Sottoposto alla libertà vigilata per un anno, ma può dirsi davvero socialmente pericoloso?

Se pur vero è che la realizzazione di un reato esprime un comportamento antisociale che svela la pericolosità dell’agente, questa deve sempre essere accertata in concreto dal giudice attraverso la verifica della sua reale entità.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 24281/17 depositata il 16 maggio. Il caso. Il ricorrente adisce la Corte di Cassazione impugnando la sentenza con cui il Tribunale di sorveglianza di Genova aveva rigettato l’appello avverso il provvedimento che aveva disposto nei suoi confronti la misura della libertà vigilata per un anno. In particolare, il ricorrente deduce la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento laddove è stato emesso in virtù di una pericolosità sociale ancorata alle passate condanne intervenute nei suoi confronti. Egli ritiene che accadimenti passati non possano rilevare per il procedimento attualmente in corso. Pericolosità sociale. Relativamente a detta doglianza il Collegio di legittimità ritiene che il ricorso deve considerarsi fondato. Infatti, se pur vero è che la realizzazione di un reato è sicuramente espressione di un comportamento antisociale che svela la pericolosità sociale dell’agente , gli Ermellini affermano che questo deve sempre essere accertato in concreto attraverso la verifica dell’entità del medesimo. Detto ciò, anche se è corretto trarre elementi di rilievo dalla pendenza di un procedimento penale per fatti recentemente commessi, il magistrato deve comunque valutare in concreto la condotta tenuta dall’agente e se gli elementi desumibili dagli atti siano effettivamente espressione di pericolosità sociale, tanto da giustificare la misura di sicurezza. Nella fattispecie, essendosi tale verifica rivelata carente e avendo il Tribunale di Sorveglianza preso atto solo della pendenza di un procedimento, la Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 7 aprile – 16 maggio 2017, n. 24281 Presidente Di Tomassi – Relatore Novik Rilevato in fatto 1. Con ordinanza emessa il 14 aprile 2016, il Tribunale di sorveglianza di Genova rigettava l’appello presentato da B.O. avverso il provvedimento del 20 novembre 2015 del locale magistrato di sorveglianza che aveva disposto la misura di sicurezza della libertà vigilata per un anno. 2. Il Tribunale di sorveglianza preliminarmente respingeva l’eccezione di nullità del procedimento innanzi al magistrato di sorveglianza che, benché si fosse svolto su richiesta di B. con le forme della pubblica udienza, non si era concluso con la lettura del dispositivo in udienza. Nel merito, ripercorsa la storia giudiziaria del condannato al quale, con sentenza emessa dal Tribunale di Savona il 17 maggio 2005, irrevocabile il 16 maggio 2009, per reati di falso e truffa era stata disposta l’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata per anni due, valutava che persisteva la pericolosità sociale del medesimo, desunta non solo dai suoi precedenti penali che annoveravano 25 condanne per reati falso, furto, ricettazione, truffe, evasione, calunnia, omicidio colposo commessi tra il 1960 ed il 1978, ma anche dalla commissione di altri reati di falso commessi il 12 giugno 2014, periodo in cui fruiva del beneficio dell’affidamento in prova ai servizi sociali. Per i fatti oggetto di tale procedimento con ordinanza del 7/8/2014 il tribunale di sorveglianza Genova aveva revocato la misura dell’affidamento e correttamente il magistrato di sorveglianza aveva fatto ad essa rinvio per desumere i gravi indizi di colpevolezza ai fini del giudizio sulla pericolosità. In proposito, secondo l’ordinanza impugnata, non rilevava che il provvedimento di revoca dell’affidamento fosse stato annullato senza rinvio dalla Corte di cassazione, in quanto l’annullamento era stato deciso per motivi formali. Rimanevano valide pertanto le considerazioni espresse dal tribunale in ordine alla negativa conduzione della misura da parte di B. , indice di una residua pericolosità sociale. 3. Avverso questa ordinanza ha proposto ricorso per cassazione B.O. , a mezzo del difensore di fiducia, sulla base di tre motivi. 3.1. Con il primo deduce violazione di legge processuale per inosservanza degli artt. 24 Costituzione e 6 Cedu. La difesa, richiamando la giurisprudenza della corte costituzionale ed Europea, ribadisce la tesi che essendosi svolto il procedimento nella forma della pubblica udienza anche la lettura del dispositivo della decisione doveva avvenire in forma pubblica. 3.2. Con il secondo motivo eccepisce mancanza o manifesta illogicità della motivazione per essere stata la pericolosità ancorata alle passate condanne ed ad un procedimento per falsità materiale con l’accusa di aver falsificato un documento del consiglio notarile del distretto di Savona del luglio 2014, un fatto probabilmente rientrante in fattispecie delittuose recentemente depenalizzate . Ritiene che accadimenti passati non possano rilevare in questa sede e che la proposizione di una querela non implica necessariamente una condanna. Contesta che non siano state prese in considerazione le ragioni addotte dalla difesa nell’atto di appello, specialmente nel secondo motivo . 3.3. Il terzo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione degli artt. 133 e 203 cod. pen. perché, prescindendo dalla legittimità della motivazione per relazione ad un provvedimento annullato senza rinvio, non era stato compiuto nessun accertamento per giustificare la prognosi di pericolosità criminale nonostante l’età e le condizioni di salute. 