Infermo sì, ma non abbastanza per chiedere il differimento dell’esecuzione della pena

Il differimento dell’esecuzione della pena riguarda situazioni in cui risulti che la permanenza nella struttura carceraria sia tale da esporre il detenuto a pericolo di vita o comunque a condizioni inumane, oggettivamente inaccettabili.

Lo ha ribadito la Suprema Corte con sentenza n. 26540/17 depositata il 26 maggio. Il caso. La richiesta di differimento facoltativo della pena per grave infermità avanzata dal detenuto, condannato alla pena di anni 30 di reclusione, veniva rigettata dal Tribunale di Sorveglianza di Bari in ordine al fatto che dette gravi patologie, costantemente monitorate e fronteggiate, non determinavano una situazione di incompatibilità con il regime carcerario. Il detenuto, a mezzo del suo difensore, ricorre per cassazione. Differimento dell’esecuzione della pena. La Corte di legittimità ha qui l’occasione di ribadire il principio costantemente affermato dalla giurisprudenza secondo cui il differimento della esecuzione della pena ovvero la detenzione domiciliare applicata in luogo del differimento, concernono situazioni in cui risulti che la permanenza nella struttura carceraria sia tale da esporre il detenuto a pericolo di vita o comunque a condizioni inumane, oggettivamente inaccettabili . Tale risultanza può dipendere dall’inadeguatezza delle terapie praticate, dall’inidoneità del centro clinico penitenziario o, ancora, dall’impossibilità o insufficienza del ricorso alle strutture esterne di cui all’art. 11 ord. pen., avuto riguardo anche al solo criterio della necessaria tempestività. Non essendo questo il caso della fattispecie in esame e avendo il Tribunale di Sorveglianza addotto un iter giustificativo articolato e puntuale, contraddistinto da solida e completa motivazione, scevra dalle logiche giuridiche infondate di cui lamenta il ricorrente, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 4 luglio 2016 – 26 maggio 2017, n. 26540 Presidente Cortese – Relatore Saraceno Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 7 maggio 2015 il Tribunale di sorveglianza di Bari rigettava la richiesta di differimento facoltativo della pena per grave infermità, anche nella forma della detenzione domiciliare ex art. 47 ter, comma 1 ter, ord. pen., avanzata da P.G. , detenuto in espiazione della pena di anni trenta di reclusione per i reati di omicidio, rapina, danneggiamento, violazione delle legge sugli stupefacenti e sulle armi, oltre che per altri reati. 1.1 A ragione, riassunte le vicende cliniche del ricorrente, osservava che le pur gravi patologie da cui P. era affetto broncopneumopatia cronica, grastroduodenite ed ernia iatale, esiti di frattura alla clavicola e all’omero sinistri, frattura scafoide destro, esiti artrosici e neurologici di una frattura all’anca, sindrome ansioso-depressiva e disturbi del comportamento alimentare , costantemente monitorate e fronteggiate, non determinavano una situazione di incompatibilità, neppure sotto il profilo della contrarietà al senso di umanità, con il regime carcerario le condizioni generali del detenuto erano anche da ultimo definite tali da non porre il condannato a rischio vita l’attuale stato morboso risentiva della malnutrizione indotta dal comportamento alimentare dell’istante, non rientrante nella categoria nosologica della anoressia nervosa emergevano di contro atteggiamenti del detenuto rivendicativi e oppositivi nei confronti della struttura carceraria, concretantisi in scioperi della fame e rifiuto della terapia di nutrizione parenterale periferica in corso di somministrazione anche i livelli di pericolosità assai elevata dimostrati dai reati in esecuzione, da ulteriori condanne e dai carichi pendenti non consentivano dunque di accogliere l’istanza. 2. Ricorre l’interessato, a mezzo del suo difensore, deducendo con un primo motivo contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Il provvedimento impugnato, da un lato, ha riconosciuto la condizione di grave infermità fisica del detenuto, dando atto dei tentativi, allo stato non positivamente esitati, di reperimento di un centro riabilitativo esterno, dall’altro lato ha contraddittoriamente rigettato l’istanza per carenza dei presupposti legittimanti l’adozione della misura, adducendo che nessuna delle patologie diagnosticate poneva il condannato in pericolo di vita, che il detenuto non necessitava di frequenti contatti con strutture sanitarie esterne, che immotivatamente aveva rifiutato di sottoporsi alle cure mediche. 