Lo stato di salute del detenuto in 41-bis può influire sulla proroga del regime detentivo particolare?

In tema di trattamento penitenziario differenziato, costituisce violazione di legge l’omessa considerazione da parte del giudice dell’incidenza dello stato patologico insorto a carico del detenuto sulla valutazione della pericolosità dello stesso, posto che la natura amministrativa della determinazione prevista dall’art. 41-bis ord. pen. non esclude la necessità di una valutazione individualizzata.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 25472/17 depositata il 22 maggio. Il fatto. Un detenuto, condannato all’ergastolo, proponeva reclamo ex art. 41- bis ord. pen. al Tribunale di sorveglianza avverso il decreto del Ministero della Giustizia con il quale era stato prorogato il regime di detenzione particolare. Il Tribunale ha rigettato il reclamo con ordinanza impugna poi in Cassazione. In particolare, il ricorrente si duole per la motivazione apparente in ordine alle deduzioni relative all’incompatibilità del suo stato di salute con il cd. carcere duro. Ratio. La Corte di Cassazione non accoglie le prospettazioni del ricorrente e condivide l’argomentazione del provvedimento impugnato in relazione alla necessità di prorogare il regime di sorveglianza particolare al fine di evitare contatti con l’associazione mafiosa di cui il ricorrente aveva ricoperto il ruolo apicale. Il Tribunale di sorveglianza aveva infatti correttamente precisato che, in relazione ai criteri indicati dall’art. 41- bis , come modificato dall’art. 2 l. n. 24/2009, persisteva il pericolo che il ricorrente continuasse ad esercitare il suo ruolo nell’associazione mafiosa. Ai fini della proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41- bis ord. pen. è infatti necessario accertare che la capacità del condannato di tenere contatti con l’associazione criminale non sia venuta meno alla stregua di una serie di parametri predeterminati tra cui il profilo criminale del soggetto, la posizione rivestita nell’associazione, la perdurante operatività del sodalizio e l’eventuale sopravvenienza di nuove incriminazioni. Si tratta di elementi che devono comunque essere ponderati attraverso l’indicazione di dati fattuali sintomatici dell’attualità del pericolo di collegamenti con l’ambiente criminale esterno, che deve essere dimostrata con certezza. In tale contesto, sottolineano gli Ermellini, il mero dato relativo al tempo trascorso non assume un ruolo risolutivo nella verifica dell’attualità del pericolo suddetto. Stato di salute e regime detentivo. In ugual modo, il quadro patologico descritto dal ricorrente nell’originario reclamo non inficia in modo decisivo la potenziale capacità del soggetto di intrattenere rapporti con l’associazione mafiosa laddove fosse sottoposto a regime detentivo ordinario. La Corte afferma poi che, in tema di trattamento penitenziario differenziato, costituisce violazione di legge l’omessa considerazione da parte del giudice dell’incidenza dello stato patologico insorto a carico del detenuto sulla valutazione della pericolosità dello stesso, posto che la natura amministrativa della determinazione prevista dall’art. 41- bis ord. pen. non esclude la necessità di una valutazione individualizzata anche con riferimento ai cambiamenti della personalità del soggetto e delle condizioni soggettive legate ad eventi verificatisi durante la detenzione. Nel caso di specie, avendo il Tribunale adeguatamente motivato in merito al fatto che lo stato di salute del ricorrente non incide sui presupposti del regime detentivo in parola, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 31 gennaio – 22 maggio 2017, n. 25472 Presidente Bonito – Relatore Siani Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza in epigrafe, emessa in data 12 - 22 febbraio 2016, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato il reclamo proposto, ai sensi dell’art. 41-bis Ord. pen., da M.G. , condannato alla pena dell’ergastolo per i titoli elencati in posizione giuridica, avverso il decreto del Ministro della Giustizia in data 27 ottobre 2015 di proroga del regime di sorveglianza particolare. Il Tribunale - considerate le doglianze avanzate dal M. ed afferenti alla genericità del provvedimento, all’assenza di effettiva motivazione, all’utilizzazione di informative non più attuali, in ragione del tempo pregresso da lui già passato in regime ex art. 41-bis cit., essendosi così risolta la determinazione di proroga di questo regime nell’applicazione di una sorta di presunzione legale di permanenza del vincolo con la suddetta organizzazione - le ha analizzate ed ha concluso in senso negativo per il reclamante. 