4. Il Procuratore Generale presso questa Corte nella sua requisitoria scritta ha chiesto che il ricorso sia accolto limitatamente al secondo ed al terzo motivo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte. 2. Il primo motivo è infondato. Il tribunale di sorveglianza, rigettando l’eccezione di nullità del procedimento svoltosi innanzi al magistrato di sorveglianza, ha fatto corretta interpretazione delle norme che regolano il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza, così come interpretate dalla sentenza della Corte costituzionale n. 135 del 2014 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 666, comma 3, 678, comma 1, e 679, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza si svolga, davanti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza, nelle forme dell’udienza pubblica . Recependo le conclusioni raggiunte in particolare dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia di pubblicità del procedimento di prevenzione - in generale, per la C.Edu tale pubblicità tutela i singoli da una giustizia, che sfugge al controllo del pubblico, e rappresenta anche così uno degli strumenti per contribuire il mantenimento della fiducia nei tribunali , contribuendo così a realizzare lo scopo dell’art. 6, paragrafo 1, della CEDU ossia l’equo processo causa Lorenzetti contro Italia del 10/04/2012 Seconda Sezione -, la Corte costituzionale ha ritenuto che le medesime esigenze si pongono anche in rapporto al procedimento di applicazione delle misure di sicurezza, trattandosi di un procedimento all’esito del quale il giudice è chiamato ad esprimere un giudizio di merito, idoneo ad incidere in modo diretto, definitivo e sostanziale su un bene primario dell’individuo, costituzionalmente tutelato, quale la libertà personale. Tuttavia, come osservato dal Procuratore generale, la dichiarazione di illegittimità costituzionale non è stata estesa al sesto comma dell’art. 666 cod. proc. pen. che prevede che l’ordinanza decisoria è comunicata o notificata senza ritardo alle parti e ai difensori . Ciò significa, che le esigenze di pubblicità ai fini del controllo attengono alla celebrazione dell’udienza, ma non al momento decisorio che può intervenire successivamente e le cui conclusioni, portate a conoscenza delle parti e dei difensori, sono in ogni momento suscettibili di controllo. Questa conclusione trova puntuale avvallo nella giurisprudenza della C.Edu. L’articolo 6 § 1 della Convenzione, nella sua parte pertinente, stabilisce che La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia . Il tema del significato da attribuire alla pubblicità della sentenza è stato oggetto di specifica riflessione della C.Edu. Sin dalla sentenza Pretto e altri c. Italia, dell’8 dicembre 1983, § 26, la Corte ha ricordato che gli Stati membri conoscono mezzi diversi per rendere pubbliche le decisioni, come la lettura ad alta voce o il deposito in cancelleria accessibile al pubblico. L’esigenza secondo la quale la sentenza deve essere resa pubblicamente è stata interpretata con una certa flessibilità. Così, la Corte ha ritenuto che in ogni caso la valutazione dovesse avvenire alla luce delle particolarità della procedura in questione, e in funzione dello scopo e dell’oggetto dell’articolo 6 § 1, funzionale, come si è detto, a proteggere gli accusati da una giustizia segreta e a consentire, tramite il controllo esercitato dalla collettività, un processo equo. Nella causa Lorenzetti c. Italia, alla luce dei propri precedenti causa Sutter c. Svizzera, sentenza del 22 febbraio 1984, serie A n. 74, § 33 causa Ernst c. Belgio n. 33400/96, sentenza del 15 luglio 2003 , la Corte ha ritenuto legittimo che l’ordinanza della corte d’appello e la sentenza della Corte di cassazione erano state depositate in cancelleria e che il ricorrente era stato informato di detto deposito, cosicché le esigenze sottese alla pubblicità della sentenza erano state rispettate. Nessun utile parallelo in proposito può essere condotto con riferimento a quelle forme di procedimento, quali l’abbreviato o il patteggiamento, che pur svolgendosi in camera di consiglio prevedono la lettura in udienza del dispositivo della decisione, perché in questi casi vi è una norma specifica che prevede la lettura pubblica e che si collega a quella di carattere generale, per cui la decisione sulla innocenza o colpevolezza dell’imputato deve conseguire senza soluzione di continuità alla discussione delle parti. 3. Relativamente agli altri motivi, deve ritenersi, che la realizzazione di un reato è sicuramente espressione di un comportamento antisociale che può disvelare la pericolosità sociale dell’agente, ma richiede sempre un accertamento in concreto attraverso la verifica, sia pure con i limiti connaturati ad un accertamento incidentale, dell’entità del medesimo. Pertanto, se è corretto trarre elementi di rilievo dalla pendenza di un procedimento penale per fatti recentemente commessi, deve comunque essere verificato quale sviluppo processuale ha avuto la denuncia e valutare in concreto la condotta tenuta e se gli elementi desumibili dagli atti siano o meno espressione di pericolosità. Tale verifica, come a ragione evidenziato anche dal Procuratore Generale presso questa Corte, nel caso in esame si rivela in effetti carente, avendo il Tribunale di Sorveglianza soltanto preso atto della pendenza di un procedimento e dell’accusa elevata. 4. Anche il terzo motivo è fondato. Diversamente da quanto ritenuto dal tribunale, la Corte di Cassazione con la sentenza 1/12/2015 ha annullato l’ordinanza che disponeva la revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale in danno di B. Ottavo, con effetto ex tunc, per motivi formali, ma ha dichiarato contemporaneamente che la censura procedimentale assorbiva ogni altro motivo di merito, sicché, anche sotto questo aspetto, il tribunale avrebbe dovuto condurre una autonoma valutazione delle condotte richiamate in quell’ordinanza, assunte come indice di una attuale pericolosità sociale e di tradimento della fiducia riposta con la concessione di una misura alternativa. Si impone una nuova valutazione del caso. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Genova.