2.2 Con il secondo motivo denunzia inosservanza o erronea applicazione della legge penale e, nello specifico, violazione degli artt. 27, 32, 3 Cost. e 3 CEDU, deducendo che la decisione adottata si poneva in aperto contrasto con i precetti costituzionali e convenzionali richiamati, nello specifico osservando che si erano violati i principi in tema di tutela del diritto alla salute non si era adeguatamente considerato il degenerato quadro clinico dell’istante, né si era posta attenzione alla gravità delle diagnosi formulate in precedenza non era stato considerato che allo stato al detenuto non era somministrata alcuna terapia la mancanza di familiari disposti a farsi carico del P. non era circostanza idonea a fondare il diniego della detenzione domiciliare parimenti illogica era da ritenersi la valorizzazione in negativo della condotta del detenuto, non essendo necessarie particolari competenze mediche per comprendere come il disturbo antisociale di personalità del P. fosse causa del suo rifiuto incondizionato di cibo e terapie che nelle condizioni date la pena in espiazione perdeva ogni finalità retributiva e, soprattutto, rieducativa, determinando una situazione di esistenza al di sotto della soglia di dignità. Considerato in diritto Osserva il Collegio che le censure articolate in ricorso, per larga parte inammissibili, sono nel complesso quantomeno infondate. 1. Deve anzitutto osservarsi che il provvedimento impugnato, alla cui articolata e puntuale motivazione il ricorrente non presta la dovuta attenzione, ha escluso che vi fossero condizioni di salute tali da determinare una situazione di incompatibilità assoluta o relativa con la detenzione carceraria. Tale ritenuta assenza del presupposto comune agli istituti degli artt. 147 cod. pen. e 47-ter comma 1-ter, L. n. 354 del 1975 giustifica correttamente il rigetto di entrambe le richieste avanzate dal ricorrente. 1.1 All’esame del merito delle doglianze formulate va in premessa ricordato che, secondo principi più volti affermati da questa Corte cfr. tra molte, Sez. 1, n. 37337 del 26/09/2007, Bifone, Rv. 237507 Sez. 1 n. 1371 del 24/11/2010, Sergi, Rv. 249319 , il differimento della esecuzione della pena ovvero la detenzione domiciliare applicata in luogo del differimento, concernono situazioni in cui risulti che la permanenza nella struttura carceraria - per la inadeguatezza delle terapie praticate, l’inidoneità del centro clinico penitenziario ovvero per l’impossibilità o l’insufficienza, avuto riguardo anche al solo criterio della necessaria tempestività, del ricorso alle strutture esterne di cui all’art. 11 O.P. sia tale da esporre il detenuto a pericolo di vita o comunque a condizioni inumane, oggettivamente inaccettabili. In aderenza ai dettami degli artt. 32 e 27, terzo comma, Cost. e agli arresti della Corte di Strasburgo in tema di interpretazione dell’art. 3 della Convenzione Edu tra molte Jalloh c. Germania ric. n. 54810/00 Scoppola c. Italia, n. 50550/06 , la valutazione in punto di incompatibilità tra regime detentivo carcerario e condizioni di salute del recluso, ovvero la verificazione della possibilità che il mantenimento dello stato di detenzione di persona gravemente debilitata e/o ammalata costituisca un trattamento inumano o degradante, va effettuata tenendo comparativamente conto delle condizioni complessive, soggettive e di salute, del recluso, delle condizioni della detenzione, della offerta terapeutica in regime intramurale, e implica perciò una valutazione circa la concreta adeguatezza delle possibilità di cura e assistenza assicurate nella situazione specifica a quel particolare detenuto sulla quale concreta adeguatezza non può incidere tuttavia l’eventuale ingiustificato rifiuto di sottoporsi a trattamenti e terapie proveniente dal detenuto medesimo. 2. Tanto precisato, è infondata la censura con cui si denunziano illogicità motivazionali. Il provvedimento impugnato, dopo aver descritto la diagnosi con cui il P. era giunto presso la Casa circondariale di Bari severa coxartrosi sinistra post-traumatica, sindrome severa di malnutrizione con edemi declivi, ernia iatale, ernia inguinale, calcolosi della colicisti, sindrome ansioso depressiva con disturbo della personalità mista , riferisce che il detenuto è stato da subito collocato presso il C.D.T., dove gli è stata assicurata la costante presenza di personale medico ed infermieristico. Riferisce, quindi, il contenuto delle relazioni sanitarie redatte dal febbraio al maggio 2015, nelle quali si evidenziava che il compenso clinico del paziente risentiva della discontinuità nell’assunzione di cibo, comportamento che aveva determinato uno stato di malnutrizione ostativo all’esecuzione dell’intervento per coxartrosi e protesi dell’anca che occorreva stabilizzare