2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore del M. chiedendo l’annullamento della stessa ed affidando l’impugnazione ad un unico, articolato motivo con cui ha dedotto violazione di legge, ex artt. 606, comma 1, lett. b , e 125 cod. proc. pen., in relazione all’art. 41-bis Ord. pen., nonché agli artt. 27, comma terzo, e 32 Cost Secondo il ricorrente, la motivazione addotta a sostegno del rigetto della deduzione relativa alla gravità delle sue condizioni di salute era del tutto apparente in quanto aveva omesso di considerare gli effetti dell’incidenza delle condizioni stesse sui presupposti legittimanti il regime particolare, per le ricadute sulla pericolosità del soggetto e per la stessa sopportabilità delle misure più rigorose. In specie, il Tribunale aveva ritenuto che le svariate patologie del M. , ivi compresa la distrofia maculare che lo aveva ridotto ad ipovedente e, nelle more, lo aveva condotto alla totale perdita della vista in un occhio, non inficiassero la sua capacità di collegarsi all’esterno, ma aveva esposto tale approdo in modo assolutamente apodittico, senza operare la verifica dell’effettivo pericolo di permanenza dei collegamenti del detenuto con la criminalità organizzata, laddove la stessa Corte costituzionale aveva precisato che alla base del provvedimento in esame occorreva il riscontro di specifici ed autonomi elementi da cui risultasse la persistente capacità del condannato di mantenere i rapporti con le organizzazioni criminali, all’uopo non bastando la semplice permanenza dell’associazione mafiosa e la mancata collaborazione del detenuto, mentre poi il fatto che si trattasse di decreto di proroga non elideva l’esigenza alla sua base di una motivazione congrua ed autonoma in ordine alla persistenza del pericolo per l’ordine e la sicurezza, non essendo consentito far ricorso ad inammissibili automatismi o a motivazioni stereotipate, nemmeno per giustificare la protrazione del regime particolare. 3. Il Procuratore generale ha prospettato il rigetto del ricorso, atteso che l’unico vizio deducibile in questa materia, la violazione di legge, non era riscontrabile nel provvedimento impugnato che aveva delibato la proroga del regime particolare emesso per il M. , in quanto in esso risultava fornita la giustificazione delle ragioni per le quali il decreto ministeriale aveva determinato la proroga, senza alcun automatismo, ma sulla scorta di congrua ed autonoma motivazione, relativa anche all’attuale pericolosità sociale del condannato, pure con riferimenti agli elementi forniti dalla sentenza della Corte di assise di appello di Catania del 2008 che, con riferimento alla strage di Capaci, aveva esposto i contributi dichiarativi che testimoniavano circa la persistente capacità del M. , detenuto dal 1995, di gestire gli affari dell’associazione veicolando i relativi messaggi tramite i colloqui con i familiari, mentre in ordine alle condizioni di salute del detenuto l’ordinanza impugnata aveva ritenuto che la situazione patologica fosse congruamente fronteggiabile con le misure sanitarie disposte, il tutto da valutarsi in relazione alla emersa sua pericolosità sociale, senza che tale opzione risultasse contraria al basilare senso di umanità, né essendo emersa incompatibilità alcuna fra le patologie ed il regime carcerario in questione. Considerato in diritto 1. La Corte ritiene che l’impugnazione sia inammissibile. 2. Il Collegio rileva che il Tribunale, dopo aver richiamato il contenuto del decreto ministeriale oggetto del reclamo, nel quale era stato ritenuto che il detenuto fosse ancora in grado di mantenere i contatti con l’associazione mafiosa di riferimento, in ragione del suo spessore criminale, del suo ruolo apicale nell’organizzazione denominata OMISSIS , quale capo nella provincia nissena, della perdurante attività di OMISSIS sul relativo territorio e dell’assenza di segni della sua eventuale dissociazione dalla cosca, per cui era necessario prorogare nei suoi confronti il regime di sorveglianza particolare al fine di evitare che tali contatti fossero effettivamente coltivati, ha preso in considerazione le doglianze avanzate dal M. , come richiamate in precedenza, senza però pervenire a condividerne il fondamento. Non può ritenersi che le conclusioni, negative per il M. , siano state raggiunte dal Tribunale sulla scorta di una valutazione contraria alla disciplina regolatrice della proroga del regime particolare o di una motivazione del tutto mancante o apparente, sempre tenuto conto del limitato spettro - la violazione di legge - per cui l’impugnazione in questa sede è data avverso il decreto ministeriale di proroga del regime detentivo ex art. 41-bis L. n. 354 del 1975 come da comma 2-sexies della disposizione . Invero, il Giudice