni sottoposti a fermo amministrativo a norma dell’art. 214 D. Lgs. 285/92 , ammettendosi, invece, l’analogia in bonam partem, nel rispetto dei limiti di corrispondenza della eadem ratio dell’incriminazione, del necessario grado di determinatezza della disposizione oggetto di applicazione analogica e del divieto di analogia delle norme eccezionali vds. la giurisprudenza dianzi citata al punto 3.3 . 4. Alla stregua di tali principi ritiene il Collegio che l’operazione ermeneutica compiuta dalla Corte non appare per nulla rispettosa di tali regole, peraltro da applicarsi con estremo rigore. Evidente, infatti, il salto logico nella misura in cui, preso atto della mancata indicazione del sindaco o del candidato a tale carica istituzionale tra i destinatari della norma penale rappresentata dall’art. 4 comma 1 della L. 659/81 in correlazione con l’art. 7 commi 2 e 3 della L. 195/74, la Corte di merito con una vera e propria opera di ingegneria o, se si vuole, ortopedia giuridica, include comunque il sindaco tra i soggetti destinatari in nome di una presunta irragionevolezza della norma e di una interpretazione diversa, laddove se deve proprio parlarsi di irragionevolezza, questa va riferita al ricorso all’analogia, esclusa invece dalla Corte in nome di una non meglio individuata ed individuabile interpretazione estensiva, del tutto insussistente visto che con l’interpretazione seguita dalla Corte distrettuale è stato indebitamente esteso l’ambito di applicazione di una norma incriminatrice mediante l’aggiunta tra i soggetti destinatari di essa della figura del sindaco per nulla contemplata. 4.1 Né tale operazione ermeneutica può giustificarsi sulla base di una altrettanto arbitraria, apodittica e irragionevole equiparazione tra la carica di consigliere comunale e quella del Sindaco, sulla base di una contestualità temporale delle due competizioni elettorali e di un collegamento tra esse vista la possibilità per il candidato sindaco eventualmente non eletto di essere eletto alla carica di consigliere comunale, non mancando, peraltro, di rilevare come le nuove norme sull’elezione diretta del sindaco ostino ad una interpretazione siffatta. 4.2 In ultimo non appare per nulla pertinente il richiamo contenuto nella sentenza impugnata v. pag. 5 alla sentenza di questa Suprema Corte emessa dalla 6 Sezione sentenza 17.10.1994 numero 12729, Armanini, Rv. 199996 secondo cui In tema di reati concernenti illeciti finanziamenti a partiti politici, le previsioni di cui all’art. 7 della Legge 2 maggio 1974, numero 195 e 4, primo comma, della Legge 18 novembre 1981, numero 659, restano sicuramente operanti in relazione alle elezioni comunali. La Legge 10 dicembre 1993, numero 515, che ha innovato integralmente la materia è, infatti, applicabile alle elezioni comunali e provinciali, oltre che del sindaco e del presidente della provincia esclusivamente art. 20, secondo comma per ciò che concerne l’accesso ai mezzi di informazione art. 1 , del divieto di sondaggi art. 6 , e le relative sanzioni previste dall’art. 15 , oltre al regime delle agevolazioni postali art. 17 , delle agevolazioni fiscali art. 18 e degli interventi dei comuni art. 19 . . Invero l’affermazione contenuta nella massima della operatività delle disposizioni contestate agli odierni ricorrenti alle elezioni comunali non assume rilevanza alcuna, non essendo controverso che tra i destinatari della norma figurino i consiglieri comunali la questione da risolvere non era infatti quella della possibilità o meno di applicare le norme suddette alle elezioni comunali, ma di applicare le stesse ad in determinato soggetto non indicato essendo evidente che l’espressione elezioni comunali non equivale tout court a sindaco . 4.3 Peraltro la vicenda storica oggetto della decisione sopra menzionata riguardava un personaggio assai noto alle cronache giudiziarie dell’epoca - tale AR.Ma. , assessore al Comune di Milano - accusato nell’ambito del cd. processo omissis del 1992 di numerosi gravi reati e condannato ad una lunga pena detentiva. Quel che è certo è che l’AR. non rivestiva la carica di sindaco, né di candidato a tale ruolo, non senza rilevare che in relazione all’epoca in cui si verificarono quei fatti, nessuna delle due norme oggi contestate al F. e al FE. era in vigore. 5. Conclusivamente l’accoglimento del primo motivo dei due ricorsi ma anche del secondo afferente al ricorso nell’interesse del FE. , attesa l’evidente manifesta illogicità della decisione comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Rimangono con ciò assorbiti i restanti motivi. P.Q.M. Annulla sena rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.