Bastano un paio di minacce all’ex compagna per integrare il reato di stalking

Il reiterato comportamento minaccioso o molesto che cagioni nella vittima un grave e perdurante stato di turbamento emotivo ovvero la costringa ad alterare le proprie abitudini di vita integra il reato di atti persecutori.

Così hanno deciso i Giudici di legittimità con sentenza n. 26588/17 depositata il 29 maggio. Il caso. La Corte d’appello di Lecce confermava la sentenza di primo grado che dichiarava l’imputato colpevole per il delitto di atti persecutori nei confronti della donna con la quale egli aveva in precedenza avuto un legame sentimentale. L’imputato ricorre in Cassazione contestando la ritenuta sussistenza del reato di atti persecutori. Atti persecutori. Il Collegio di legittimità, ritenendo il ricorso infondato anche per la genericità del motivo sollevato dal ricorrente, afferma la configurabilità dell’ipotesi di reato oggetto della contestazione. In particolare, i Giudici affermano che il delitto di atti persecutori si configura per via del reiterato comportamento minaccioso o molesto di chi abbia cagionato nella vittima un grave e perdurante stato di turbamento emotivo ovvero abbia costretto lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita . In tal senso, ad integrare detta fattispecie bastano anche due sole condotte di minaccia o di molestia. Per quanto concerne il caso in esame, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 aprile – 29 maggio 2017, n. 26588 Presidente Fumo – Relatore Sabeone Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto con sentenza del 23 febbraio 2016, ha confermato, per quanto d’interesse del presente giudizio, la sentenza del Tribunale di Taranto del 17 febbraio 2014 che aveva condannato C.N. per il delitto di atti persecutori in danno di S.M. , con la quale aveva avuto in precedenza un legame sentimentale. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, personalmente, lamentando a una violazione di legge e il difetto di motivazione in merito alla ritenuta sussistenza del contestato reato di atti persecutori b una illogicità di motivazione in merito alla mancata concessione delle attenuanti generiche e alla quantificazione della pena. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato. 2. In primo luogo perché il primo motivo di doglianza è del tutto generico limitandosi ad affermare l’esistenza di mera petulanza in quanto posto in essere dall’imputato. Può, in ogni caso, aggiungersi come al Giudice di legittimità resti tuttora preclusa, in sede di controllo della motivazione, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo Giudice del fatto. Pertanto la Corte, anche nel quadro nella nuova disciplina, è e resta Giudice della motivazione. Inoltre, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’articolo 606 cod.proc.pen., comma 1, lett. e , introdotta dalla L. n. 46 del 2006, sia ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il Giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo Giudice v. Cass. Sez. IV 3 febbraio 2009 n. 19710 . Nel caso di specie, invece, il Giudice di appello ha riesaminato lo stesso materiale probatorio già sottoposto al Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, è giunto alla medesima conclusione della responsabilità dell’imputato. 3. La Corte territoriale, concludendo per la configurabilità dell’ipotesi di reato oggetto della contestazione, si è inserita nel consolidato alveo interpretativo della giurisprudenza di legittimità, condiviso da questo Collegio, secondo cui è configurabile il delitto di atti persecutori quando, come previsto dall’articolo 612 bis cod.pen., comma 1, il comportamento minaccioso o molesto di taluno, posto in essere con condotte reiterate, abbia cagionato nella vittima o un grave e perdurante stato di turbamento emotivo ovvero abbia ingenerato un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero ancora abbia costretto Io stesso ad alterare le proprie abitudini di vita, bastando, inoltre, ad integrare la reiterazione quale elemento costitutivo del suddetto reato come dianzi affermato, anche due sole condotte di minaccia o di molestia v. Cass. Sez. V 1 dicembre 2010 n. 8832, Sez. V 11 gennaio 2011 n. 7601 e Sez. V 09 maggio 2012 n. 24135 . Trattasi, in tutta evidenza, di un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è, dunque, idonea ad integrarlo v. Cass. Sez. V 19 maggio 2011 n. 29872 , dovendosi, in particolare, intendere per alterazione delle proprie abitudini di vita, ogni mutamento significativo e protratto per un apprezzabile lasso di tempo dell’ordinaria gestione della vita quotidiana, indotto nella vittima, come nel caso in esame, dalla condotta persecutoria altrui quali gli appostamenti reiterati, gli invii di messaggi telefonici e le ripetute minacce , finalizzato ad evitare l’ingerenza nella propria vita privata del molestatore. 4. La mancata concessione delle attenuanti generiche risulta logicamente e congruamente motivata sulla base della reiterazione delle condotte delittuose e della personalità del reo così come la quantificazione della pena non è avvenuta in maniera illegale e come tale non è assoggettabile al sindacato di legittimità di questa Corte, coinvolgendo l’esame di circostanze soggettive e di fatto che sono state, del pari, correttamente vagliate dalla Corte d’Appello. 5. Il ricorso va, in definitiva, dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende. Oscuramento dei dati personali e identificativi nel caso di diffusione del presente provvedimento a cagione del tipo di reato ascritto articolo 612 bis cod. pen. . P.T.M. La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.