di merito ha precisato che, in relazione ai criteri indicati dall’art. 41-bis Ord. pen., come novellato dall’art. 2 I 15 luglio 2009, n. 24, persisteva il pericolo che il M. esercitasse il suo ruolo apicale nella succitata cosca impartendo gli ordini dal carcere, alla stregua delle risultanze investigative e processuali relative 1 alla biografia delinquenziale dello stesso, che annoverava vari omicidi aggravati e la strage di . erroneo dovendo considerarsi il riferimento contenuto nel decreto ministeriale alla strage di OMISSIS 2 al profilo criminale attuale del M. , in uno alla sua posizione di spicco nella cosca di appartenenza, OMISSIS 3 all’assenza di elementi dimostrativi della rescissione da parte sua dei collegamenti con la suddetta organizzazione, anche per l’assodata sua posizione di capo supremo della suddetta articolazione provinciale dati rispetto a cui non convincevano le contrarie argomentazioni difensive, atteso che l’intera mole delle informazioni analizzate dal decreto attestava la pericolosità sociale eccezionale del reclamante, nemmeno il prolungato stato di detenzione essendo risultato idoneo a far venir meno il concreto pericolo della coltivazione da parte sua dei collegamenti con il clan ancora attivo, quando, come nel caso in esame, restava intatto il prestigio criminale dei vertici storici, fondato sull’avvenuta consumazione, nel tempo della libertà, di numerosissime condotte di portata eclatante e connotate da significativa violenza, poi seguite da un’esperienza carceraria coerentemente segnata dall’irriducibilità. 3. Ciò posto, gli esiti della richiamata analisi vanno coordinati con il rilievo che il decreto ministeriale di cui si tratta ha ad oggetto la proroga del regime particolare, in relazione a cui si ritiene che, una volta convalidato dal definitivo rigetto della correlativa impugnazione il precedente decreto applicativo, sia sufficiente a reggere la legittimità di quello successivo la constatazione, alla luce della verifica dei parametri cognitivi indicati dal comma 2-bis della norma, del mancato venir meno dei presupposti su cui si era fondato il primo. In effetti, ai fini della proroga del regime detentivo differenziato di cui alla L. n. 354 del 1975, articolo 41-bis, è necessario accertare che la capacità del condannato di tenere contatti con l’associazione criminale non sia venuta meno e questo accertamento va condotto anche alla stregua di una serie predeterminata di parametri quali il profilo criminale, la posizione rivestita dal soggetto in seno all’associazione, la perdurante operatività del sodalizio e l’eventuale sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, elementi tutti che vanno ponderati attraverso l’indicazione di indici fattuali sintomatici di attualità del pericolo di collegamenti con l’ambiente criminale esterno. E l’evenienza di tale pericolo non deve essere dimostrata in termini di certezza, essendo necessario e sufficiente che essa possa essere ragionevolmente ritenuta probabile, e non risulti, per contro, devitalizzata dalla presenza di indici dimostrativi del sopravvenuto venir meno di tale pericolo, di guisa che resti confermata la sussistenza del nesso funzionale tra le prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza fra le altre, Sez. 1 n. 18791 del 06/02/2015, Caporrimo Rv. 263508 Sez. 5, n. 40673 del 30/05/2012, Badagliacca, Rv. 253713 . In tale prospettiva può ritenersi acquisita la tenuta costituzionale dell’assetto richiamato come ha ribadito Corte cost. 12/05/2010, n. 190 cfr., nella stessa prospettiva, Sez. 1, 44149 del 19/04/2016 Sarcone, Rv. 268294, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis Ord. pen., in relazione agli artt. 117 Cost. e 3 CEDU, non sussistendo, anche secondo la giurisprudenza convenzionale, incompatibilità strutturale di sorta tra l’adozione di un regime carcerario differenziato, giustificato dalla necessità di neutralizzare l’allarme sociale derivante dal mantenimento da parte del detenuto di relazioni con l’esterno del carcere. e i contenuti dell’art. 3 cit., attesa la natura temporanea della misura, l’esistenza per il detenuto di spazi minimi e incomprimibili di relazionalità e il controllo giurisdizionale sulle ragioni giustificatrici del provvedimento originario e delle eventuali sue proroghe e sulla tipologia delle limitazioni imposte . Sotto altro aspetto, la stessa struttura della previsione normativa della proroga del regime in questione impone di non assegnare al decorso del tempo il ruolo di elemento risolutivo in ordine alla verifica di attenuazione del suddetto pericolo, non obliterato il rilievo che il regime particolare in esame non esige il pieno accertamento della perdurante condizione di affiliato al gruppo criminoso, bensì la verifica della sussistenza di elementi idonei a corroborare ragionevolmente la persistenza del concreto pericolo dei contatti con la realtà criminale di provenienza. Orbene, tale persistenza è stata adeguatamente ritenuta sussistente dal Tribunale per la posizione del M. . 