in primo luogo il disturbo del comportamento alimentare e che sussisteva un’incompatibilità solo relativa con il sistema carcerario ordinario, oltre che temporanea in quanto condizionata dall’attuale stato morboso su cui influiva in misura determinante la malnutrizione relazione del 17.2.2015 che nell’ultimo periodo il paziente aveva accettato di sottoporsi a nutrizione parenterale periferica, ma che il ciclo di terapie era stato volontariamente interrotto dal P. per finalità rivendicative relazione del 28.2.2015 che la scarsa compliance del paziente, manifestata con il rifiuto, come gesto di protesta, di sottoporsi a monitoraggio e controllo clinico ematologico non consentiva una valutazione del suo stato clinico e dei risultati raggiunti dalle terapie somministrategli relazione del 7.5.2015 . Per cui, preso atto che tutte le relazioni esaminate avevano escluso che le patologie diagnosticate ponessero il condannato a rischio di vita e che le ultime avevano rimarcato la volontaria interruzione della terapia che avrebbe permesso un miglioramento del quadro nutrizionale e delle patologie associate, essendosi P. rifiutato anche di sottoporsi a monitoraggio e controllo clinico-ematologico, così di fatto impedendo una valutazione del suo stato clinico e dei risultati raggiunti dalle cure somministrate, il Tribunale ha stimato siffatta condotta valido motivo per il rigetto della richiesta di differimento dell’esecuzione della pena, escludendo che il trattamento riservato al detenuto fosse contrario al senso di umanità, non avendo comportato sofferenze diverse ed ulteriori da quelle connesse al mero stato di detenzione. 2.1 Con tale lineare e razionale motivazione il ricorrente non si confronta realmente, finendo di fatto per sostenere che la mancata collaborazione del detenuto ai trattamenti terapeutici produrrebbe comunque nel caso in esame gli effetti dell’incompatibilità carceraria per mancata somministrazione di qualsivoglia terapia. Ma, così opinando, mostra di trascurare che l’eventuale situazione di sofferenza deliberatamente autoprodotta - realizzata cioè mediante un comportamento ostile, che nel caso in esame, secondo l’insindacabile apprezzamento dei giudici del merito, va dalla mancanza di collaborazione in terapie e accertamenti al rifiuto di assumere medicamenti e cibo, - non può essere presa in considerazione ai fini del bilanciamento tra esigenze di salvaguardia dei diritti fondamentali ed obblighi di effettività della risposta punitiva si veda, anche per il rilievo in essa dato al comportamento ostruzionisitico del ricorrente, Corte EDU, decisione d’irricevibilità 24.1.2006, Martinelli c. Italia ric. n. 68625/01 , non potendosi in linea generale pretendere tutela del diritto abusato, esercitato in funzione di un risultato estraneo alla sua causa. 2.2 Generiche, oltre che manifestamente infondate, si appalesano, infine, le ulteriori censure il provvedimento impugnato ineccepibilmente osserva che l’anoressia, come sintomo descritto dal paziente e non rientrante nella categoria nosologica di anoressia nervosa secondo il giudizio dei sanitari, sembra riconducibile ai disturbi antisociali del condannato noncuranza della sicurezza propria o degli altri pur di ottenere un fine utilitaristico che, allo stato, nelle more di individuazione di una struttura esterna idonea a fronteggiare tutte le necessità sanitarie del condannato, la collocazione presso il C.D.T. gli consente di fruire di quelle cure, purtroppo interrotte, che potrebbero permettergli di migliorare il suo quadro nutrizionale e le patologie associate, cure di cui non potrebbe fruire fuori dal circuito penitenziario, non disponendo di abitazione e di supporti familiari che elevato resta il livello di pericolosità sociale del condannato desumibile dalla gravità dei reati in espiazione, dal lungo fine pena, dai numerosi ed allarmanti precedenti penali estorsione, rapina, furto, violazione legge armi, evasione, sequestro di persona, omicidi -nel 1998 e nel 2008-, lesioni, incendio, spaccio di stupefacenti sino al 2008 , dai carichi pendenti, dalle recenti e insistite manifestazioni di insofferenza nei confronti delle Forze dell’ordine P. risulta indagato per i reati di oltraggio, violenza e resistenza a pubblico ufficiale commessi nel 2013 nella Casa circondariale di Parma . Si è in presenza, dunque, di un iter giustificativo articolato e puntuale, contraddistinto da solida e completa orditura motivazionale, priva delle mende logiche e giuridiche che infondatamente il ricorrente lamenta. Conclusivamente il ricorso va rigettato con ogni conseguenza di legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.