4. Né può, in questo quadro, reputarsi fondata la censura di motivazione apparente con riferimento al vaglio delle condizioni fisiche del detenuto assoggettato al regime particolare, giacché il Tribunale ha preso in esame il quadro patologico che grava il ricorrente e, tuttavia, ha rimarcato che la doglianza da lui svolta in merito alle numerose affezioni lamentate non era tale da poter trovare accoglimento, poiché le patologie - BPCO, cardiopatia ischemica, ipertensione, ernia iatale, diverticolosi del colon, discopatia multipla, sciatalgia, iperplasia prostatica benigna, noduli alla tiroide, distrofia maculare in ipovedente - non inficiavano in modo decisivo la capacità del detenuto di mantenere i rapporti con l’esterno, capacità che, quindi, il M. avrebbe potuto concretamente estrinsecare nell’ipotesi di revoca del regime differenziato. Il Giudice di merito, nella sostanza, si è, con riguardo alle rilevate patologie, concentrato - come doveva - nel valutare l’incidenza delle condizioni di salute del condannato sull’applicabilità del regime ex art. 41-bis cit. e, di conseguenza, della sua proroga ed ha concluso nel senso che, ferma l’apprezzabilità del quadro patologico per i riflessi che in astratto potesse determinare in tema di verifica della pericolosità, le patologie acclarate - ivi compresa quella maggiormente evidenziata, ossia la patologia oculare che ha reso ipovedente il M. , con ulteriore ingravescenza nelle more - non erano in concreto tali da costituire, di per sé, un effettivo fattore di scadimento del concreto pericolo di continuità dei collegamenti, in regime detentivo ordinario, del M. con la - certamente ancora viva - cosca mafiosa. Questa valutazione - considerate le notazioni di fatto sviluppate nei sensi sopra richiamati ed assodata la possibilità di cura e contenimento delle patologie in parola con i presidi, farmacologici e non, erogabili in ambito carcerario - è stata effettuata dal Tribunale, in relazione all’emersa pericolosità del detenuto, e non si profila affatto apparente, dal momento che, anche con riguardo alla rilevata distrofia maculare, la persona che abbia un grave deficit al visus, se è dotata come è risultato dotato il M. di rilevantissimo profilo criminale, può, con gli opportuni accorgimenti, coltivare concretamente i contatti con l’ambiente criminale mafioso esterno al circuito carcerario. Il Collegio, dunque, ribadisce che, in tema di trattamento penitenziario differenziato, costituisce violazione di legge l’omessa considerazione da parte del giudice dell’incidenza dello stato patologico, eventualmente insorto a carico del detenuto, sulla valutazione della pericolosità del medesimo, giacché la natura di carattere essenzialmente amministrativo della determinazione prevista dall’art. 41-bis Ord. pen. - operante, anche in occasione della proroga, nei confronti di individui già soggetti a restrizione della libertà personale, per finalità preventive, onde immunizzare la situazione del detenuto assoggettato al regime particolare dalla concreta possibilità di contatti con il contesto criminale di provenienza non elide l’esigenza di individualizzare la valutazione anche con riferimento ai mutamenti della personalità del detenuto e/o a variazioni delle condizioni soggettive correlate ad eventi verificatisi in costanza di detenzione v. Sez. 1, 27/01/2016, n. 16019, Bonura, Rv. 266620 . E in questa chiave non si dubita che l’insorgenza di un grave quadro patologico integrerebbe elemento da considerarsi, pure per istituire la correlazione tra tale condizione e l’attitudine manifestata in precedenza dal detenuto, per ogni possibile incidenza sulla ponderazione della sua pericolosità. Epperò, come si è rilevato, nel caso in esame, il Tribunale ha con motivazione sufficiente escluso questa evenienza pervenendo alla conclusione che il M. , pur gravato dalle indicate patologie, resta detenuto spiccatamente pericoloso per la sua concreta possibilità di instaurare contatti con il contesto criminale mafioso nisseno, da lui al tempo capeggiato. 5. Discende da tali considerazioni l’inammissibilità dell’impugnazione. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione Corte cost., sent. n. 186 del 2000 - di una somma alla cassa delle ammende nella misura che, in ragione del contenuto dei motivi dedotti, si stima equo determinare in Euro 1.500,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.